Ambiente

Biodiversità, tra specie scoperte e scomparse nel 2022

Quanti siamo su questo Pianeta? Lungi dall’essere la battuta di apertura di un film di fantascienza, in questa domanda sono racchiusi il grande fascino della natura e la sua estrema delicatezza
Credit: Tapir Valley Tree Frog RE: Wild

Quanti siamo su questo Pianeta? Lungi dall’essere la battuta di apertura di un film di fantascienza, in questa domanda sono racchiusi il grande fascino della biodiversità e la sua estrema delicatezza.

Nonostante il tentativo di analizzare e classificare le specie possa essere fatto ricondurre addirittura ad Aristotele, infatti, centinaia di anni di ricerca non hanno ancora risolto il mistero. La maggior parte dei report fa riferimento a una cifra che si avvicina agli 8,7 milioni di specie viventi stimate, di cui 6,5 terrestri e 2,2 milioni marine e oceaniche ma la portata della biodiversità del Pianeta potrebbe variare dagli 8 ai 100 milioni di specie, fino ad arrivare a cifre che sfiorano il miliardo se si considerano anche i microrganismi.

Questo significa che, a seconda del dato che vogliamo considerare, dobbiamo ancora scoprire dall’86% al 99,99% delle specie che abitano il pianeta. Il motivo di questa incertezza è che, al contrario di quanto pensiamo, la Terra è ancora avvolta da un alone di mistero così fitto da sembrare impenetrabile. E lo è ancora di più se consideriamo la vita negli abissi di cui, a oggi, abbiamo mappato solo il 5% dei fondali ma che sappiamo essere l’habitat più esteso del pianeta, caratterizzato da una biodiversità sorprendentemente ricca, varia e specializzata costituita da vermi policheti, crostacei, molluschi, tardigradi e tanti, tantissimi batteri.

Si stima che potrebbero esserci mezzo milione di tipi diversi di microbi in un solo litro di acqua di mare!

La scoperta di nuove specie

Ogni anno vengono scoperti, analizzati e catalogati organismi provenienti da ogni angolo del mondo. Alcune di queste creature sono completamente sconosciute, vengono trovate per caso o dopo un’assidua ricerca.

Altre ancora, invece, sono frutto di un’analisi più approfondita che porta a una loro classificazione separata, oppure sono rimaste per anni chiuse tra teche, erbari e fungari in attesa che qualcuno si accorgesse della loro esistenza e unicità. Il ritmo medio di catalogazione è di circa 15.000 specie l’anno ma tuttora non esiste una lista chiara e univoca di quelle descritte fino a ora tanto che, da più parti, si parla di “crisi tassonomica” facendo riferimento proprio alla mancanza di esperti di quella disciplina - la tassonomia - che ha il compito di esaminare e catalogare l’unità di misura della biodiversità: le specie.

Eppure, come abbiamo visto nelle ultime due settimane di negoziati della Conferenza delle Nazioni Unite sulla Biodiversità (Cop15), conoscere le specie e il loro status di conservazione sarebbe uno dei prerequisiti per spingere la comunità internazionale, gli Stati e gli individui all’azione.

Le nuove arrivate del 2022

Nell’ultimo anno, i ricercatori della California Academy of Sciences hanno annunciato l’esistenza di 146 nuove specie tra animali, piante e funghi, di cui 44 lucertole, 30 formiche, 14 lumache marine, 14 piante da fiore, 13 stelle marine, 7 pesci, 4 scarafaggi, 4 squali, 3 bradipi, 3 vermi, 2 scorpioni, 2 ragni, 2 licheni, 1 rospo, 1 vongola, 1 afide e 1 riccio. Alcune prendono il nome del luogo in cui vengono trovate, come nel caso di Tlalocohyla celeste, una Rana arboricola della Tapyr Valley, in Costa Rica, scoperta da Donald Valera Soto e dalla sua equipe in una riserva che negli ultimi 18 anni è stata oggetto di una profonda opera di rinaturalizzazione. Altre, invece, sono un omaggio a personaggi illustri: è il caso delle 40 specie diverse il cui nome ricorda il noto naturalista David Attenborough, oppure Nannaria swiftae il millepiedi americano il cui nome ricorda quello della cantante Taylor Swift, o ancora Uvariopsis dicaprio, un albero del Cameron che fa eco all’attore Hollywoodiano.

C’è chi appare dal nulla e chi rischia di scomparire per sempre

Se la scoperta di nuove specie rappresenta una delle caratteristiche più affascinanti della biodiversità, dall’altra il non sapere quanti organismi condividono con noi la vita sul Pianeta fa sì che nel momento stesso in cui state leggendo questo pezzo, una nuova specie potrebbe essere sull’orlo dell’estinzione - a causa delle nostre attività - senza nemmeno averci dato il tempo di scoprirla. Ecco perché il baratro verso il quale stiamo spingendo la biodiversità del pianeta rende il compito di trovare, descrivere e classificare le specie una vera e propria corsa contro il tempo visto che la scomparsa di un essere vivente se ne va anche la sua funzionalità a livello ecosistemico oltre che una fonte potenziale per la creazione di farmaci, alimenti, fibre naturali e tanto altro ancora.

Nonostante l’estinzione sia un processo che fa parte dell’evoluzione, l’attuale tasso di scomparsa delle specie è di 1000 - se non addirittura 10.000 volte superiore rispetto a quello naturale e riguarda circa 273 specie al giorno. Una delle più complete fonti di informazioni sulla perdita di biodiversità è la Lista Rossa delle specie in via di estinzione stilata dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (Iucn) che, dopo essere stata aggiornata proprio nel corso della Cop15, comprende ora 150.388 specie, di cui ben 42.108 a rischio di estinzione.

All’interno di quello che possiamo considerare un vero e proprio barometro della biodiversità, a preoccupare maggiormente sono gli organismi marini. Più di 1.550 delle 17.903 piante e animali che vivono nelle acque salate del Pianeta sono infatti a rischio di estinzione. Tra questi il dugongo, 20 delle 54 specie esistenti di abalone e 26 specie di corallo che vivono nell’Oceano Atlantico.

Ma la classificazione ufficiale di una specie è importante anche per la sua tutela. I ricercatori hanno infatti esaminato il rischio di estinzione delle specie elencate nella Lista rossa e hanno scoperto che il 56% di quelle per cui i dati non erano considerati sufficienti era minacciato, rispetto al 28% di quelle la cui valutazione era da considerarsi esaustiva. Un esempio ci arriva dalla Balena di Rice: nonostante il dibattito sulla sua classificazione vada avanti da circa un decennio, il suo riconoscimento come specie è avvenuto solo quest’anno e, a oggi, la popolazione sembra costituita solo da 50 esemplari che, ironia della sorte, vivono in un’area fortemente inquinata dall’estrazione di gas e petrolio, dal traffico navale e dalla fuoriuscita di greggio conseguente all’incidente della Deepwater Horizon.

Tra le specie che, nel 2022, risultano maggiormente a rischio di estinzione troviamo il Leopardo di Amur (Panthera pardus orientalis); l’orangotango del Borneo (Pongo pygmaeus) e di Sumatra (Pongo abelii); 3 delle 4 tra specie e sub-specie di Gorilla (ad eccezione di quello di montagna); il soala (Pseudoryx nghetinhensis), un bovide conosciuto come l’unicorno asiatico e di cui resterebbero appena 750 esemplari; la vaquita (Phocoena sinus); la tigre di Sumatra (Panthera tigris sondaica), originaria dell’omonima isola indonesiana; il lipote (Lipotes vexillifer), o delfino dello Yangtze; due tartarughe marine, quella di Hawksbill e di Kemps Ridley; l’elefante africano e quello asiatico; il rinoceronte nero, di Sumatra e di Java. Quest’ultimo, in particolare, è tuttora oggetto di una caccia spietata per il suo corno che, nel mercato nero che rifornisce alcuni paesi asiatici, arriva a valere anche 30.000 dollari americani al chilo. Infine, a essere entrata nella lista delle specie a rischio vi è anche la farfalla monarca.

A causa dell’uso massiccio di pesticidi, della deforestazione e dei cambiamenti climatici, la popolazione occidentale sarebbe infatti diminuita dell’84% tra il 1996 e il 2014 mentre quella orientale addirittura del 99.9% negli ultimi 40 anni.

A corredo del lavoro di Iucn vi è il Living Planet Index, uno studio sviluppato annualmente dal Wwf in collaborazione con la Zoological Society of London che misura l’abbondanza di animali sul Pianeta. L’ultima versione del report analizza 32.000 popolazioni appartenenti a 5230 specie diverse e spiega come tra il 1970 e il 2018 la vita selvatica del pianeta sia diminuita di ben il 69%. Il declino è stato particolarmente disastroso in America Latina e nei Caraibi, dove si è registrato un calo del 94% delle dimensioni medie delle popolazioni di animali selvatici. L’Africa ha registrato il secondo calo più consistente, pari al 66%, seguita dall’Asia e dal Pacifico con il 55% e dal Nord America con il 20%. L’Europa e l’Asia centrale hanno registrato un calo del 18%.

Se è vero che Ia perdita di biodiversità è un problema globale e non ha confini, impatti e rischi non sono equamente distribuiti né uniformi. Foreste pluviali tropicali e barriere coralline, infatti, sono luoghi caratterizzati da una ricchezza biologica nettamente superiore rispetto a deserti e regioni polari. Dei 36 hotspot di biodiversità identificati, quelli che a oggi richiedono un’azione più urgente sono il Sundaland - o Regione della Sonda, nel Sudest asiatico - il Caucaso, la Wallacea - una regione biogeografica costituita da un gruppo di isole principalmente indonesiane - e le foreste dell’Australia orientale.

Il futuro del Pianeta inizia oggi

Fortunatamente la perdita di biodiversità non è qualcosa di inevitabile e la conservazione - intesa come strategia di tutela - funziona e dà degli ottimi risultati. Basti pensare al Bisonte europeo (Bison bonasus) che dopo essere scampato all’estinzione grazie a un progetto internazionale ora ha ricominciato a galoppare nelle praterie del vecchio continente, Inghilterra compresa. Così come del Condor della California (Gymnogyps californianus), estinto in natura nel 1987, ma tornato a solcare i cieli del soleggiato stato americano a partire dal 2002.

Nonostante l’approvazione del Quadro Globale per la biodiversità di Kunming-Montreal sia un’ottima notizia, dati alla mano è evidente che un accordo internazionale privo di meccanismi di controllo e sanzione, e che non è vincolante per le parti che l’hanno sottoscritto, non può essere sufficiente. La parte difficile inizia ora e richiede un’azione trasversale e multidisciplinare che deve necessariamente includere l’educazione - a partire dalle scuole - e un’informazione puntuale e costante da parte dei mezzi di comunicazione.

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