Ambiente

Climate change: il (disastroso) bilancio di fine anno

La tempesta Eunice, la siccità estiva, gli uragani Fiona e Ian. Ora, la bufera artica negli Usa e l’alluvione a Petra. «Fondamentale mitigare l’impatto», spiega a La Svolta il climatologo Antonello Pasini
Auto bloccate nella neve in una foto pubblicata sui social media dal governatore Kathy Hochul. "Uno sguardo al centro di Buffalo" ha scritto
Auto bloccate nella neve in una foto pubblicata sui social media dal governatore Kathy Hochul. "Uno sguardo al centro di Buffalo" ha scritto Credit: Gov. Kathy Hochul/ZUMA Press Wire
Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
29 dicembre 2022 Aggiornato alle 10:00

La tempesta artica che, a partire dalla settimana scorsa, si è abbattuta sugli Stati Uniti causando la morte di oltre 60 persone, come pure l’alluvione che in queste ore ha interessato il sito archeologico patrimonio Unesco di Petra, in Giordania, sono solo gli ultimi eventi estremi di un anno catastrofico dal punto di vista climatico.

Non tutti gli scienziati concordano nell’addebitare l’eccezionale tempesta di neve statunitense agli effetti del climate change ma, come spiega a La Svolta Antonello Pasini, fisico climatologo del Cnr e docente di Fisica del clima presso l’Università di Roma Tre, la copertura glaciale del Polo Nord sta diminuendo a livelli allarmanti, e questo fa sì che l’aria fredda scenda verso Sud.

«Negli ultimi 40 anni abbiamo perso 3 milioni di km quadrati di ghiaccio, pari a 10 volte l’Italia – spiega Pasini – quindi anche se questi fenomeni sono sempre accaduti, la loro maggiore frequenza, in particolare negli ultimi 2 decenni, potrebbe essere l’altra faccia della medaglia del riscaldamento globale».

Secondo quanto riferito all’Ansa dal climatologo Bernardo Gozzini, direttore del Consorzio Lamma (Laboratorio di monitoraggio e modellistica ambientale), le temperature massime e medie registrate nel 2022 ne fanno l’anno più caldo dal 1.800.

A livello globale, il rapporto mensile realizzato dal National Centers for Environmental Information (Ncei), l’agenzia governativa statunitense che risponde alla National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa), a novembre ha stimato con una percentuale superiore al 99% la probabilità che il 2022 si riveli uno dei 10 anni più caldi mai registrati.

I danni non sono solo per l’ambiente. Sul piano economico, i 10 disastri più costosi del 2022 hanno causato danni per oltre 3 miliardi di dollari ciascuno. A rilevarlo è l’ultimo rapporto realizzato dall’agenzia di soccorso e sviluppo Christian Aid.

Prima, in ordine di tempo, la tempesta Eunice che a febbraio ha colpito il Nord e il Centro Europa (4,3 miliardi). Ma a scavare le rughe più profonde sul Vecchio Continente è stata la siccità, che da giugno a settembre ha avuto un impatto pari a oltre 20 miliardi.

A seguire sul calendario sono state le inondazioni in Australia orientale (+7,5 miliardi), in Sudafrica (+3 miliardi), Pakistan (+5,6 miliardi) – dove le alluvioni estive hanno causato oltre 1.700 vittime e 7 milioni di sfollati – e in Cina (+12,3 miliardi).

E ancora gli uragani Fiona e Ian, che tra settembre e ottobre hanno devastato Caraibi, Canada e Stati Uniti mettendo in strada oltre 50.000 persone. Il ciclone Ian, che ha colpito in particolare Cuba e la costa orientale Usa, ha provocato da solo oltre 40.000 sfollati e oltre 100 miliardi di danni.

«Avere 10 disastri climatici separati nell’ultimo anno, ciascuno dei quali è costato più di 3 miliardi di dollari, indica il costo finanziario dell’inazione sulla crisi climatica – ha dichiarato Patrick Watt, amministratore delegato di Christian Aid – Ma dietro le cifre in dollari si celano milioni di storie di perdite e sofferenze umane. Senza grandi tagli alle emissioni di gas serra, questo tributo umano e finanziario non farà che aumentare».

«La maggior parte di queste stime si basa solo sui sinistri assicurati, spiega l’agenzia britannica, il che significa che i veri costi finanziari potrebbero essere ancora più elevati, mentre i costi umani sono spesso non conteggiati». Inoltre i costi finanziari sono in genere più alti nei Paesi più ricchi a causa dei valori immobiliari più elevati, mentre alcuni degli eventi più estremi hanno colpito le nazioni più povere.

La siccità che ha interessato la regione del Corno d’Africa, a est del continente, ha colpito oltre 36 milioni di persone, molte delle quali finite sull’orlo della carestia. Nell’Africa occidentale, invece, 1,3 milioni di persone sono state sfollate in conseguenza delle inondazioni che hanno ucciso più di 600 persone in Nigeria, Camerun, Mali e Niger.

Esaminando il report Lancet Countdown 2022, emerge come nel periodo 2020-2021 la superficie terrestre è stata colpita da siccità estrema per almeno un mese all’anno il 29% in più rispetto al periodo 1951-1960, e la frequenza crescente delle ondate di caldo ha portato circa 98 milioni di persone in più a soffrire di insicurezza alimentare moderata o grave nel 2020 rispetto alla media del periodo 1981-2010.

Come se ne esce? «Il clima ha un’inerzia e non è possibile tornare indietro ai livelli preindustriali – sostiene ancora Pasini – Anche se la temperatura media rimanesse quella attuale, tra 80 anni i nostri ghiacciai perderebbero un altro 30% in termini di superficie e volume».

Per questo occorre primo di tutto adattarsi – aggiunge Pasini – ma è fondamentale mitigare l’impatto per non arrivare a scenari in cui non sarebbe più possibile. Se le emissioni continuano secondo il modello business as usual, a fine secolo la quota dei nostri giacchiai diminuirà del 90%, con conseguenze drammatiche per le risorse idriche.

Ma per mitigare la crisi in modo efficace occorre che i Paesi sviluppati diano sostegno concreto ai quelli in via di sviluppo. «L’accordo sul loss and damage emerso dalla Cop27 punta al risarcimento dei danni passati. Giusto, ma occorre anche cooperare per cercare strategie future – conclude Pasini – La politica dei muri non funziona: in un sistema interconnesso come quello attuale, o vinciamo tutti o perdiamo tutti».

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