Culture

Casta paintings: quando i quadri ci parlano di razzismo

È uno stile di pittura nato in Messico nel XVIII secolo, con l’obiettivo di mettere su tela l’eterogeneità delle caste. In alcuni casi, sfidando le “regole” del colonialismo
Elaborazione del dipinto originale: Cabrera, Doña María de la Luz Padilla y Gómez de Cervantes, circa 1760; Brooklyn Museum, Museum Collection Fund and Dick S. Ramsay Fund.
Elaborazione del dipinto originale: Cabrera, Doña María de la Luz Padilla y Gómez de Cervantes, circa 1760; Brooklyn Museum, Museum Collection Fund and Dick S. Ramsay Fund.
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11 gennaio 2023 Aggiornato alle 10:00

Quando si parla di mostre non si può non parlare del lungo percorso che vi si cela dietro. Ogni mostra, infatti, si pone un obiettivo, che non è quasi mai solo quello di esibire i quadri o le sculture di una pittrice o di uno scultore. Spesso capita, infatti, che le opere esposte non siano neanche tutte della stessa persona; ciò implica un’estensione dello sguardo: l’attenzione si sposta dal singolo al collettivo, con lo scopo di indagare una struttura più ampia che spesso determina un certo fenomeno.

Ma restituire un fenomeno nella sua totalità è un’impresa pressoché impossibile, dal momento che con ogni probabilità si starà parlando di un fenomeno complesso, che in virtù della sua stessa complessità, potrà essere approfondito e scrutato attraverso punti di vista molteplici.

Ebbene se è vero che un tempo la tendenza più comune fosse quella di schiacciare questa stessa complessità, identificando la realtà solo attraverso un punto di vista, è vero anche che, almeno in parte, questa tendenza ha perso il suo fascino. E ciò ha permesso a nuove soggetti di raccontare uno stesso fenomeno attraverso una nuova prospettiva, per cercare di restituire la complessità che lo caratterizza.

È questo lo scopo che si è posta la mostra Painted Cloth: Fashion and Ritual in Colonial Latin America, esposta al Blanton Museum of Art in Texas, Stati Uniti. L’oggetto d’indagine è stato, come si evince dal titolo, la moda e i codici di abbigliamento tipici del 1700 in America Latina come spia della struttura sociale, del fenomeno del razzismo e della costruzione stessa dell’identità.

La mostra è stata divisa in 5 sezioni, tra cui la wearing social status. Qui si trovavano i cosiddetti casta paintings. Si tratta di un tipo di pittura sorto soprattutto in Messico nel XVIII secolo, e consiste nella raffigurazione, spesso attraverso diversi pannelli, di gruppi di famiglie composti principalmente da madre, padre e prole. L’elemento distintivo che ci permette di interpretare i quadri, ma soprattutto di indentificare lo stato sociale dei protagonisti, è proprio il modo in cui sono vestiti.

Si tratta di un elemento molto importante; infatti, l’introduzione, o meglio l’imposizione, del sistema delle caste in America Latina nacque dall’esigenza politica e economica della Corona spagnola di controllare la popolazione in quei luoghi dal momento che coloni, persone indigene e nere portate attraverso la tratta degli schiavi dall’Africa, vivevano tutte insieme. Fu proprio questo aspetto, la condivisione dello spazio urbano da parte di persone provenienti da etnie diverse, che permise la combinazione di tradizione e la mescolanza stessa delle etnie.

Nacquero, dunque, le persone cosiddette “meticce” che, sulla base della provenienza dei genitori e della distanza dalla presunta purezza di sangue, appartenevano a una casta piuttosto che a un’altra. E un fattore essenziale per identificare lo stato sociale di una persona, era l’abbigliamento. Ognuno doveva vestirsi secondo le regole che imponeva la propria casta sia in virtù di un’esigenza sociale che economica, dal momento che si pagavano le tasse sulla base della casta di appartenenza.

Nel 1700, però, la popolazione meticcia crebbe a tal punto da diventare inferiore solo a quella indigena; dunque, il controllo attraverso le caste divenne sempre più complesso, anche perché le persone capirono che potevano camuffare il loro stato sociale attraverso l’abbigliamento. Come ha affermato Rosario Ines Granados, curatore della mostra, le persone erano in grado di scegliere quando essere indigene e quando no, semplicemente adattando il proprio abbigliamento. La cosa interessante è che le persone indigene tentavano di modificare la propria casta di appartenenza: spesso, infatti, poteva essere un grande vantaggio non sembrare spagnolә soprattutto se l’Inquisizione era in città, dal momento che non esercitava alcuna giurisdizione sulle persone indigene.

I casta paintings erano, dunque, un modo per rappresentare quella società così eterogenea e soprattutto mostrarla agli spagnoli, che spesso disprezzavano questa mescolanza: raffiguravano donne nere molto povere e vestite con abiti modesti, ma anche molto ricche, agghindate e vestite con abiti europei; famiglie composte da persone indigene e nere, bianche e nere e così all’infinito.

Lo scopo era quello di rappresentare in primis la fluidità che caratterizza questa società e che sottolinea l’assurdità di creare caste su base razziale. Una fluidità che sembra andare oltre le restrizioni imposte che teoricamente dovrebbero porsi alla base dei casta paintings, dal momento che spesso essi sembrano limitare i soggetti in una specifica posizione. Eppure, alcuni dipinti sembrano sfidare le restrizioni stesse come quello che raffigura Chino, un uomo nero che lavora come sarto, una posizione a lui teoricamente inaccessibile.

Percorrendo la storia che ci raccontano questi quadri e attraverso un dialogo costante che non mette mai da parte le contraddizioni e le ingiustizie proprie del colonialismo, questi dipinti ci spingono a riflettere sulla questione delle caste e più in generale sul razzismo e sulla sua stessa insensatezza. Infatti, come ha dichiarato Granados «proprio come il genere è molto fluido perché non accettiamo che la razza lo sia e che il colore della tua pelle dica qualcosa di te ma non ti li miti a ciò che devi essere?».

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