Economia

Taglio del cuneo fiscale: come cambieranno gli stipendi?

A beneficiare della nuova misura saranno 4 milioni di lavoratori dipendenti in più, per un totale di 15,4 milioni di italiani
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28 dicembre 2022 Aggiornato alle 18:00

È stato approvato il taglio del cuneo fiscale del 3% per i lavoratori che hanno un reddito fino a 25.000 euro, a beneficiare della nuova misura saranno 4 milioni di lavoratori dipendenti in più, per un totale di 15,4 milioni di italiani. Gli stipendi netti saranno, dunque, più alti. Tante sono state le polemiche per la poca incisività del provvedimento, che non risulta essere così tanto vantaggioso per i lavoratori.

Con la Manovra di Bilancio è stato approvato il taglio del cuneo fiscale del 2 e del 3% per i lavoratori, che a partire da gennaio avranno una busta paga più “piena”. Il cuneo fiscale è la differenza tra lo stipendio lordo (versato dal datore di lavoro) e lo stipendio netto che viene percepito in busta paga dal lavoratore. Il costo totale della misura è di circa 4,8 miliardi di euro. È importante sottolineare che il taglio non comporterà alcuna riduzione della futura pensione.

L’obiettivo del Governo Meloni rimane quello di introdurre il taglio del 5% entro la fine della legislatura, procedendo in maniera graduale.

Come era stato già deciso dal governo guidato da Mario Draghi, a beneficiare di questo taglio del 2% saranno i lavoratori dipendenti con un reddito fino a 35.000 euro (stipendi mensili da 1.923 euro fino a 2.696 euro). Con la Manovra 2023 ci sarà anche un taglio del 3% per i lavoratori dipendenti con reddito fino a 25.000 euro (retribuzione mensile fino a 1.923 euro).

Con il taglio dell’aliquota del 3% si allarga, dunque, la platea dei lavoratori che beneficeranno dell’aumento della busta paga, si calcolano circa 4 milioni in più rispetto all’anno precedente, per un totale di 15,4 milioni di dipendenti. L’emendamento, infatti, prevede l’allargamento della fascia di reddito di coloro che possono beneficiare del taglio del 3%, passando da un reddito di 20.000 euro, previsto inizialmente, a 25.000 euro.

Ma parliamo di numeri, quanti soldi in più arriveranno direttamente al lavoratore?

Se un dipendente ha un reddito pari a 10.000 euro, potendo beneficiare del taglio del 3%, egli avrà un aumento della sua busta paga di 19,25 euro al mese, che in un anno sono 231 euro.

Coloro che hanno un reddito di 15.000 euro, avranno un aumento mensile di 28,88 euro, e annuale di 346,50.

Per i lavoratori con un reddito pari a 20.000 euro, la busta paga aumenterà di 32,92 euro, per un totale di 395 euro in più in un anno.

Infine, coloro che hanno un reddito di 25.000 euro, si vedranno aumentare lo stipendio netto mensile di 41,15 euro, annuale di 493.

Per i lavoratori che invece hanno un reddito tra 25.000 e 35.000 euro, non ci sarà alcun cambiamento rispetto al 2022, potranno beneficiare del taglio del 2%.

Prendendo, invece, come riferimento gli stipendi mensili vediamo come cambia la situazione. Per chi guadagna 1.000 euro al mese, l’aumento della busta paga sarà di 10 euro; chi guadagna 1.300 euro, avrà un aumento mensile di 13 euro; l’aumento sarà di 15 euro per chi percepisce uno stipendio di 1.500 euro; per chi guadagna 1.700 euro invece ci sarà un aumento di 17 euro e, infine, per coloro che prendono uno stipendio di 1.900 euro, l’aumento sarà di 19 euro. Coloro che percepiscono uno stipendio più alto sono, dunque, avvantaggiati perché vedranno un aumento maggiore.

Questo emendamento ha generato diverse polemiche, in particolare tra i sindacati. Pierpaolo Bombardieri, segretario generale dell’Uil (Unione Italiana del Lavoro), ritiene questa misura poco incisiva, «un parziale intervento», dal momento che l’aumento della busta paga dei lavoratori è veramente minimo. L’Uil, infatti, aveva proposto la detassazione della tredicesima e degli aumenti contrattuali.

È proprio qui il punto. La misura non risulta essere incisiva perché riguarda la retribuzione imponibile previdenziale e non l’imponibile fiscale. Il taglio dei contributi abbassa le spese deducibili dallo stipendio lordo e va ad aumentare l’imponibile fiscale. Risultato? Aumenta la base di calcolo dell’Irpef e quindi si pagherà un Irpef più alto.

Come è stato calcolato da Il Sole 24 Ore, se un dipendente ha una retribuzione imponibile previdenziale di 2.335 euro avrà una decontribuzione del 2% che vale 46,70 euro, ma lo stipendio netto sarà aumentato di soli 30,31 euro; il discorso non cambia per chi potrà beneficiare del taglio del 3%. Se un dipendente guadagna uno stipendio lordo mensile inferiore a 1.923 euro avrà una decontribuzione pari a 55,71 euro e un beneficio netto di 36,15 euro.

Non c’è vantaggio, perché il lavoratore non riesce a recuperare totalmente il taglio del cuneo fiscale; sarà quindi necessario trovare delle misure alternative che non si basino sull’imponibile previdenziale.

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