Diritti

La molestia sessuale non esiste

La condanna per violenza sessuale comminata ad Andrea Serrani per aver molestato Greta Beccaglia ci ricorda che nel nostro ordinamento c’è un vuoto piuttosto grosso
Credit: Dmytrij Zub 
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23 dicembre 2022 Aggiornato alle 06:30

Il nome lo mettiamo in testa, che si veda: Andrea Serrani, ristoratore marchigiano, è stato condannato per violenza sessuale ai danni di Greta Beccaglia, giornalista sportiva che Serrani ha molestato in diretta, mentre Beccaglia faceva il suo lavoro.

Beccaglia stava parlando con lo studio televisivo con cui era collegata: Serrani si è sputato su una mano, le è arrivato dietro di corsa e le ha rifilato una pacca. Tutto ripreso dalle telecamere. La stupidità, per sua fortuna, non è reato: toccare una donna nelle parti intime senza il suo consenso, invece, sì.

Dicevo che il nome di Serrani lo mettiamo in testa, perché dai titoli e dai lanci sembra essere sparito: è diventato “il tifoso”, uno fra tanti, non un uomo con un nome e un cognome che ha molestato una donna ma un tifoso intento a tifare, uno che si stava divertendo, o meglio: uno che stava sfogando la stizza per una sconfitta, che vuoi che sia. È una delle tante storture di questa storia, che probabilmente è finita com’è finita solo perché Beccaglia ha deciso di denunciarlo, forte del fatto che il gesto era stato ripreso da più angolature.

C’erano le pezze d’appoggio, insomma, per stabilire che Serrani aveva fatto quello che aveva fatto, e che gli è costato una pena di un anno e sei mesi di reclusione con pena sospesa, che sconterà facendo corsi di formazione nei centri antiviolenza, oltre a un risarcimento pecuniario a Beccaglia e alle parti civili. Beccaglia, da parte sua, ha già annunciato che devolverà i soldi a una onlus che tutela i diritti delle donne nel mondo.

Ci sarebbero molte cose da dire, ne dirò alcune. La prima è che è assurdo che il nostro ordinamento non preveda la molestia sessuale come fattispecie di reato: è per questo che Serrani è andato a processo per violenza sessuale, come indica una sentenza della Corte di Cassazione penale. Il codice penale prevede la molestia (nel senso di “fastidio arrecato”) e la violenza sessuale, ma non le due cose insieme; la sentenza della Corte di Cassazione, quindi, derubrica l’atto di apostrofare una persona con parole volgari o allusioni sessuali indesiderate a “fastidio”.

Siamo state tutte ragazzine. Conosciamo la differenza fra il fastidio (sopportabile, rimediabile) e l’angoscia che ci provoca essere seguite, apostrofate per strada o bersagliate di fischi da parte di uomini adulti che godevano nell’affermare la loro superiorità virile scaricandola sui nostri corpi. La molestia non è (solo) fastidio: è di volta in volta terrore, umiliazione, ansia e rabbia, a seconda dell’età, delle circostanze, del momento in cui accade, del contesto. Per decenni siamo state costrette a fare finta di niente, a non dire, a considerarlo normale. Siamo state addestrate a pensarci prede, a mettere in atto strategie per sfuggire al predatore.

Le leggi tracciano confini, per quanto sottili e interpretabili. Ci dicono cosa è lecito e cosa e non lo è, cosa costituisce reato e cosa invece è una violazione minore. Se le leggi sulle molestie, la violenza e la violazione del consenso sono così frammentarie e lacunose è anche e soprattutto perché per moltissimo tempo non siamo state nelle condizioni di parlare in prima persona delle nostre esperienze: le leggi su questi temi, che ci riguardano in prima persona, sono state scritte senza consultarci. Sono un’approssimazione che non tiene conto della realtà.

Insomma, quella palpata volante (che non è “goliardia”, per quanto ci si sforzi di farla passare per tale) va a processo come violenza per l’incapacità del legislatore di prevedere il reato specifico. La divulgazione della condanna ha rivitalizzato quindi i discorsi giustificazionisti che avevamo già sentito quando l’episodio diventò di dominio pubblico: fra quelle che “gli poteva dare un ceffone e a posto così”, quelli che “esagerati! Scandalo! Una pacca non è una violenza sessuale!” fino a quelli che “lei non doveva denunciare proprio”, siamo alle solite. A quanto pare è proprio brutto per una donna non considerarsi un oggetto a disposizione degli uomini.

Greta Beccaglia ha fatto benissimo a denunciare Andrea Serrani. Poteva farlo, aveva la ragionevole certezza di arrivare a una condanna, ed è andata avanti. Adesso c’è una sentenza che dice che no, non va bene toccare le donne senza il loro consenso; e c’è una pena che potrebbe costituire un arricchimento per il reo, perché magari li facessero tutti, i corsi di formazione sulla violenza e sul rispetto.

Manca solo una riforma della legge che riconosca l’esistenza della molestia sessuale come fattispecie di reato, con una descrizione, delle pene specifiche e una gradualità. I corsi nei centri antiviolenza, nel dubbio, ce li lascerei.

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