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Angelina Jolie: addio all’Onu, non alle questioni umanitarie

L’attrice ha chiuso la sua carriera ventennale come inviata speciale per l’Alto commissariato Onu per i rifugiati: «continuerò con le organizzazioni locali»
Credit: EPA/UNHCR
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23 dicembre 2022 Aggiornato alle 20:45

Angelina Jolie lascia l’incarico di inviata speciale dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati; la separazione tra l’attrice e l’organizzazione internazionale è stata consensuale e, pare, pacifica, ma le ragioni che hanno portato alla fine della sua lunga carriera meritano un’attenzione particolare, non tanto per il caso in sé (Jolie non è certo la prima attrice hollywoodiana ad avere a cuore i temi umanitari), quanto per fare luce su alcuni aspetti del sistema onusiano, che la stessa Jolie aveva evidenziato in passato.

Un impegno da più di 20 anni

Jolie iniziò a collaborare con l’Onu nel 2001, ma il suo interesse verso le questioni umanitarie, soprattutto per i rifugiati, esiste da molto prima; più volte si è espressa sul dramma e le sistemiche violazioni dei diritti umani dei migranti e sulla necessità di parlare al mondo di questa causa.

L’attrice ha visitato numerose zone di conflitto del mondo, tra cui Siria, Yemen, Afghanistan e Myanmar, per un totale di 60 visite sul campo dal 2001, prima come ambasciatrice e poi come inviata speciale dell‘Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr).

Ciò che colpiva la stampa internazionale era la spontaneità di Jolie, che si intravedeva dai video girati durante le missioni e le visite nelle zone di conflitto. Fu iconico quello di una visita del 2014 a famiglie siriane in arrivo da città devastate dalla guerra nella Valle della Bekaa, in Libano; Jolie, seduta sul pavimento, accanto a bambini che avevano perso la madre in un attacco aereo e il padre in guerra. Una di loro dice a Jolie di voler andare a dormire per poter sognare sua madre, perché di notte i ricordi le tornano in mente.

A maggio, poi, Jolie si è recata in Ucraina, svolgendo attività di volontariato con organizzazioni non governative locali nella città occidentale di Lviv, a titolo personale e al di fuori di un ruolo ufficiale con le Nazioni Unite, probabilmente anticipando la separazione imminente dall’organizzazione internazionale.

«Angelina Jolie è stata a lungo un importante partner umanitario dell’Unhcr», ha dichiarato Filippo Grandi, Alto Commissario dell’Agenzia per i Rifugiati. Il potere di Jolie, una delle attrici hollywoodiane più celebri della sua epoca, ha portato le telecamere e l’attenzione su ogni conflitto che ha visitato. Angelina Jolie nel comunicato congiunto con cui è stata annunciata la fine del rapporto ha detto di essere «grata per il privilegio e l’opportunità avuta», e ha promesso che «continuerò a fare tutto quanto in mio potere per sostenere i rifugiati».

Il commissario Grandi ha proseguito esprimendo la sua comprensione verso la scelta dell’attrice, dichiarando di essere fiducioso riguardo la loro amicizia. La dichiarazione, a ben vedere, sembra il tentativo di evitare polemiche sulla vicenda, non riuscendoci, tuttavia.

Le critiche al sistema ONU

La separazione tra l’attrice e l’organizzazione internazionale giunge in un momento particolarmente complesso per le Nazioni Unite, in grave difficoltà nella gestione delle risorse. Ad agosto l’agenzia umanitaria ha dichiarato che l’attenzione rivolta alla guerra in Ucraina ha reso più complessa la mobilitazione di fondi per i continui conflitti in Medio Oriente, Africa e Asia. Si stima che siano circa 100 milioni gli sfollati a causa di guerre, cambiamento climatico e degrado ambientale, e l’organizzazione delle risorse scarseggia ormai da tempo.

Inoltre, le Nazioni Unite, a causa di scelte sbagliate e scandali del passato, non hanno sempre goduto di un’ottima reputazione. La scelta, a esempio, di utilizzare volti noti come quello di Jolie è stata spesso aspramente criticata dai detrattori dell’Onu, che vedevano un allontanamento dalla loro missione principale di prevenzione e risoluzione dei conflitti, in favore di una mossa di marketing, di pubblicità, che poco si addice al ruolo di organismo internazionale per la pace e la lotta alle diseguaglianze. A questo proposito, però, è doveroso dire che Jolie ha preso sul serio il suo incarico fin da subito e, anzi, ha manifestato a più riprese un certo dissenso per alcuni meccanismi interni al Palazzo di Vetro.

Nel giugno scorso, in un articolo pubblicato dal Time, aveva scritto che “a causa del modo in cui è stata costruita, l’Onu pende verso gli interessi e le voci delle nazioni più potenti, a spese della gente che soffre» e mesi dopo nel Guardian aveva denunciato come «spesso ci imbattiamo in alcuni membri del Consiglio di sicurezza che abusano del loro potere di veto, come nel caso della Siria”.

Per chi ha un minimo di dimestichezza con il diritto internazionale, o una buona memoria storica, non si tratta di verità nascoste. La manifestazione più eclatante, perché vicina a noi, del disinteresse delle istituzioni internazionali rispetto ai popoli più svantaggiati si è palesata durante il conflitto nell’ex Jugoslavia. Ma anche in Siria e in Africa. Conflitti in cui il diritto internazionale è stato violato gravemente, i diritti umani calpestati, e l’obiettivo era solo una pace strategica tra potenze, non tra esseri umani.

Le Nazioni Unite rappresentano una vittoria per la civiltà, quanto meno quella occidentale, e un’istituzione necessaria non solo nella mediazione dei conflitti tra stati, ma anche per la prevenzione della povertà, per arginare le conseguenze disastrose del cambiamento climatico e per delineare i principi di una giustizia globale. I nobili obiettivi contenuti nella Carta delle Nazioni Unite del 1945, tuttavia, si sono rivelati fin da subito come una prerogativa degli stati occidentali, troppo spesso a scapito degli altri.

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di Redazione 3 min lettura