Diritti

Ingrid Betancourt si ricandida in Colombia

20 anni fa l’ex senatrice rimase ostaggio dei ribelli delle Farc nella giungla. Oggi corre di nuovo per le Presidenziali
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 3 min lettura
19 gennaio 2022 Aggiornato alle 13:00

“Sono qui per finire quello che ho iniziato”. Le parole di Ingrid Betancourt hanno un peso enorme, i suoi sostenitori riuniti a Bogotà per l’annuncio della sua candidatura alle elezioni presidenziali di maggio lo sanno bene. Lei, che esattamente 20 anni fa venne rapita dalle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia durante la sua campagna elettorale, rimase in ostaggio per 6 anni nella giungla colombiana. E ora, a 60 anni, ricomincia tutto da capo: “Sono qui per rivendicare i diritti di 51 milioni di colombiani che non trovano giustizia perché viviamo in un sistema progettato per premiare i criminali”.

Betancourt, figlia dell’ex ministro dell’Istruzione Gabriel Betancourt e dell’ex senatrice Yolanda Pulecio, vuole candidarsi in rappresentanza del partito da lei fondato nel 1998, Verde Oxígeno, di ispirazione ambientalista e pacifista. Prima, però, dovrà diventare la candidata ufficiale della sua coalizione, l’alleanza di centro Coalición Centro Esperanza, vincendo le primarie previste per marzo.

Il suo primo rivale - seguito da una lista di altri venti candidati - sarà il favorito Gustavo Petro, ex sindaco di sinistra della capitale Bogotà, nonché ex membro del Movimento 19 aprile, un gruppo rivoluzionario di sinistra attivo negli anni Settanta e Ottanta nel Paese. I colombiani pensano che sia una valida alternativa a Ivan Duque, l’attuale presidente di centrodestra che non potrà ricandidarsi per limiti di mandato, e la cui popolarità è crollata negli ultimi sondaggi. All’epoca del rapimento fu Alvaro Uribe ad avere la meglio alle elezioni, rimanendo in carica fino al 2010: è ritenuto il mentore di Duque e nel 2020 è stato messo agli arresti domiciliari con le accuse di truffa e per aver influenzato i testimoni dei crimini della guerra civile colombiana, una delle più sanguinose della storia recente, costata 220 mila morti.

Dal 1964 le Farc, un gruppo armato di stampo marxista, iniziarono una guerriglia contro il governo colombiano per proteggere i contadini dai paramilitari pagati dai grandi proprietari terrieri che volevano espropriare gli agricoltori delle loro terre. Ma, nel corso degli anni, diventarono un movimento violento anche contro coloro che dovevano proteggere, compiendo attacchi contro i civili e organizzando rapimenti come quello di Betancourt.

La donna, all’epoca quarantenne, si stava recando a un evento elettorale nella città di San Vicente del Caguán, a sud di Bogotà, quando venne fermata in un posto di blocco e poi rapita. Il trattamento delle Farc fu brutale: come ha raccontato Betancourt alla Bbc nel 2013, “anche quando venivo umiliata o abusata, ciò che mi dava la forza era pensare che la vera libertà arriva quando accetti la morte”. Betancourt disse che quando le forze militari colombiane la liberarono, nel 2008, il suo unico desiderio era “essere una mamma”, perché la cosa più difficile del ritorno a casa fu ricostruire un rapporto con i suoi figli, “rompere il muro del tempo che ci aveva separato”. A 5 anni dalla liberazione, Betancourt disse: “Ora sono una donna forte, di nuovo”. L’accordo di pace tra governo e Farc venne raggiunto solo nel 2016, tre anni dopo l’intervista.

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