Diritti

Noi abbiamo sofferto, ma gli immigrati di più

Uno studio di Openpolis spiega - numeri alla mano - come gli immigrati percepiscano salari minori, e pensioni più basse. Uno su 3 nel 2020 ha perso il lavoro.
Credit: Nuno SIlva
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21 gennaio 2022 Aggiornato alle 11:00

C’è una categoria che, più delle altre in Italia, ha subito la pandemia: si tratta degli immigrati. Tra 2019 e 2020 le condizioni del mercato del lavoro si sono aggravate sia per i cittadini italiane che per gli stranieri, ma il divario tra loro è aumentato. Lo mostra il rapporto annuale pubblicato dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.

“Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia” si concentra sul 2020, analizzando le conseguenze dell’emergenza Covid-19: gli occupati stranieri attivi nel Paese sono 3,5 milioni, una cifra equivalente al 10% della forza lavoro totale. Come sottolinea Openpolis, la fondazione indipendente che promuove progetti per l’accesso alle informazioni pubbliche, la trasparenza e la partecipazione democratica, la categoria vede differenze significative tra i cittadini dei Paesi più ricchi dell’Ue, gli extracomunitari e i comunitari di acquisizione più recente (come polacchi, rumeni e bulgari).

Nel 2020 in Italia le persone nate in paesi dell’Ue-15 - provenienti dai paesi che facevano parte dell’Unione prima dell’allargamento verso l’Europa orientale - avevano un reddito annuo medio di oltre 23mila euro e delle pensioni medie superiori ai 17mila. Circa il doppio dei salari percepiti dai cittadini extra-Ue e da quelli provenienti dagli stati entrati più recentemente nell’Unione (12mila euro).

Nel 2017, prima della pandemia, secondo l’Istat tra lavoratori italiani e non c’era una differenza di retribuzione del 13,8%, con uno scarto di 1,40 euro all’ora.

Tra gli stranieri, nel 2020, non ci sono state differenze di reddito, ma se consideriamo le pensioni sono gli extracomunitari a ricevere poco più di 7500 euro all’anno, quasi 10mila euro in meno rispetto ai cittadini dell’UE post allargamento verso l’Europa orientale. E nonostante i lavoratori stranieri in Italia siano solo 1 su 10, tra coloro che hanno perso il lavoro nel 2020 il 35% fa parte della “categoria”. E la perdita dell’impiego ha interessato in egual misura lavoratori UE ed extracomunitari, mentre gli italiani sono diminuiti dell’1,4%. Eppure la disoccupazione non è aumentata in questa fase, ma sono cresciuti gli inattivi: si tratta delle persone senza impiego che non si sono messe alla ricerca di un nuovo posto di lavoro. Se, durante la pandemia, gli italiani inattivi sono aumentati del 3,1%, nel caso degli europei la percentuale è rimasta al 18,7% e tra gli extracomunitari al 15,1%.

Per quanto riguarda invece le persone in cerca di impiego, queste sono diminuite mediamente del 10,5%. Una cifra che si attesta al -10,1% tra gli italiani e che scende al -11,6% tra i cittadini extra-comunitari, arrivando fino al -13,9% tra gli europei. Nel caso dei cittadini non europei, gli occupati sono diminuiti in particolare nelle regioni del nord-ovest (-7,9%) dal 2019 al 2020, mentre gli inattivi sono aumentati del 21,9%. Oltre ad aver colpito maggiormente le giovani donne. Con -27,4% delle lavoratrici extra-comunitarie di età compresa tra i 15 e i 24 anni, tra 2019 e 2020.

Il rapporto, insomma, mostra che gli stranieri hanno più probabilità degli italiani di perdere il posto. Le giovani donne straniere, poi, con basso livello di istruzione, occupate in professioni low skill e residenti nel meridione, sono molto a rischio. E sono proprio loro a temere di più di perdere il lavoro.