Ambiente

Attivismo climatico: chi si interroga sui motivi?

Molti i consigli dispensati dai media su come e quanto protestare. Ma pochi si sono chiesti perché. Perché sempre più persone decidono di intraprendere questo tipo di azioni simboliche?
Credit: ANSA / MATTEO BAZZI
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6 gennaio 2023 Aggiornato alle 06:30

L’attenzione mediatica sui cambiamenti climatici è in questi giorni massima per tutte le peggiori ragioni. Mentre l’Europa è attraversata da una proto-primavera con ben 2 mesi di anticipo - fiori che sbocciano in ogni dove, dal Trentino ai Grigioni, temperature fino a 20°C sopra la media stagionale - in Italia il circo mediatico e politico la butta in caciara sulle proteste per il clima di Ultima Generazione.

L’azione di imbrattamento simbolico dei portoni del Senato, portata a segno il 2 gennaio dagli attivisti di Ultima Generazione per tenere alta l’attenzione sulla catastrofe climatica, ha generato una reazione sproporzionata da parte del Governo Meloni. Il Senato su mandato del presidente Ignazio La Russa si è costituito parte civile, mentre quasi tutti gli esponenti della desta (ma anche il wanna-be leader del Partito Democratico Bonaccini) hanno applaudito all’arresto degli attivisti Davide Nensi, Alessandro Sulis e Laura Paracini, accusati impropriamente di danneggiamento aggravato (ma al momento scarcerati). I 3 rischiano da 1 a 5 anni, nonostante l’azione sarebbe classificabile come mero imbrattamento (per altro temporaneo). «Bene così» dice il ministro alle infrastrutture e trasporti Matteo Salvini, che si vanta del suo inasprimento delle pene per i vandali, più impegnato sui social che ha decarbonizzare i trasporti del Bel Paese.

Che Salvini, Piantedosi, La Russa e Gasparri avessero già puntato alla pancia di chi detesta gli attivisti per il clima per farne un punto della loro visione si era capito da tempo. Colpirne tre per educarli tutti, titola brillantemente Il Domani. In realtà il Governo punta a punire chiunque protesti per il clima e non solo, con una sferzata di autoritarismo tanto preoccupante quanto attesa. Basta vedere il caso di Simone Ficicchia, ventenne aderente a Ultima Generazione, convocato dal Tribunale di Milano, su richiesta della Questura di Pavia, per presenziare il 10 gennaio all’udienza indetta per discutere l’applicazione di misure di sorveglianza speciale, ovvero applicando il Codice antimafia (nato per mafiosi, terroristi e malavitosi) per un ragazzo che crede che la protesta nonviolenta possa spingere il Governo ad accelerare la decarbonizzazione nel nostro Paese, un’azione che ha un mandato Onu firmato da 197 Paesi, Italia inclusa.

Ad oggi le azioni cosi “terribili”, simbolo di “stupidità e maleducazione” per il governatore Bonaccini, sono stati sparuti blocchi stradali, azioni di protesta poetica sulle opere d’arte, secchiate di vernice lavabile ripulite in tempi record. Eppure in Italia ma anche nel resto dell’Europa si è scelta la repressione. Interni e servizi si dicono preoccupati per escalation nel movimento per il clima, forse temendo che l’ecoansia si trasformi in ecorabbia. Timori sicuramente infondati vista la natura essenzialmente non violenta dell’attivismo ecologista ma che viene ampliamente sfrutta da governanti di vario colore politico per guadagnare qualche punto di gradimento tra i benpensanti. Anime belle che s’indignano per due manate di vernice lavabile ma non dei 15.000 morti causati dalle ondate di calore dell’estate 2022 nella sola Europa (fonte Oms). Non c’è portone che valga una vita umana.

Dice bene Matteo Orfini per il quale «si arriva a certi livelli di provocazione proprio perché a monte è mancato l’ascolto da parte delle istituzioni». Le istituzioni non sono più aliene alla questione, messe sotto pressione anche dal mondo delle imprese e soprattutto dal mondo finanziario e assicurativo. Eppure basta vedere cosa accade dentro il Ministero delle infrastrutture e trasporti, fondamentale per la decarbonizzazione, per reputare che il Governo si merita proteste e azione civile in dosi ben più massicce di qualche imbrattamento simbolico e temporaneo. Se cogliessimo a pieno il peso dell’impatto che da qua a breve la crisi climatica e della biodiversità avrà (e sta già avendo) sull’economia e sul lavoro, oltre che sulle nostre vite, forse organizzeremmo scioperi generali, scenderemmo in piazza a centinaia di migliaia o semplicemente voteremmo diversamente. Invece rimaniamo al panem et circenses dei social media e del dibattito social su “han fatto bene, han fatto male”.

Non sono mancati sui media infiniti consigli su come protestare, quanto protestare, cosa protestare, ma senza interrogarsi davvero perché si protesta è perché sempre più donne e uomini, giovani e vecchi non si arrendono all’inattivismo ma decidono di intraprendere azioni simboliche, non violente, creative, che possono non piacere. Non c’è bisogno di chiedersi cosa e come debbano fare loro, piuttosto cosa possiamo fare noi, oltre il decalogo di buone azioni per la decarbonizzazione, che senza una spinta normativa e governativa non saranno mai sufficienti,

Se il Governo vuole fare l’adulto nella stanza invece che far arrestare i ragazzini affronti con coraggio la questione climatica – l’adozione del piano di adattamento ai cambiamenti climatici è una buona notizia – e dia adito a una riforma della missione di Governo, dove sicurezza sia innanzitutto sicurezza dagli effetti disastrosi sull’economia e sulle vite degli italiani. Altrimenti se la scelta è quella della repressione e dell’ignavia si scelga di combattere attraverso vie diverse. Non piace l’attivismo? Ci sono le vie legali e il voto. Altro che imbrattamento, i reati prefigurati sono quelli di strage.

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