Diritti

Cosa vogliamo dal 2023?

Le lotte non si fermano mai, neanche quando gli interlocutori politici sono sordi alle richieste di progresso. Una lista, non universale, di obiettivi per la collettività
Credit: Priscilla Du Preez/ Unsplash
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4 gennaio 2023 Aggiornato alle 06:30

Come dicevo nel pezzo di fine anno (non è che proprio lo dicevo: lo lasciavo intuire) mi pare vano compilare liste della spesa per governi eletti apposta per negare ogni istanza sul fronte dei diritti e del progresso. Perché questo succeda è materia per altri articoli e saggi, qui mi limiterei a darlo per scontato e passare oltre: tutto sommato, anche questo 2023 lo dovremo vivere, e tanto vale darci degli obiettivi.

È anche complicato, lo dico per chiarezza, stilare liste di priorità che abbiano una qualsiasi pretesa di universalità, semplicemente perché le priorità collettive le stabilisce la collettività, e non il singolo. In altre parole: so dirvi cosa io – e le persone intorno a me – troviamo prioritario affrontare nel 2023, ma è difficile universalizzare un discorso che parte da una bolla sociale e politica. Quindi: quelli che seguono sono i miei desiderata sul fronte delle questioni da affrontare nell’anno nuovo, e su come potremmo affrontarle.

Cambiamento climatico e abitabilità

No, non è una cosa da fighetti o qualcosa che possiamo permetterci di rimandare, se le persone muoiono di eventi cataclismatici già ora, qui, vicino a noi. La conversione ecologica dovrebbe iniziare subito e in maniera massiccia, anche con interventi duri lì dove servono, in modo che il peso dei sacrifici non si scarichino interamente sulle persone più povere. Per fare un esempio fra tanti: che senso ha che facciamo la differenziata e andiamo in giro a piedi, se è possibile per i ricchi fare voli di un quarto d’ora, come Kylie Jenner (ma pure come qualche politico nostrano)? La conversione ecologica dovrebbe essere in cima alle nostre preoccupazioni: è un investimento di lungo periodo per i nostri figli e nipoti, ma serve pure a noi ora. Milioni di persone ogni anno sono costrette a lasciare le loro terre per sfuggire ai danni del cambiamento climatico: è qui, sta succedendo, è ora di agire davvero.

Povertà lavorativa

Sono sempre di più le persone che non riescono a mantenersi pur essendo impiegate. A volte la colpa è di paghe da fame e di un mercato del lavoro quasi interamente deregolato, a volte è perché sono costrette a scegliere fra la disoccupazione in periferia e l’occupazione in centri in cui gli affitti sono oggetto di speculazione e il carovita è insostenibile. Il salario minimo è solo una delle misure indispensabili per cominciare a restituire dignità ai lavoratori, che anno dopo anno sono stati sacrificati per favorire le imprese, come se la lotta di classe fosse roba del ‘900 e non qualcosa che continua a riguardarci. Questo ovviamente passa anche per una riforma dei permessi di soggiorno, per la lotta al caporalato, e per una tassazione più alta sui capitali e sul fatturato delle multinazionali che operano in Italia senza pagare il giusto. Nessuno dovrebbe avere freddo o fame, mai. E nessuno dovrebbe essere miliardario.

Equiparazione fra diritti civili e sociali

Lo dicevo pochi giorni fa: quella fra diritti civili e sociali è una dicotomia inesistente, perché i diritti delle persone si intersecano, sono sovrapponibili e connessi fra loro. La candidatura di Elly Schlein a segretaria del PD ha lanciato una nuova moda fra gli editorialisti italiani: quella di dire che non sanno cosa sia l’intersezionalità. Per spiegarla semplice: una persona disabile bianca e ricca vive con molte meno difficoltà di una persona disabile nera e povera, che è esposta alla possibilità di rimanere non solo senza lavoro, ma anche senza casa e senza tetto. Un cittadino italiano bianco è meno a rischio di subire violenza casuale rispetto a uno straniero non bianco. Una sex worker sfruttata e razzializzata viene considerata a malapena un essere umano dai clienti che pagano per utilizzarla come oggetto sessuale, e muore nell’indifferenza di una società che rifiuta di riconoscerle anche solo il suo nome. Una persona trans è più esposta alla povertà di una persona cis, solo in quanto trans: a metà dicembre 2022 è arrivata l’archiviazione per le accuse di istigazione al suicidio nel caso di Cloe Bianco, l’insegnante trans allontanata dalla scuola in cui insegnava (e dove era amatissima dagli studenti). Anche solo quella storia ci dovrebbe bastare a capire quanto sia fasulla la distinzione fra un diritto e l’altro: l’autodeterminazione è un diritto di ogni persona, ed è alla base di una vita libera e dignitosa. I ricchi se li comprano, i diritti: sono i poveri ad avere bisogno di vederseli riconosciuti dalla collettività.

Reclamare la partecipazione

Fra il taglio dei parlamentari e una legge che mette tutto il potere in mano ai partiti e costringe la gente a votare sotto ricatto, la politica italiana si è distinta per l’impegno profuso nell’allontanare gli elettori e disintegrare la partecipazione popolare alla vita pubblica. In questo, anche il definanziamento della scuola e della cultura gioca un ruolo non indifferente: la cittadinanza è sempre meno attiva, sempre più (giustamente) disillusa rispetto a una classe dirigente al meglio sonnacchiosa, al peggio prepotente e violenta. Passiamo molto tempo a commentare i talk show e a litigare sui social, e pochissimo a pensare a come riprendere contatto con la nostra possibilità di incidere sul reale: forse come buon proposito nessuno vale più di questo. Riprendiamoci piazze, strade, circoli, scuole, ogni luogo fisico o digitale dove possiamo incontrarci e lavorare per farci sentire. Litigheremo, non saremo d’accordo, dovremo gestire il conflitto: va bene. È un nostro diritto anche quello.

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