Economia

Welfare, un’Italia divisa in due (o in tre)

Scuola, Neet, sanità pubblica e privata e occupazione femminile. Secondo il Welfare Italia Index presentato da Unipol, sono questi i settori in cui la Penisola si dimostra slegata, tra Nord, Centro e Sud
Credit: Martin Péchy
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23 dicembre 2022 Aggiornato alle 12:00

L’Italia è divisa in due, o forse in tre. I dati relativi al welfare italiano evidenziano una frattura evidente tra le regioni del Nord e le regioni del Centro-Sud. È cresciuta anche la spesa, che ammonta a 615 miliardi di euro (+18 miliardi rispetto al 2021).

Il Welfare Italia Index (indicatore che valuta sia la spesa in welfare sia i risultati che questa produce) mostra un’Italia nettamente divisa. Questo rapporto, presentato da Unipol e realizzato in collaborazione con The European House-Ambrosetti, ha messo insieme 22 indicatori diversi, tra cui la povertà, la disoccupazione, le aspettative di vita o la spesa sanitaria pubblica e privata. È uno strumento estremamente importante perché permette di misurare la capacità delle regioni di rispondere alle esigenze di benessere dei cittadini.

Nel settore della spesa per la sanità pubblica o privata, la differenza è molto forte. Nell’ambito pubblico, al primo posto troviamo la provincia autonoma di Bolzano con 2638,4 euro (spesa pro-capite), mentre all’ultimo si posiziona la Campania, con una spesa pro-capite di 1911 euro. Differenza ancora più evidente si riscontra nella sanità privata, con la Lombardia che ottiene il primo posto (709,1 euro) e la Basilicata che invece si trova all’ultimo (274,4 euro).

Estremamente preoccupante è anche il dato relativo ai Neet (giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni che non studiano e non lavorano, che fanno parte dunque della popolazione inattiva). Bolzano, per esempio, presenta un tasso del 13,3%, mentre il valore è quasi triplicato in Sicilia, dove il tasso raggiunge il 36,3%.

Divario anche nel settore scolastico, in particolare nei nidi. I dati Istat rivelano che c’è una forte differenza nei posti disponibili per ogni 100 bambini di fascia d’età 0-3 anni. Al di sopra della media europea (33%) si posizionano Valle d’Aosta, Umbria, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio e Friuli-Venezia Giulia. Ma la situazione più preoccupante si raggiunge in Calabria, Sicilia e soprattutto in Campania, dove la percentuale si attesta al 10,4%.

Questo divario si riflette anche nell’occupazione femminile. Le regioni con un tasso di occupazione femminile molto basso sono infatti la Campania (28%), la Calabria (29%), la Sicilia (29%), la Puglia (32%), la Basilicata (37%) e il Molise (42%).

Tutto ciò comporta una evidente spaccatura nella nostra Penisola, che si presenta divisa in due, se non in tre, grandi aree: Nord, Centro e Sud. C’è quindi una forte eterogeneità a livello regionale.

Guardando infatti il rapporto Welfare Italia Index, al primo posto troviamo la provincia autonoma di Trento con un valore di 81,3 (su una scala da 0 a 100), seguita dalla provincia autonoma di Bolzano, con un valore di 78,7. Ma ciò che sorprende di più, è che la regione del Veneto, con un valore di 70,1, si trova al 9°posto, ed è l’ultima regione settentrionale; il che significa che dal 10° posto in poi troviamo solo regioni del Centro e del Sud Italia. In particolare, le ultime 8 regioni sono tutte del Sud.

L’ultima posizione spetta alla Calabria, con un valore di 50,7. Leggero miglioramento nella differenza tra prima e ultima regione, nel 2021 il divario era di 32,7 punti, nel 2022 di 30,6; ma questo miglioramento non è dovuto a un aumento del valore dell’ultima posizione, anzi, è dovuto a un lievissimo peggioramento della provincia autonoma di Trento.

La situazione, comunque, non sembra essere cambiata molto rispetto all’anno scorso. Il Welfare Italia Index del 2021 registrava sempre al primo posto la provincia autonoma di Trento e all’ultimo la Calabria. A parte qualche cambiamento di posizione, l’andamento risulta sempre Nord-Centro-Sud.

In aumento la spesa per il welfare. Secondo i dati, la previdenza occupa quasi la metà della spesa (48,4%), al secondo posto troviamo la sanità (con il 21,8%), poi le politiche sociali (18,2%), e infine l’istruzione (11,6%). Anche qui a livello regionale c’è una netta differenza, col primo posto che spetta sempre alla provincia autonoma di Trento e l’ultimo alla Basilicata.

L’inflazione, ovviamente, ha avuto un forte impatto, che purtroppo andrà a gravare sulle famiglie italiane. Secondo le stime, tra il 2022 e il 2023 le famiglie che rischieranno di trovarsi in una condizione di povertà assoluta aumenteranno di 300.000 unità, arrivando a un totale di 2,3 milioni di famiglie italiane (circa 6,4 milioni di persone).

Notizie negative anche per quanto riguarda la natalità. Se in alcune aree del Mondo la natalità cresce a dismisura, anche in maniera incontrollata, in Europa, l’Italia è uno dei Paesi in cui il tasso di natalità risulta in costante declino (6,8 nati per mille abitanti). I dati sono preoccupanti. «Nel 2022 non arriveremo a 400.000 nuovi nati», così si è espresso Giancarlo Blangiardo, presidente dell’Istat.

Quali saranno le conseguenze? Probabilmente nel 2070 ci saranno oltre 145.000 ultracentenari (oggi ce ne sono 20.000), e spariranno circa 12 milioni di italiani. Tutto ciò avrà, ovviamente, delle ripercussioni sull’economia. Con tanti anziani e pochi giovani l’economia avrà difficoltà a crescere, facendo diminuire la ricchezza e facendo aumentare invece la povertà, andando a compromettere la tenuta del Welfare State italiano.

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