Culture

Harry, Meghan e la Corona: anatomia della docuserie

Le accuse di razzismo e falsità lanciate contro i Reali e i tabloid britannici sono serissime ma ciò che non convince nella serie Netflix sul Duca e la Duchessa di Sussex è l’eccessiva ingenuità di Meghan Markle
Credit: EPA/NUNO VEIGA 
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
22 dicembre 2022 Aggiornato alle 21:00

Sembra proprio che la nuova vita dei Duchi di Sussex sia nel mondo dell’intrattenimento. Dopo la docuserie Harry & Meghan, da alcune settimane su Netflix, la coppia sta infatti per lanciare Live to Lead, un nuovo show, sempre insieme al colosso dello streaming. Sullo schermo non compariranno loro ma personaggi importanti della storia recente, divenuti celebri per aver compiuto azioni impattanti per la vita degli altri. Ci sarà l’attivista per il clima Greta Thumberg, la ex Presidente della Corte Suprema americana Ruth Bader Ginsburg, l’ex presidente sudamericano e premio Nobel per la Pace Nelson Mandela, la giornalista e attivista femminista Gloria Steinem e molti altri.

Questo progetto vedrà dunque la coppia dietro le quinte, cosa ben diversa da quanto avvenuto con Harry & Meghan, nel quale riflettori e microfoni sono stati puntati su di loro praticamente per tutto il tempo.

Se nelle intenzioni originarie la serie doveva servire a fare chiarezza una volta per tutte su cosa sia davvero successo tra la coppia (ex) reale e la Corona britannica, al punto da determinare una rottura così netta e il trasferimento dei due oltre Oceano, questo obiettivo non può dirsi del tutto centrato.

I dubbi infatti rimangono anche dopo sei puntate e interminabili minuti di interviste ai protagonisti e alle persone che li circondano, video inediti e scorci di vita familiare.

Ciò che appare molto chiara, invece, è una beatificazione assoluta della figura di Meghan Markle.

Tra le immagini storiche dell’ultimo decennio del secolo scorso trova sicuramente spazio quella di un’auto lussuosa accartocciata sotto il Pont de l’Alma a Parigi. A bordo Diana Spencer e Dodi Al-Fayed che morirono poco dopo.

La principessa era un’icona pop la cui scomparsa, almeno per quasi tutta l’opinione pubblica, è stata la conseguenza inevitabile dell’invadenza della stampa britannica, la stessa che non ha risparmiato nemmeno colei che poi è diventata la moglie di Harry. Non stupisce quindi, che la trama del documentario si muova in gran parte sul parallelismo Diana-Meghan, con quest’ultima ridotta al ruolo di vittima: del sistema, della monarchia e dei tabloid, a un passo dal fare la fine della suocera ma fortunatamente salvata dal suo principe, a differenza di Diana, che non trovò nell’amore reale la spalla alla quale aggrapparsi.

Se per quanto riguarda la prima però, l’ingenuità poteva essere giustificata dalla giovanissima età e da un’era in cui le comunicazioni erano decisamente più scarse di oggi, per Meghan lo è decisamente meno.

Donna forte, indipendente, attivista per i diritti umani, l’emancipazione femminile e la lotta al razzismo, con una vita soddisfacente e una carriera avviata ben prima di conoscere Harry, sembra quasi che a un certo punto la sua fermezza svanisca per lasciare spazio solo all’incapacità di reagire e ancor prima di capire cosa stesse accadendo tutt’intorno.

Intendiamoci, le accuse lanciate alla monarchia e ai media non sono certo banali e minimizzarle sarebbe sbagliato, ma è il modo in cui si è scelto di raccontarle a non funzionare troppo.

Meghan non sarebbe mai stata accettata dalla famiglia reale britannica, a causa, secondo la coppia, della sua bi-razzialità e di un razzismo presente in modo sistemico non solo nella famiglia Reale ma in tutta la Gran Bretagna. «Non sono mai stata davvero trattata come una donna di colore fino a quando non sono arrivata in Gran Bretagna», sostiene Markle in una puntata dello show nella quale il razzismo viene usato anche come chiave di volta per spiegare la Brexit, scelta dagli inglesi proprio per il loro desiderio di proteggere tutto ciò che sia puramente british e lasciare fuori il resto.

Ma come già accennato, non sono i Reali i nemici numero uno per i Duchi, bensì la stampa britannica, che oltre ad assediarli avrebbe inventato notizie negative sul conto di Meghan, scandagliandone i rapporti con il padre, le amiche, la nipote e i parenti più disparati.

Una spirale di falsità che ha stretto l’ex attrice in una morsa di disperazione culminata con il pensiero del suicidio e seguita dalla scelta dei due di allontanarsi dall’Inghilterra e di non essere più membri attivi della Corona. Decisione non digerita da William, che avrebbe urlato contro al fratello e dal resto della famiglia, che non ha mai capito perché la moglie non potesse fare buon viso a cattivo gioco e cercare di convivere con le invadenze della stampa, come tante donne prima di lei. «Ho spiegato loro che la questione razziale rendeva diversa la cosa», ha detto Harry. Inutilmente, visto che da allora i rapporti tra le parti sono stati minimi, e nemmeno la morte della Regina Elisabetta II è riuscita ad avvicinarle.

La Gran Bretagna ha una storia coloniale forte e sono stati in molti a credere che la favola della principessa afro americana che arriva a Palazzo potesse aiutare a scardinare i giudizi e pregiudizi di una nazione che ancora oggi sembra fare fatica a fare i conti con il passato.

Le aspettative però probabilmente erano troppo alte e ciò che rimane, oggi, non è molto più di un documentario.

Leggi anche
'Reigning Queens: Queen Elizabeth II of the United Kingdom (1985)' by Andy Warhol,
Ricorrenze
di Alessia Ferri 6 min lettura
Harry, duca di Sussex, al funerale della Regina Elisabetta
Royal Family
di Alessia Ferri 3 min lettura