Futuro

La nuova stagione delle ideologie digitali

Scelte politiche e tentativi di riforma fondati su posizioni di parte stanno perdendo mordente. I governi che contribuiscono con competenza alla strategia europea hanno tutto da guadagnare
Credit: Simon lee/ Unsplash  
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22 dicembre 2022 Aggiornato alle 06:30

L’epoca dell’intoccabilità delle piattaforme giganti del digitale è tramontata. Nei giorni scorsi, Amazon ha accettato pragmaticamente di definire una strategia concordata con la Commissione europea per risolvere un caso di presunto abuso di posizione dominante.

Giocando sul suo doppio ruolo di negoziante e di piattaforma per attività commerciali, Amazon era accusata di privilegiare le sue offerte contro quelle degli altri negozi, sia nella logistica che nella presentazione al pubblico. Ma ha concordato un percorso per salvaguardare la concorrenza sulla sua popolare piattaforma.

Un’ideologia neoliberista avrebbe sostenuto che lo stato non aveva diritto di intervenire sulle attività del proprietario di una piattaforma privata: nella nuova stagione si parte dall’osservazione che il mero laissez faire non garantisce il bene comune.

La decisione su Amazon può essere considerata un precedente anche per imporre a Google e Apple di aprire le loro piattaforme mobili alla possibilità che esistano altri negozi di applicazioni oltre ai loro? Può darsi.

Se n’è già cominciato a parlare. E del resto a Facebook sono avvertiti che il sistema di raccolta pubblicitaria della piattaforma non potrà a lungo privilegiare il suo business rispetto a quello dei concorrenti.

Insomma, le piattaforme private non possono fare quello che vogliono, quando infrangono interessi generali, per esempio per quanto riguarda le norme sulla concorrenza rinnovate con il Digital Markets Act della Commissione europea appena entrato in vigore.

Si tratta di immaginare un percorso pragmatico nelle norme sul digitale. La strategia è chiara.

Si parte da un insieme di principi da tutti condivisi, come quelli definiti nella Dichiarazione dei principi e dei diritti digitali firmata la settimana scorsa dai tre presidenti dell’Europa: garanzie di libertà di innovazione, inclusione sociale, sostenibilità ambientale vanno ricercate con ogni mezzo. Si sviluppano innovazioni normative per realizzare quegli obiettivi. E si interpretano le norme in modo condiviso con i giganti privati per arrivare al risultato con una logica di co-regolamentazione, con la collaborazione di tutti gli stakeholder. Almeno questi sono i principi ispiratori.

Le lobby potranno ancora farsi sentire naturalmente. Ma per capire come andranno a finire le varie controversie sarà necessario scommettere sul pragmatismo più che sulle ideologie.

Il caso del contributo richiesto dagli operatori telefonici alle piattaforme per gli investimenti nell’ammodernamento delle reti è emblematico.

Si tratta di una richiesta che va avanti da decenni. Ma adesso che quasi il 55% del traffico sulle reti telefoniche è formato dall’uso delle sei principali piattaforme - Google, Facebook, Netflix, Apple, Amazon, Microsoft (fonte: Axon su dati Sandvine) - la legittimità della richiesta si fa meno oscura. E persino sul Financial Times si ipotizza che una decisione sul contributo delle piattaforme agli investimenti per le reti telefoniche possa essere praticabile: il fatto che le piattaforme dicano che già oggi contribuiscono investendo nei cavi sottomarini non fa che avvalorare il principio. Si vedrà.

Ma i piccoli casi italiani sembrano altrettanti esempi di come il pragmatismo prevarrà sulle ideologie e le lobby più vocianti. Il caso dei pagamenti digitali che i commercianti meno avvezzi a forme moderne di transazione aborriscono - e che la Banca d’Italia invece apprezza anche perché limitano l’evasione fiscale - è emblematico: le regole europee impediscono a un governo locale di andare contro la storia solo per favorire una lobby.

E il caso dell’annunciata chiusura dello Spid, il sistema di identità digitale avversato da qualche partito italiano oggi al governo, è anche più chiaro: il pragmatismo vince sull’ideologia e impone di non chiudere un sistema che funziona relativamente bene in attesa di un altro sistema che per adesso appare molto meno facile da usare come la carta d’identità elettronica. E anche su questo i politici che si lasciavano tentare dall’ideologia hanno deciso di soprassedere.

A questo punto però si devo cercare di fare un salto di qualità culturale nella gestione politica del digitale. L’Europa ha una strategia e una dimensione tale da far valere i suoi principi. Gli stati no ma sono chiamati a implementare la strategia europea. Molto meglio avere una voce grossa europea che tanti balbettii locali.

Allo stesso tempo, governi locali che comprendono il digitale possono far valere le loro opinioni in sede di elaborazione delle norme e degli investimenti europei. I governi che invece vanno per conto proprio e che non si impegnano a comprendere la complessità del digitale rischiano risultati controproducenti.

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