Diritti

Gwen Stefani e il caso di appropriazione culturale

La cantante e conduttrice televisiva californiana ha dichiarato di sentirsi a tutti gli effetti giapponese. Per questo, è stata accusata di trarre profitto da una cultura che non le appartiene
Credit: EPA/JUSTIN LANE
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
13 gennaio 2023 Aggiornato alle 16:00

Non è la prima volta che Gwen Stefani fa questo scivolone. È successo così tanto spesso che qualche commentatore su Twitter ha scritto: “L’appropriazione culturale è il suo secondo nome”. Lei, classe 1969, nata in California, è una delle postar più famose al mondo.

In una recente intervista, mentre promuoveva il suo marchio di bellezza Gxve Beauty e ricordava la sua prima linea di fragranze, nel 2008, ispirata alla sottocultura giapponese di Harajuku, ha esclamato: «Mio Dio, sono giapponese e non lo sapevo».

Alla giornalista di Allure che le ha rivolto le domande sulla sua carriera e sulla sua nuova linea vegana, ha spiegato che suo padre lavorava nella compagnia giapponese Yamaha quando lei era piccola, viaggiando tra California e Giappone per molti anni.

Stefani ha spiegato che c’è una certa «innocenza» nel suo rapporto con la cultura del Sol Levante, di cui è «super fan». «Se mi criticano perché sono fan di qualcosa di bello e lo condivido, allora non credo che sia giusto. Penso che sia stato un bellissimo periodo di creatività, un periodo di incontro a ping-pong tra la cultura Harajuku e la cultura americana». Poi si è chiesta, a voce alta: «Dovrebbe essere giusto ispirarsi ad altre culture, perché se non ci è permesso, significa dividere le persone, giusto?».

Quello che a Gwen Stefani sembra un innocuo “apprezzamento culturale”, agli occhi di altri può risultare un fenomeno di “appropriazione culturale”. Qual è la differenza? Il primo può mostrarsi in varie forme: dall’imparare una nuova lingua al cucinare un piatto tipico di una popolazione a cui non apparteniamo, approcciandosi con grande rispetto e comprensione. Quest’ultimo è un ingrediente essenziale, secondo James Young, autore di “Appropriazione culturale e arti”, perché “se si comprende un prodotto culturale, è improbabile che lo si usi in modi offensivi o altrimenti discutibili”.

Young definisce l’appropriazione culturale “particolarmente controversa” perché, nel mondo contemporaneo, “individui provenienti da culture maggioritarie ricche e potenti spesso si appropriano di culture indigene e minoritarie svantaggiate”.

Un lungo articolo pubblicato sul New York Times Style Magazine spiega che l’appropriazione culturale si presenta quando “un membro della cultura dominante - un insider - prende [qualcosa] da una cultura che storicamente è stata ed è ancora trattata come subordinata e ne trae profitto a spese di quella cultura. Il profitto è fondamentale”. Nel caso della linea Harajuku Lovers di Stefani, bisogna considerare l’aspetto commerciale delle fragranze e della linea di abbigliamento.

Inoltre, sui red carpet e nelle sue performance veniva accompagnata dalle Harajuku girls, le ballerine Maya Chino, Jennifer Kita, Rino Nakasone e Mayuko Kitayama, facendo ciò che l’enciclopedia Britannica sigla come appropriazione culturale: adottando “elementi culturali di un gruppo di minoranza in modo strumentale, irrispettoso o stereotipato”. Le quattro incarnano una categoria di ragazze giapponesi, perlopiù adolescenti, che si vestono in modo vistoso e stravagante, mischiando stili nipponici differenti. Prendono il nome dall’omonimo quartiere di Tokyo.

Stefani ha sempre negato le accuse che le sono state rivolte dagli anni Novanta a oggi, e non solo in merito alla cultura giapponese: a Disneyland, lo scorso Natale, la sua performance di Feliz Navidad è stata oggetto di molte battute online (vedi commento sul secondo nome di Gwen Stefani in cima all’articolo). La canzone fu scritta e cantata nel 1970 dal portoricano José Feliciano, quarto di undici figli in una famiglia molto povera di Porto Rico (oltre che cieco dalla nascita).

C’è chi sostiene che l’appropriazione culturale vada vista positivamente, come un modo per prendere in prestito o trarre ispirazione da altre culture, “cosa che è accaduta nel corso della storia e senza la quale la civiltà appassirebbe e morirebbe”, scrive il Nyt Style Magazine.

Gwen Stefani ha affermato di non rimpiangere affatto la sua era di Harajuku, perché «tutto quello che ho fatto con le Harajuku Girls è stato solo un puro complimento e un essere fan. Non puoi essere fan di qualcun altro? O di un’altra cultura? Certo che puoi. Certo che puoi celebrare altre culture», disse in un’intervista nel 2014.

E non è l’unica a pensare che questo non abbia nulla a che fare con la banalizzazione di una cultura rappresentata in modo stereotipato: ricordate la campagna di Dolce&Gabbana che mostrava una modella cinese che tentava di mangiare gli spaghetti con le bacchette? A nessun componente del team dei grandi stilisti italiani balenò per la mente che potesse trattarsi di un mix letale tra razzismo e appropriazione culturale. Episodi come questi ci ricordano che c’è ancora molto lavoro da fare.

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