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Quanto è circolare l’economia globale?

Il Circularity Gap Report 2022, che fotografa lo sviluppo dell’economia green nel mondo, non porta buone notizie
Giorgia Marino Materia Rinnovabile
Tempo di lettura 6 min lettura
24 gennaio 2022 Aggiornato alle 07:00

Cinquecento miliardi di tonnellate. È la quantità di risorse consumata globalmente nell’arco degli ultimi 6 anni, tra la COP21 di Parigi nel 2015 e la COP26 di Glasgow. Il calcolo lo ha fatto il think-tank Circle Economy che, come ormai ogni gennaio dal 2018, ha presentato il nuovo Circularity Gap Report. Il documento, che fotografa lo sviluppo dell’economia circolare nel mondo, non porta buone notizie: tuttora più del 90% delle risorse estratte e consumate non ritorna nei cicli produttivi, ma diventa rifiuto. L’economia mondiale è oggi circolare solo per l’8,6%. E non sta migliorando.

I 50 anni dei Limiti dello sviluppo: a che punto siamo?

Il 2022 segna un anniversario importante: esattamente 50 anni fa il Club di Roma pubblicava il primo “Rapporto sui limiti dello sviluppo”, lanciando un chiaro monito circa il rischio di collasso di un’economia e una società basate sulla crescita infinita. Monito che è purtroppo rimasto in buona parte inascoltato, visto che da allora il consumo annuale di risorse è quadruplicato, passando dai 28 miliardi di tonnellate del 1972 agli oltre 100 miliardi di tonnellate attuali. Intanto l’economia circolare ha cominciato ad affacciarsi sulla scena globale, prima come suggestiva visione, poi come concreta possibilità di cambiare il sistema, per arrivare, oggi, a essere un concetto quasi mainstream. La strada perché diventi la norma è tuttavia ancora lunga, come sottolinea il Circularity Gap Report.

Ma il momento storico sembra favorevole: “Sulla scia della COP26, - scrivono gli autori nell’introduzione - l’interesse della sfera pubblica e di quella economica per l’azione climatica è alto” e gli strumenti dell’economia circolare possono rivelarsi fondamentali nella lotta al riscaldamento globale. Nonostante, infatti, il tema sia quasi sempre assente ai meeting per il clima, sono proprio i processi di estrazione, lavorazione, consumo e smaltimento dei materiali a emettere la maggior parte dei gas a effetto serra: ben il 70%. Riducendo drasticamente lo sfruttamento di materie prime vergini, l’economia circolare, come si legge nel report, potrebbe allora tagliare le emissioni di carbonio addirittura del 39%, riportando il mondo sulla strada per il contenimento delle temperature a +1,5°C.

21 soluzioni e un tool digitale

Non avendo buone notizie da offrire sul fronte del miglioramento del tasso di circolarità globale, il team di Circle Economy ha pensato allora di proporre un po’ di soluzioni concrete: 21 per l’esattezza. Dopo aver fornito una panoramica di quanto consumiamo e quanto poco risparmiamo, ripariamo, condividiamo, riutilizziamo e ricicliamo, il report suddivide metodicamente il sistema economico in 7 aree che corrispondono alle necessità e ai desideri della società: casa, alimentazione, mobilità, prodotti di consumo, servizi, salute, comunicazione. Per ognuna individua quindi dei possibili interventi in direzione di una maggiore circolarità ed efficienza, secondo 4 principi di base: usare meno risorse, farle durare più a lungo, rigenerarle, riciclarle. “L’economia circolare diventa così lo strumento per soddisfare i bisogni della società globale senza oltrepassare i limiti del Pianeta” ha spiegato in conferenza stampa Laxmi Adrianna Haigh, co-autrice del report insieme a Marc de Wit.

Basta anche solo un rapido sguardo alle 21 soluzioni proposte, per accorgersi che quelle con un potenziale maggiore nella riduzione di emissioni e di consumo di risorse riguardano soprattutto due settori: l’edilizia e i trasporti. Allungare la vita utile dei veicoli, passare a modelli di mobilità condivisa, utilizzare materiali edilizi circolari e soprattutto ridurre il consumo di suolo abitando case più piccole ed efficienti sono in assoluto le soluzioni più efficaci e con l’impatto positivo più importante per l’ambiente. Ma i suggerimenti spaziano naturalmente a ogni settore, dal design dei prodotti all’agricoltura fino alla dieta quotidiana. Come ha ricordato durante la presentazione Anders Wijkman, presidente onorario del Club di Roma e Chair di Climate-KIC, troppe persone sono ancora convinte di poter risolvere la crisi ambientale semplicemente aspettando l’arrivo di qualche nuova tecnologia verde. Ma non basta, quello che serve subito è una trasformazione del nostro stile di vita”.

“Una trasformazione circolare che deve avvenire a livello globale – ha sottolineato Matthew Fraser, responsabile della Circularity Gap Reporting Initiative – Per questo con Circle Economy abbiamo deciso di creare un tool digitale per aiutare le imprese, le città e le nazioni nella transizione circolare”. Il nuovo strumento, che sarà presentato ufficialmente in aprile, risponde all’esigenza sempre più sentita di metriche per valutare l’economia circolare, i suoi effettivi impatti, i vantaggi che porta non solo all’ambiente ma anche alla società. Si chiama Ganbatte, esortazione giapponese che corrisponde a “Forza! Rimbocchiamoci le maniche!” ed è un vero e proprio programma di azione che sarà a disposizione delle aziende, delle amministrazioni e dei governi per esplorare le soluzioni già esistenti, misurare le proprie performance e quindi rimboccarsi le maniche.

Agendo su più livelli, la visione di Circle Economy mira appunto a raggiungere uno sviluppo globale dell’economia circolare. Ma quali sono i maggiori ostacoli da superare?

Ostacoli e prospettive per un’economia circolare globale

Secondo Anders Wijkman il maggior freno è tuttora il sistema: “Il Circularity Gap Report dimostra che siamo ancora molto lineari. Ed è il sistema a decidere che le cose funzionino così. Finché le materie prime vergini saranno più economiche dei materiali riciclati, l’economia circolare non potrà mai decollare.

Per Elisa Tonda, capo della Consumption and Production Unit dell’UNEP, un grosso limite sta nella scarsa integrazione fra le varie iniziative: “Nel mio lavoro vedo molti progetti validi ma isolati o settoriali, che non vengono integrati nei programmi governativi. Ci sono inoltre troppi impegni volontari e poche risoluzioni vincolanti”.

Per Walter Stahel, il padre morale dell’economia circolare, bisogna stare attenti anche alle buone intenzioni: “è necessario evitare le tecnologie ad alta intensità di risorse. Per fare un esempio, i veicoli elettrici sono in media il 50% più pesanti di quelli tradizionali. Dobbiamo imparare a uscire dagli schemi e pensare a tecnologie completamente diverse”.

Per quanto riguarda le prospettive future per l’economia circolare, Stahel le condensa in una parola: sufficienza. “Più ancora che sull’efficienza, dobbiamo puntare alla sufficienza – spiega – Invece di produrre più cose, dobbiamo ottimizzare al massimo l’utilizzo di quelle esistenti. L’economia deve trovare strategie per guadagnare con meno prodotti”. Per Elisa Tonda, infine, sarà fondamentale anche cambiare il modo in cui si guarda all’economia circolare: “La transizione circolare deve essere inclusa nei discorsi sul clima, sulla perdita di biodiversità, sull’inquinamento. Bisogna imparare a guardarla per quello che è: un tema cross-settoriale”.

Testo a cura di Materia Rinnovabile