Culture

Nepal: c’è una lingua in cui non esiste il “no”

Non ha parentele con nessun linguaggio al mondo e c’è solo una persona in grado di parlarla fluentemente. Piccolo viaggio alla scoperta del kusunda, che rischia di morire assieme alla sua ultima parlante
Kamala Khatri è l'ultima persona a parlare fluentemente il Kusunda
Kamala Khatri è l'ultima persona a parlare fluentemente il Kusunda Credit: Eileen McDougall. Via bbc.com
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22 gennaio 2023 Aggiornato alle 20:00

Esiste una lingua che probabilmente affascina tutti i linguisti del mondo. Si chiama kusunda e viene parlata nel Nepal centrale, più precisamente nella regione di Gandaki, da una sola tribù, quella dei kusunda appunto. In realtà a parlarla sono rimaste pochissime persone e esiste solo una donna di 48 anni, Kamala Khatri, che la conosce fluentemente. Rischia, dunque, di morire insieme alla sua ultima parlante, ma, come è avvenuto anche per molte altre lingue, lo scopo è quello di rivitalizzarla.

Si, perché si tratta di una lingua che possiede delle caratteristiche anche molto particolari, estremamente affascinanti e dunque da tutelare. È una lingua cosiddetta isolata dal momento che nessunә ricercatorә è statә in grado di dimostrare la parentela con altre lingue del mondo. Infatti, a differenza di tutti gli altri gruppi linguistici del Nepal, che risalgono a persone provenienti dall’esterno del Paese, sembra essere impossibile scoprire le origini di questa lingua morente. Da qui l’ipotesi che si tratti di una lingua parlata da antichi gruppi aborigeni nelle regioni sub-himalayane prima dell’arrivo delle tribù tibetano-birmane e indo-ariane.

Una sopravvissuta, insomma, di un tempo ormai lontano e irrecuperabile, testimone di popolazioni che per prime hanno vissuto quei luoghi. E di queste antiche radici ne è traccia l’altro nome con cui si fa chiamare questa popolazione, Ban Raja, che significa “re della foresta”.

Infatti, originariamente, e fino alla metà del XX secolo, si trattava di un gruppo semi nomade cacciatore-raccoglitore che viveva nelle giungle nel Nepal Occidentale. Per sopravvivere cacciavano soprattutto uccelli e rettili; si trattava, dunque, di una popolazione caratterizzata da uno stile di vita ancestrale fino a tempi recenti, che si rapportava con le città vicine soprattutto per ottenere riso e farina in cambio di patate e carne.

Ma con l’aumento della popolazione in Nepal, e di conseguenza con l’ampliamento dei terreni destinati all’agricoltura, le foreste hanno subito un processo di frammentazione, che ha complicato non poco la vita dei kusunda, fin quando nel 1950 il governo ha deciso di nazionalizzare grandi distese di foreste. Si è trattata di una decisione controversa, come dimostra lo studio di Himalaya, la rivista dell’associazione per gli studi nepalesi e himalayani. Le foreste, infatti, rappresentano una risorsa molto impostante anche per l’agricoltura; esse forniscono legna da ardere, foraggio, legname, erbe medicinali, e ancora sono essenziali per quanto riguarda il controllo dell’erosione o la regolazione dell’acqua.

Nello specifico lo scopo dello studio è dimostrare che una parte fondamentale della politica statale ha coinciso con la volontà di appropriarsi di una grande parte del terreno forestale per convertirlo in terreno destinato all’agricoltura o agli insediamenti. Così facendo i governanti hanno generato risorse per sé stessi, consolidando il regime e trasformando considerevolmente la composizione sociale e il paesaggio della regione.

Ebbene, a risentirne è stata sicuramente la popolazione kusunda, costretta a abbandonare il proprio stile di vita per stabilirsi e praticare l’agricoltura. Moltә di loro si sono sposatә con membri di gruppi etnici vicini e di conseguenza a poco a poco la maggior parte di loro ha smesso di parlare kusunda.

Perdere una lingua, però, non è cosa da poco. La lingua che parliamo rappresenta, infatti, un mezzo essenziale nella costruzione della nostra identità e nella comprensione della realtà che ci circonda. Inoltre, anche dal punto di vista linguistico si tratta di una perdita non irrilevante. Come abbiamo già detto, infatti, si tratta di una lingua isolata, probabilmente parlata dalle persone aborigene del luogo centinaia e centinaia di anni fa. Eppure, questo non rappresenta l’unico motivo che rende particolarmente interessante questa lingua. Come ha sottolineato Bhojraj Gautam, un linguista con una grande conoscenza del kusunda, non esiste, per esempio, un modo standard per negare una frase. La parola “no” è assente dal vocabolario kusunda e in generale sono assai poche le parole che implicano un concetto negativo. È piuttosto il contesto che permette ai e alle parlanti di comprendere il reale significato della frase. E a mancare sono anche le parole che indicano direzioni precise come destra o sinistra, al loro posto sono utilizzate espressioni molto più generiche simili a “da questa o quella parte”.

Inoltre, a differenza delle lingue che conosciamo, il kusunda non possiede un sistema grammaticale rigido, fatto di regole e strutture da seguire. È un organismo molto più flessibile all’interno del quale il contesto determina il significato delle frasi che va interpretato anche dal punto di vista di chi parla. Per esempio, le azioni passate o future non sono distinte dall’utilizzo di tempi verbali differenti, ma dal coinvolgimento diretto o indiretto di chi parla.

Eppure, ironia della sorte, sono proprio queste caratteristiche che rendono il kusunda così affascinante, che hanno determinato la sua graduale scomparsa.

Nonostante ciò, nel corso del tempo, sono nati diversi progetti con lo scopo di rivitalizzare questa lingua. Per esempio, dal 2019 la Commissione linguistica del Nepal tiene corsi di kusunda per preservarla; il governo si è fatto carico di pagare a bambini kusunda provenienti da aree remote l’alloggio presso la Mahidra High School di Dang, dove viene insegnata anche la loro lingua madre. Ma soprattutto NowHere, uno studio multimediale con sede a Berlino, ha lavorato con la popolazione kusunda per documentare la loro lingua. Grazie a questa collaborazione NowHere ha prodotto un documentario che, attraverso la realtà virtuale, ha rappresentato la vita nomade della tribù. Gli spettatori, indossando le cuffie, sono immersi in questo ambiente e per continuare la narrazione devono pronunciare e quindi imparare parole in kusunda

Non è la prima volta che studiosi e ricercatrici si impegnano per permettere a una lingua di sopravvivere allo scorrere incessante del tempo; eppure, in questo caso si tratta di un’iniziativa più che mai necessaria. Se, infatti, nella maggior parte delle circostanze, la volontà di preservare una lingua è dettata principalmente da un trasporto sentimentale, in questo caso l’attenzione rivolta al kusunda può far la differenza per la vita di queste persone. La popolazione kusunda è, infatti, molto povera e sempre più marginalizzata all’interno del contesto sociale nepalese; preservare la loro lingua significa, dunque, preservare la loro identità, restituirgli valore e far si che il governo ponga attenzione sulla loro condizione.

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