Diritti

Quello che (non) si sapeva delle Farfalle

Dopo l’iscrizione nel registro degli indagati della direttrice tecnica della nazionale di ginnastica ritmica, Daniela Simonetti dell’associazione Change The Game ha spiegato alla Svolta: «non è stato un fulmine a ciel sereno»
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 7 min lettura
2 gennaio 2023 Aggiornato alle 12:10

La giustizia deve fare il suo corso. Delle tante frasi che si pronunciano durante i casi giudiziari più spinosi questa è tra le più ricorrenti e per quanto assolutamente corretta in uno stato di diritto, esistono storie in cui credere in un epilogo diverso dal prologo è molto difficile.

Per l’enorme numero di testimonianze, denunce, e prove giudicate fino a ora piuttosto attendibili, quella che racconta gli abusi nel settore della ginnastica ritmica italiana entra a pieno diritto nella categoria.

È di alcuni giorni fa l’iscrizione nel registro degli indagati della direttrice tecnica della Nazionale Emanuela Maccarani e della sua assistente Olga Tishina. Le accuse mosse dal procuratore capo Claudio Gittardi sono relative alle violenze e umiliazioni denunciate lo scorso novembre dalle ex ginnaste Nina Corradini e Anna Basta e successivamente da Giulia Galtarossa, Sara Branciamore e molte altre, che hanno alzato il velo su ciò che accade nel dietro le quinte del mondo luccicante delle Farfalle.

Un mondo fatto di molte luci ma altrettante ombre che Daniela Simonetti, fondatrice e presidente dell’associazione Change the Game conosce molto bene, come spiega a La Svolta.

«Ci occupiamo da anni del contrasto alle violenze siano esse sessuali, emotive o fisiche, nel mondo dello sport e quanto raccontato dalle ragazze purtroppo per noi non è stato un fulmine a ciel sereno».

Come avete preso la notizia di Maccarani e Tishina nel registro degli indagati?

Aspettiamo gli sviluppi giudiziari ma nel frattempo chiediamo che queste persone, che tuttora lavorano nell’accademia di Desio dove sarebbero avvenuti i fatti che le vedono coinvolte, vengano sospese dall’attività in via cautelare.

Essere iscritti nel registro degli indagati ovviamente non significa essere colpevoli ma in attesa che la giustizia ordinaria si pronunci è necessario che quella sportiva agisca dando un segnale forte alle ragazze e alle loro famiglie perché se si vuole davvero che qualcosa cambi si devono compiere passi anche dolorosi ma necessari.

Le parole delle prime ragazze che si sono esposte sono servite a dare forza alle altre?

Sì, le denunce in questo periodo sono aumentate e siamo arrivati al momento a oltre 200, provenienti da tutta Italia e in particolare dalla Lombardia. In tutte sono presenti abusi emotivi, nel 45% dei casi anche violenza fisica.

Le atlete hanno infatti parlato di vessazioni continue, costrizioni alimentari, istigazioni a diete estreme che hanno portano a sviluppare l’anoressia nervosa attraverso umiliazioni verbali inerenti al loro corpo, tutto ciò nell’accademia della Nazionale e non solo, possibile che nessuno vigilasse su ciò che accadeva in palestra?

La ginnastica è un mondo molto chiuso. Pochi giorni fa la mamma di una ragazza mi ha raccontato di aver più volte cercato di entrare in palestra ma di essere sempre stata cacciata e purtroppo non si tratta di un episodio isolato ma di una prassi che testimonia come il sistema di controllo e trasparenza sia completamente saltato e come i genitori vengano sistematicamente esclusi ma ne vogliono fare un capro espiatorio.

Si parlava di queste cose già dal 1997 ma da allora nulla si è mosso. Adesso però è il momento di cambiare le cose e noi cercheremo di farlo insieme alle tante atlete, ex atlete, mamme e papà, istruttori e istruttrici per bene che vogliono dare il loro contributo.

Il tempo della finzione è finito. A breve incontreremo il Presidente di Federginnastica Gherardo Tecchi, al quale avanzeremo richieste chiare e inflessibili.

Quali?

Che sia facilitato e più trasparente il contatto con i genitori e le atlete e soprattutto che una piccola commissione di persone di comprovata esperienza e autonomia sia affiancata al Safeguarding Officer FGI, l’organismo interno alla Federazione volto a vigilare su situazioni di questo tipo. La formazione per i tecnici deve essere obbligatoria, continuativa, professionale. Daremo vita a una commissione di inchiesta indipendente per l’accertamento delle responsabilità e chiederemo un pacchetto di modifiche per i regolamenti di giustizia sportiva, dall’aumento dei termini di prescrizione, all’introduzione dell’illecito disciplinare riguardante la violenza sui minori con sanzioni severe e l’applicazione di misure cautelari come la sospensione in attesa del processo sportivo. Bisogna puntare sull’autonomia, perché la credibilità si gioca sull’indipendenza per evitare archiviazioni e insabbiamenti. Bisogna rivoluzionare il sistema, renderlo accogliente, trasparente, giusto.

Il fatto che le denunce di Nina Corradini e Anna Basta siano avvenute dopo la loro uscita dalla Federginnastica testimonia proprio la difficoltà di parlare da dentro.

Esattamente. Non è un segreto che nell’ambiente esistano meccanismi ritorsivi e di disincentivo alle denunce. Un’atleta o un istruttore in attività fa molta fatica a dire la verità se in qualche modo va contro il proprio mondo di appartenenza, rischia di perdere lavoro e di essere escluso o espulso dal contesto sportivo.

Molti atleti e molte atlete inoltre portano la divisa delle forze armate, alle quali devono chiedere permessi prima di ogni intervista e che molto spesso invece di spingere a parlare e incoraggiare a dire la verità suggeriscono di non farlo. Continuando sulla strada dell’omertà però non si può che andare incontro alla morte sportiva.

C’è chi dice che queste ragazze siano semplicemente troppo fragili per l’agonismo.

Tutti abbiamo delle fragilità, anche noi adulti. I bambini e le bambine per la loro età e per i loro meccanismi di crescita lo sono tutti. E questa sarebbe una giustificazione? Lo sport deve aiutare a crescere senza violenza o abusi, non è un contesto militare e non è una guerra. Lo sport è gioco, divertimento, rispetto, non facciamone un mondo dove in nome di una medaglia persino in una garetta regionale si distruggono vite e si giustifica la violenza.

Si è anche detto che i metodi un po’ forti facciano parte degli allenamenti che mirano all’eccellenza.

Chi lo pensa è fuori dalla logica e dalla storia. Allenatori che portano ancora avanti allenamenti di tipo militaresco vanno allontanati ma le responsabilità non vanno scaricate solo sui tecnici. Chi non si adegua questi sistemi non lavora, questo emerge dalle testimonianze. Si deve provvedere a formare in modo diverso e migliore chi lavora a fianco delle ragazze e dei ragazzi perché i danni che gli abusi e le violenze generano sono incalcolabili. Ma il problema è di sistema e le responsabilità vanno cercate a tutti i livelli, se vogliamo essere seri.

Lei è in contatto diretto con le ragazze?

Sì, le sento quasi quotidianamente, voglio sapere come stanno e mi interesso del loro futuro. Le ammiro per il coraggio che hanno e la voglia di far valere i loro diritti in tutte le sedi.

Al contempo però sono molto preoccupata perché il colpo che è stato inferto alla loro autostima ha indotto molte a pensare di non valere nulla perché’ la loro autostima è stata ferita e colpita.

Anche perché su di loro si è riversato il fenomeno del ‘victim blaming’, una sorta di discredito che in questo caso è stato portato avanti al grido di «potevano denunciare prima, comodo farlo una volta smesso di gareggiare»

L’unica cosa da chiedersi è se i fatti siano veri, il resto non conta. Tutte le vittime vengono screditate perché tentare di indebolirle è l’unico modo per difendersi quando, come in questo caso, le testimonianze sono convergenti e alla base del sistema accusatorio anche se accompagnate da prove e documenti importanti e rilevanti.

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