Economia

La flessibilità rende i lavoratori più felici

I più soddisfatti si trovano a Malta, dove la maggior parte degli occupati è in smartworking, dice l’Eurostat. Intanto, in Italia Intesa San Paolo annuncia che a partire da gennaio 2023 introdurrà la settimana di 4 giorni
Credit: Cottonbro
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22 dicembre 2022 Aggiornato alle 11:30

La soddisfazione lavorativa è un concetto piuttosto astratto che dipende da un pluralità di fattori tra cui il genere, la tipologia di contratto e il settore lavorativo. Proprio per questo può essere complessa un’analisi in questi termini. In nostro soccorso accorrono gli ultimi dati pubblicati da Eurostat, che rappresentano un valido strumento di indagine, seppur circa il 4% degli intervistati non ha espresso una valutazione.

Ad aggiudicarsi il primo e l’ultimo posto dei lavoratori felici nell’Unione Europea sono Malta e, con sorpresa, il Portogallo. È proprio la piccola isola del Mediterraneo a presentare i più alti tassi di soddisfazione con una media dell’80%. Una delle ragioni è da ricercare nella grande flessibilità dei lavoratori: alta è difatti la percentuale di coloro che lavorano da remoto, perlopiù occupati in compagnie estere e che hanno scelto il sole e il mare di Malta per vivere. All’opposto il Portogallo registra il risultato peggiore in Europa, con una media di quasi il 25%. Nonostante questo pPese presenti dei tassi occupazionali in linea con la media Europa, il grado di soddisfazione è molto basso. Secondo l’analisi del Better Life Index dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, il Paese in termini di soddisfazione della popolazione si classifica 37esimo su 41.

L’analisi Eurostat differenzia i lavoratori in tre categorie: con contratto da dipendenti, lavoratori in proprio con dipendenti e lavoratori in proprio senza dipendenti. Sono questi ultimi a risultare i più soddisfatti; a spiccare all’interno della categoria sono, poi, le donne.

Interessante è, inoltre, il confronto dei dati del 2022 con i dati pre-pandemia, i quali ci permettono di confermare il nuovo pilastro della cultura lavorativa: la flessibilità. I lavoratori flessibili, che siano dipendenti o imprenditori, sono più felici. La soddisfazione media Europea e in generale quella di ogni paese sale, difatti, di almeno un punto percentuale per coloro con orari flessibili. Numeri in linea con il fenomeno delle dimissioni di massa: l’idea attuale è di lavorare per vivere e non vivere per lavorare. Insomma, la tendenza sembra essere quella di dire basta a sacrificare tutta la propria vita per il proprio lavoro.

Si può rimanere produttivi cambiando lo schema lavorativo? Sembrerebbe di sì. In alcuni paesi questo cambiamento è già in atto. a esempio nel Regno Unito a giugno scorso è iniziato un esperimento che ha coinvolto più di 70 aziende nella riduzione della settimana lavorativa, un cambiamento promosso dalla Ong “4 days week global”. Questo sarebbe dovuto terminare a Novembre, ma la maggior parte delle imprese partecipanti ha deciso di proseguire, in quanto non solo la produttività non sarebbe calata, ma secondo alcune realtà sarebbe addirittura aumentata.

Anche l’Italia si approccia all’introduzione di questo cambiamento con Intesa San Paolo. La banca, che conta oltre 74 mila addetti in Italia, è pronta a introdurre delle novità a partire da gennaio 2023. In particolare è prevista la possibilità di lavorare in smart working per 120 giorni all’anno con un’indennità di buoni pasto da 3 euro al giorno. A questo si aggiunge, su base volontaria, la riduzione della settimana lavorativa a 4 giorni con 9 ore al giorno mantenendo lo stesso stipendio. Un’impostazione poco apprezzata dai sindacati che si sono battuti per l’introduzione di tecnologie che garantissero un controllo della disconnessione per il lavoro da remoto, un aumento del valore dei buoni pasto e un’indennità per le spese energetiche e di connessione. Proposte che, tuttavia, sono state bocciate da Intesa. Non si tratta però del primo caso in Italia: un esperimento interessante è stato portato avanti da Velvet Media, società di marketing italiana, che per tutta l’estate ha annullato l’orario lavorativo dei propri dipendenti, facendo sì che lavorassero per obiettivi e progetti e non per le canoniche 40 ore settimanali.

Se nella penisola e in altri paesi Europei la riduzione della settimana lavorativa è studiata con cautela, tutt’altra storia troviamo in Belgio. Dove è presente una disposizione specifica che garantisce al lavoratore il diritto alla settimana corta o alla redistribuzione delle ore lavorative su 4 giorni a parità di retribuzione.

La crescente attenzione delle aziende alla conciliazione di vita e lavoro dei propri dipendenti fa sì che si studino nuovi modelli lavorativi, come a esempio la settimana corta, per aumentare il livello di felicità dei dipendenti stessi. Fondamentale è la creazione di modelli che garantiscano realmente la tutela di entrambi gli aspetti non andando a gravare ulteriormente sui lavoratori, come sottolineato dalle contestazioni del sindacato a Intesa San Paolo.

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