Futuro

Le conseguenze della disruption

L’innovazione non lascia le cose come stanno. Ma chi la introduce può essere del tutto disinteressato alle sue conseguenze. Oppure può avere la sensibilità di pensarci
Credit: DeepMind/unsplash
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12 gennaio 2023 Aggiornato alle 10:00

Nel mercato della distruzione, frequentato dagli Stati che si preparano alla guerra, o la praticano, alcune tra le tecnologie più avanzate sono prodotte dagli americani. Tra i droni usati per attacchi aerei di grande precisione, telecomandati da terra senza personale a bordo, i Predator e i Reaper sono stati per molto tempo i leader del mercato. Un Predator della General Atomics supera le 140 miglia all’ora e può viaggiare per 770 miglia, può colpire con estrema precisione obiettivi a terra e costa 20 milioni di dollari. Con la guerra in Ucraina hanno conquistato l’attenzione anche altri prodotti. Un po’ meno avanzati ma molto meno costosi. Quello che ha fatto più parlare di sé è il drone Bayraktar TB2, prodotto dall’azienda turca Baykar, che viaggia a 138 miglia orari, può colpire in un range di 186 miglia, è un po’ meno preciso del Predator e costa 5 milioni di dollari.

È un esempio di innovazione, letteralmente, “disruptive”. Una tecnologia straordinariamente avanzata, che fa benissimo una certa funzione, ma costosissima, si trova sempre in difficoltà quando deve competere con un’altra tecnologia, un po’ meno perfetta dal punto di vista ingegneristico ma molto meno costosa. Ne aveva fatto il suo cavallo di battaglia Clayton Christensen. Lo studioso aveva teorizzato l’innovazione “disruptive”: quando ne parlava, Christensen pensava soprattutto a innovazioni che, appunto, consentivano di fare cose molto importanti con una frazione del costo. Chi lo ascoltava, invece, spesso pensava a innovazioni che facevano piazza pulita di quello che c’era prima.

Uno come Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, era tra questi. La sua idea di innovazione “disruptive” era piuttosto “distruttiva”. Lo diceva esplicitamente. Prima bisogna rompere, poi, se va bene, si penserà ad aggiustare. Certo, pensare alle conseguenze di ciò che si fa è un esercizio difficile. E Zuckerberg ne ha spesso fatto volentieri a meno. Ma bisogna ammettere che l’allenamento a cercare di comprendere le conseguenze è invece molto consigliabile.

Perché molto spesso, le innovazioni che consentono di fare a poco prezzo quello che prima era molto costoso non hanno necessariamente la conseguenza di distruggere le tecnologie precedenti, ma di ricollocarle. In realtà, la loro principale conseguenza è di allargare il numero di persone e organizzazioni che possono fare qualcosa che prima era loro precluso, proprio perché troppo costoso. Per esempio, oggi ci sono molti più Paesi che possono fare la guerra come gli americani, con meno vittime umane e maggiore precisione nella distruzione.

Un altro esempio è l’effetto del CRISPR-CAS9 nel mondo delle modifiche genetiche. La tecnologia di maggiore successo degli ultimi 10 anni ha la potenzialità di rendere possibili cure e trattamenti prima impossibili. Una signora neozelandese, racconta la Tech Review dell’Mit, è diventata la prima persona al mondo ad avere ricevuto un trattamento per abbassare permanentemente il colesterolo a base di editing genetico. Di solito quella tecnologia era usata per patologie estremamente rare. Ora entra nel mondo delle cure per patologie comuni. Non essendo noti tutti gli effetti collaterali, le operazioni con il CRISPR-CAS9, sono limitate a casi molto gravi, come quello della signora neozelandese. Ma sempre più spesso si pensa che la tecnica possa essere generalizzata. Il punto è che il CRISPR-CAS9 è molto meno costoso di qualsiasi precedente tecnica per modificare il dna.

Le tecniche precedenti vengono riposizionate, non necessariamente distrutte, dall’innovazione “disruptive”. Ma in certi casi, la velocità dei cambiamenti indotti dalla innovazione “disruptive” è tale da rendere profondamente necessario evitare di considerarla “distruttiva” e di applaudire ai casi in cui lo è. Molto meglio introdurre incentivi per pensare alle conseguenze dell’innovazione. Nella medicina, questo approccio è standard: non si fanno cure per le quali gli effetti collaterali non siano presi in considerazione e confrontati con i risultati positivi attesi. Nella tecnologia militare, ci sono alcune forme di attenzione alle conseguenze, quando i Paesi riescono a mettersi d’accordo per limitare la diffusione di armi troppo terribili come quelle batteriologiche o nucleari. Perché non dovrebbe esserci qualcosa del genere anche in certe tecnologie usate nei social network: soltanto persone superficiali possono considerare irrisorie le conseguenze negative di un sistema di algoritmi per il controllo dell’attenzione di miliardi di persone che privilegia gli scambi di messaggi di contenuto violento ed estremo.

Con le nuove norme appena entrate in vigore in Europa, il 2023 potrebbe diventare un anno di grande cambiamento da questo punto di vista. Era tempo.

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