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Che cos’è il Mes?

Piccola guida sul Meccanismo Europeo di Stabilità, l’organizzazione intergovernativa il cui obiettivo è sostenere i Paesi membri economicamente in difficoltà
Credit: Antonio Filigno
Tempo di lettura 6 min lettura
20 dicembre 2022 Aggiornato alle 17:00

È un fondo creato dagli Stati dell’Area Euro per sostenere i Paesi in difficoltà economica attraverso crediti e prestiti. Una misura contestata più volte in periodo di pandemia, in cui ha raggiunto la vetta della sua popolarità durante il celebre discorso/j’accuse dell’allora Premier Giuseppe Conte in difesa del suo Governo «che non lavora con il favore delle tenebre». Ultimamente è ritornata nel dibattito pubblico e forse arriverà anche in Parlamento, motivo in più per capire di cosa stiamo effettivamente parlando.

Cos’è?

Quando si parla di Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes), detto anche Fondo salva-Stati, intendiamo una vera e propria organizzazione intergovernativa - regolata quindi dal diritto pubblico internazionale - istituita nel 2012 contro gli effetti della crisi finanziaria internazionale che aveva colpito Grecia, Cipro, Irlanda e Portogallo. Il suo capitale ammonta 704,8 miliardi di euro e si compone dei contributi versati da tutti i Paesi dell’Area Euro che hanno sotto il trattato. Tra questi, spiccano Italia, Francia e Germania con quote maggiori del 15% (rispettivamente per circa 125, 142 e 190 miliardi di euro).

Questi importi, tuttavia, sono solo conferiti (ovvero promessi), poiché quelli effettivamente versati sono decisamente minori: il capitale del Mes già versato è “solo” di 80,5 miliardi.

Si tratta di una vera e propria impresa pubblica con personale stipendiato, sede a Lussemburgo, amministratori e dirigenti.

Nella sua struttura organica, oltre alla Presidente della Bce Christine Lagarde e al Commissario Europeo per l’Economia Paolo Gentiloni - in qualità di osservatori - si compone di un Consiglio dei governatori, composto dai 19 ministri delle Finanze dell’Area Euro, che assume all’unanimità tutte le principali decisioni e di un Consiglio dei direttori, con membri scelti dai Ministri. Entrambi sono presieduti dal Direttore generale Pierre Gramegna, politico lussemburghese per la cui elezione è stato cruciale il contributo dell’Italia.

A cosa serve?

Nel solco del precedente Fondo europeo di stabilità finanziaria (Fesf) istituito nel 2010, il Mes fornisce sostegno ai Paesi che, pur mostrando un debito pubblico sostenibile, si trovino in situazioni di difficoltà economica: in particolare, grazie a una capacità di prestito di 500 miliardi, si occupa di concedere prestiti finalizzati all’aggiustamento macroeconomico degli stati, acquistare titoli di debito sui mercati, finanziare la ricapitalizzazione delle istituzioni finanziarie (quindi le banche) tramite prestiti ai Governi dei vari Stati membri e fornire assistenza finanziaria attraverso linee di credito, come è successo nel 2020 con un credito di 240 miliardi a copertura delle spese sanitarie legale all’emergenza pandemica.

Quali sono le condizioni di accesso?

La funzionalità del Mes è proprio quella di evitare che le crisi economiche dei singoli Paesi europei si propaghino, come un effetto domino, a tutto il resto dell’Area Euro, riducendo così la probabilità di default sovrano attraverso prestiti e crediti che attenuino una temporanea situazione di difficoltà.

Tuttavia, uno Stato in crisi può ricevere il sostegno economico solo nel rispetto di alcune condizioni. Più nel dettaglio, l’erogazione dei prestiti è legata a una preliminare verifica della sostenibilità del debito - quindi si misura se uno Stato sia in grado di far fronte alle proprie obbligazioni senza dover chiedere assistenza finanziaria e incorrere nel default - e della capacità di ripagare il prestito effettuato.

Le linee di credito sono due. Una è la Precautionary Conditioned Credit Line (Pccl), che si rivolge ai Paesi che, nel rispetto del Patto di stabilità e crescita sottoscritto nel 1997 dagli Stati membri, presentano un rapporto deficit-Pil inferiore al 3% e un debito pubblico sostenibile.

Per tutti gli stati che non rispettano i suddetti criteri esiste, invece, la Enhanced Conditions Credit Line (Eccl). In questo caso, il Paese che accede agli aiuti si impegna a portare avanti profonde riforme economiche e fiscali (pratica detta cash-for-reform) e a farsi carico di tutte le misure di austerity racchiuse nella formula “spending review”, tanto temuta quanto necessaria per beneficiare del credito. La politica economica nazionale, allo stesso tempo, rientra sotto una speciale supervisione del Mes e di altre istituzioni come la Bce, la Commissione Europea e il Fondo Monetario Internazionale (Fmi), che vigilano sul mantenimento delle promesse di revisione della spesa pubblica.

Cosa prevede la riforma?

La riforma di questo strumento, ventilata già da 3 anni e ratificata nel gennaio 2021 dagli Stati membri, prevede il cosiddetto “backstop” comune, una sorta di paracadute finanziario che il Mes fornirebbe al Fondo di risoluzione unico, alimentato con contributi annuali di banche dei 19 stati dell’Area Euro: se le risorse del Fondo non sono sufficienti, le risorse del Mes entrano in gioco per garantire l’operatività di una banca in situazione di dissesto e scoraggiare le speculazioni.

La riforma prevede anche la modifica delle “clausole di azione collettiva”, per cui qualora un Paese non riesca a pagare il proprio debito pubblico, ai detentori di titoli sarà sufficiente solo una votazione a maggioranza (e non più una doppia) per chiedere la ristrutturazione del debito, e quindi di modificare i termini e le condizioni di pagamento del loro titolo.

Che posizione ha l’Italia?

I parlamenti dei vari Paesi coinvolti sono stati chiamati a ratificare il trattato e renderlo effettivo. E l’unico voto mancante è quello del Parlamento italiano.

Il 14 dicembre, durante un question time alla Camera, il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti, che - in linea con quanto ritenuto da Lega e Fratelli D’Italia - ritiene il Mes un’istituzione «impopolare» e «in crisi», ha confermato che la ratifica del trattato potrà avvenire solo dopo «un adeguato e ampio dibattito in Parlamento». Tuttavia, se fino al 9 dicembre solo 2 Paesi membri su 19 non avevano ratificato la riforma, dopo la decisione della Corte Costituzionale tedesca, che ha respinto il ricorso di alcuni parlamentari contrari alla ratifica, l’Italia è lasciata sola in questo difficile primato, complice anche la mozione della maggioranza approvata alla Camera un mese fa che impegnava il governo a “non approvare il disegno di legge di ratifica della riforma del trattato istitutivo del Mes”.

Le opposizioni intanto sfruttano le polemiche per attaccare il governo affinché si assuma «le sue responsabilità, abbandonando le posizioni ideologiche e ratificando un trattato che è interesse nazionale», come afferma il responsabile economico del Pd Antonio Misiani (dichiarazione simile, peraltro, a quelle di Giuseppe Conte e Matteo Renzi).

I partiti della minoranza si mostrano compatti di fronte alle indecisioni del Governo, in particolar modo agli imbarazzi di Giorgetti, costretto a bilanciare la continuità dell’esecutivo di Draghi, dove fino a qualche mese fa albergava nel vicino Mise, con le esigenze della nuova Premier da sempre contraria al Mes.

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