Diritti

Riforma Cartabia, come cambia il processo penale

Il 30 dicembre è entrata in vigore la discussa riforma della giustizia firmata dall’ex ministra del governo Draghi. Una sintesi dei punti chiave, dall’improcedibilità ai nuovi reati procedibili a querela
Credit: ANSA/ MAURIZIO BRAMBATTI 
Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
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3 gennaio 2023 Aggiornato alle 14:30

Il 30 dicembre è entrata in vigore la riforma del sistema penale realizzata dal governo Draghi su proposta dell’allora ministra della giustizia Marta Cartabia. Gian Luigi Gatta, uno dei penalisti che ha contribuito a redigerla, l’ha definita «la più ampia e trasversale riforma della giustizia penale approvata negli ultimi trent’anni».

La riforma Cartabia sarebbe dovuta entrare in vigore il 1° novembre 2022, ma era stata rinviata con un controverso decreto-legge approvato il giorno prima che, secondo quanto dichiarato da Giuseppe Santalucia, presidente dell’Associazione nazionale magistrati, era auspicabile come «passaggio necessario alla definizione della disciplina transitoria» e «al riassetto organizzativo degli uffici giudiziari».

Sulla disciplina transitoria è intervento anche il decreto rave approvato in extremis il 30 dicembre, che fa slittare alcune norme della riforma in ambito civile e penale al 30 giugno 2023. La legge, prevista all’interno del Pnrr, punta a ridurre del 25% la durata media dei processi penali, rispetto al 2019, entro il 2026.

Secondo l’ultimo rapporto di valutazione della Commissione europea per l’efficienza della giustizia (Cepej), per arrivare a una sentenza di primo grado ci vogliono circa 500 giorni. «Il problema principale relativo all’efficienza giudiziaria in Italia rimane l’eccessiva durata dei procedimenti – si legge nella relazione – soprattutto per quanto riguarda i contenziosi civili e commerciali, nonostante la durata complessiva dei procedimenti sia costantemente diminuiti dal 2012 al 2018».

Uno dei primi provvedimenti presi per far fronte a questa situazione è quello che riguarda l’improcedibilità, già in vigore da ottobre 2021, che prevede tempi fissi – 2 anni per il processo d’appello e 1 in Cassazione – oltre i quali il processo si estingue. La disciplina della prescrizione viene rivista in linea con la riforma Bonafede.

Pur abrogando la sospensione del corso della prescrizione dopo sentenza di primo grado o decreto penale di condanna fino a sentenza definitiva, come voleva la cosiddetta Spazzacorrotti, la riforma Cartabia introduce infatti la cessazione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, ma prevede che la prescrizione riprenda il suo corso nel caso di annullamento della sentenza che comporti la regressione del procedimento al primo grado o a una fase anteriore.

Una misura che ha suscitato forti polemiche, tanto che il vicesegretario di Azione Enrico Costa ha già presentato un ordine del giorno per ripristinare la prescrizione che ha ottenuto il via libera dalla Camera col consenso della maggioranza e minaccia di trasformarlo in un disegno di legge per tornare alla riforma Orlando.

Il testo sostiene «la necessità di ripristinare definitivamente la disciplina sulla prescrizione in un quadro di coerenza sistematica. L’allungamento dei tempi processuali non solo collide con gli obiettivi del Pnrr che, al contrario, ne impongono una significativa riduzione, ma si pone altresì in aperto contrasto con i principi costituzionali di presunzione d’innocenza, funzione rieducativa della pena e ragionevole durata del processo».

Un altro provvedimento impopolare è quello che riguarda il restringimento della platea di reati procedibili d’ufficio a favore di quelli procedibili a querela. Rientrano ora in questa fattispecie furto, truffa, frode informatica, appropriazione indebita, violazione di domicilio, lesioni lievi, lesioni personali colpose stradali gravi o gravissime, lesioni personali dolose, molestie, violenza privata, danneggiamento e sequestro di persona non aggravato.

In tutti questi casi, se la vittima non presenta richiesta formale il reato non esiste. La riforma prevede inoltre pene sostitutive al carcere per condanne entro i 4 anni. Nello specifico è possibile scegliere tra pena pecuniaria per condanne fino a un anno, lavoro di pubblica utilità fino a tre anni e detenzione domiciliare o semilibertà fino a quattro anni.

Un altro filone è quello della riparazione del danno, che prevede la mediazione tra l’autore del reato e la vittima «secondo la logica della riconciliazione e ricomposizione del conflitto che le è propria». Nello specifico si intende, per giustizia riparativa, «ogni programma che consente alla vittima del reato, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato», con l’aiuto di un mediatore.

La riparazione può essere simbolica – dichiarazioni o scuse formali, impegni «anche pubblici o rivolti alla comunità» – o materiale: riparazione del danno, restituzioni ma anche «l’adoperarsi per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato o evitare che lo stesso sia portato a conseguenze ulteriori».

Un ulteriore elemento chiave della legge Cartabia è quello che assegna al giudice per le indagini preliminari (Gip) la possibilità di esercitare maggiore controllo sul pubblico ministero (Pm), in particolare sui tempi di iscrizione della notizia di reato. Ad accelerare l’iter processuale è anche l’istituzione della nuova udienza predibattimentale, cosiddetta ‘udienza filtro’, attraverso la quale è possibile pronunciare in anticipo la sentenza di non luogo a procedere «quando gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna».

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