Diritti

Come si racconta la violenza sulle donne?

La stampa è ancora pervasa da discriminazioni di genere, stereotipi e pregiudizi che mistificano il fenomeno riducendo le responsabilità degli aggressori. Per questo, come giornalisti è necessario darsi delle regole
Credit: Margarita/pex
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
9 gennaio 2023 Aggiornato alle 15:00

Come si narra la violenza sulle donne? Cosa si dovrebbe tralasciare in un caso di femminicidio? A cosa, invece, si dovrebbe dare risalto? La stampa italiana è ancora pervasa da discriminazioni di genere, stereotipi, pregiudizi e formule ricorrenti quando deve affrontare un caso di cronaca nera o giudiziaria che parla di forme più o meno estreme di violenza contro una donna in quanto tale, praticate attraverso condotte misogine.

Durante la vigilia di Natale una donna di 29 anni è stata uccisa nel suo appartamento di Castelvetrano, in Sicilia, dove viveva con il marito Ernesto Favaro, 63 anni, accusato del suo omicidio. Non si è trattato di una “tragedia”, né di “una storia d’amore finita male”, ma di uno dei 120 omicidi volontari con vittime di sesso femminile del 2022, tra cui almeno 59 femminicidi. Dopo di lei, circa dieci giorni dopo, la ventitreenne Giulia Donato è stata la prima vittima dell’anno: a ucciderla, il suo fidanzato Andrea Incorvaia. Avrebbe usato la pistola di cui era in possesso per il suo lavoro di guardia giurata. Da giorni, secondo chi indaga, il trentaduenne controllava la vittima in modo maniacale.

Dei femminicidi, però, non esiste una raccolta sistematizzata: il report realizzato dalla Direzione centrale della Polizia criminale in occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, sottolinea che «non viene effettuata un’analisi dei “femminicidi”, in quanto tale definizione, pur facendo riferimento a una categoria criminologica nota, non trova corrispondenza in una fattispecie codificata nel nostro ordinamento giuridico ed è pertanto suscettibile di differenti interpretazioni».

Una ricerca dell’Università degli Studi della Tuscia, in partnership con l’Associazione Differenza Donna e con il contributo del Dipartimento per le Pari Opportunità, ha analizzato la rappresentazione sociale della violenza di genere attraverso lo studio di 16.715 articoli usciti dal 2017 al 2019. È emersa una sovra-rappresentazione dei fenomeni minoritari di violenza: tra i casi riportati dalla stampa, pare che il reato più diffuso e problematico sia lo stalking, con ben il 53,4% degli articoli, seguito dai casi di omicidio/femminicidio, con 9 punti percentuali in meno. Solo al terzo posto, con il 14%, troviamo casi di violenza domestica, che invece rappresentano la larga maggioranza dei reati contro le donne.

Dall’analisi, che vaglia anche 238 sentenze dal 2010 al 2020, emerge che non solo le pagine dei giornali, ma anche i testi delle sentenze dei tribunali tendono a attenuare o omettere le responsabilità dei protagonisti maschili di episodi e reati di violenza: si dà estrema rilevanza a emotività e fragilità delle donne vittime di violenza, oppure alla gelosia del partner. Si sposta il focus dalla violenza domestica alla “coppia litigiosa” e si abusa del termine “raptus”. Questi termini contribuiscono a perpetuare una rappresentazione sociale della violenza che mistifica il fenomeno riducendo le responsabilità degli aggressori.

Il “Manifesto per il rispetto e la parità di genere nell’Informazione”, firmato a Venezia nel 2017 e varato dalla Commissione pari opportunità della Federazione Nazionale Stampa Italiana, il sindacato unico e unitario dei giornalisti italiani, propone un racconto corretto delle storie di donne vittime di femminicidio o di abusi. Il Manifesto di Venezia si oppone al sensazionalismo e propone una corretta informazione per contrastare la violenza sulle donne, con un linguaggio appropriato e nel rispetto della deontologia. Dal 1° gennaio 2021, poi, il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti ha aggiunto al Testo unico dei doveri del giornalista, che riunisce le più importanti carte deontologiche per la professione giornalistica, l’articolo 5 bis, che riguarda il linguaggio da utilizzare nei casi di violenza di genere.

Nonostante le norme citate, dal 2017 in avanti abbiamo comunque assistito a numerose performance giornalistiche che nulla hanno a che fare con il rispetto delle donne vittime di abusi e violenze, e che puntano il dito contro le debolezze e le mancanze che avrebbero spinto i partner o ex a compiere il “tragico gesto”. Nel 2020 su un quotidiano locale veniva raccontato un caso di molestie ai danni di una donna «perseguitata da mazzi di rose» e da uno «stalker gentile». A giugno dello scorso anno, su uno stupro di gruppo avvenuto a Milano Marittima, l’attenzione era sulla condizione della 14enne violentata, «ubriaca al mare». E le pagine dei quotidiani e i servizi tv sono pieni di “giganti gentili” e di uomini “pazzi per amore”.

Di recente, la giornalista di El País Isabel Valdés, corrispondente di genere del quotidiano spagnolo, ha lasciato in un thread su Twitter le linee guida usate nella sua redazione e rivolte a chiunque scriva di violenza di genere: «Titoliamo per l’assassino, mai per la donna che è stata uccisa. L’attenzione deve essere sull’aggressore e non sulla vittima», scrive Valdés, affiancando alle regole alcuni esempi. Una volta appreso dell’omicidio, e solo sapendo per certo che l’aggressore è stato arrestato o è andato in tribunale, «lo portiamo in prima pagina, per evidenziare le conseguenze del crimine». Poi si includono i dettagli più rilevanti: la vittima aveva già denunciato? Quanti anni ha l’uomo? Mai usare, come sinonimi, la violenza domestica e quella di genere: «Non sono forme di violenza uguali e quindi non sono termini intercambiabili».

El País preferisce il termine “violenza maschile” a “violenza di genere”, quando accertata, e «la vittima non può apparire come soggetto passivo isolato dal soggetto stesso dell’azione». Inoltre, «mettiamo sempre il conteggio delle vittime durante l’anno in corso» e, se esistono statistiche mensili, «usiamo due formule». Se ci sono minori orfani, «includiamo anche i dati ufficiali» relativi al fenomeno. Nel paragrafo finale, gli articoli che trattano i casi di violenza di genere o maschile includono sempre i numeri di assistenza telefonica, messaggistica e online per le vittime di violenza, oltre ai numeri di emergenza nazionali.

Anche noi de La Svolta, negli articoli che tratteranno di violenza sulle donne e femminicidi, seguiremo queste linee guida.

Il 1522 è un servizio multilingue, attivo 24 ore su 24, rivolto alle vittime di violenza e stalking. Così come la mail telefonorosa@alice.it e l’app YouPol per i maltrattamenti in famiglia.

• Questo articolo è stato modificato l’11 gennaio 2023. Una versione precedente riportava che i femminicidi in Italia nel 2022 sono stati 120, di cui 57 commessi per mano di partner o ex partner: specifichiamo che si tratta di 120 omicidi volontari con vittime donne. I femminicidi, ovvero “tutte le forme di violenza contro la donna in quanto donna, praticate attraverso diverse condotte misogine (maltrattamenti, abusi sessuali, violenza fisica o psicologica), che possono culminare nell’omicidio” (Treccani), sono stati 59.

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