Diritti

Caro Babbo Natale, quest’anno vorrei uno psicologo

Oggi il diritto alla salute mentale sembra essere inesistente o relegato a fasce sociali privilegiate. Ecco perché sarebbe bello trovarlo sotto l’albero
Credit: cdd20/unsplash
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18 dicembre 2022 Aggiornato alle 06:30

Ho la fortuna di avere amici interessanti. Passeggiando, una delle mie migliori amiche mi svela cosa regalerà per Natale a suo fratello. Anzi, cosa vorrebbe regalargli. Quasi sorrido quando scopro che si tratta di un buono per andare da Uno bravo. Penso scherzi, ma poi mi ricorda che ne abbiamo già parlato che quello potrebbe essere un ottimo modo per dare a suo fratello la spinta (in tutti i sensi) per iniziare un percorso di terapia.

Anzi, mi spiega dell’esistenza di un portale che mette in contatto le persone con dei terapeuti e a Natale, come in un qualsiasi negozio, permette di acquistare un buono per regalare il benessere mentale. Una promessa non da poco, ma perché stupirsi? Dopotutto, basta un click per qualsiasi cosa.

Ad esempio, googlando statistiche sulla salute mentale possiamo scoprire quanti connazionali (riconosciuti ovviamente) hanno usufruito di un servizio di psicologia specialistica nel 2020. Stando al sito del Ministero della Salute sono circa 728.338, per il 53,6% donne. Si specifica anche che ben 253.164 si sono avvicinati alla terapia proprio nel 2020, anno dello scoppio della pandemia di Covid-19 e del conseguente acutizzarsi dei disturbi relativi alla salute mentale.

Una pandemia silenziosa, che si sente sotto la pelle e si legge nei numeri e negli articoli di giornale, ma la cui portata, forse, non è stata compresa. Il 58% degli italiani - sempre quelli riconosciuti, perché tutti gli altri vengono lasciati fuori persino dalle statistiche - ha patito un impatto negativo sulla propria salute mentale a causa del Covid, con conseguente erosione della qualità della vita, delle relazioni e della capacità di lavorare serenamente. Sempre che il lavoro non sia un fattore aggravante perché in quel caso il rischio che sia impossibile svolgerlo serenamente era già presente prima della pandemia, o ne è un’altra conseguenza diretta.

Il che è un problema visto che, per la stragrande maggioranza, la psicoterapia non è accessibile a livello pubblico e si stima siano necessarie 12 ore e 17 minuti di lavoro per poter pagare una seduta. Il tutto condito dalla consapevolezza che le persone soffrono di disturbi depressivi in maniera maggiore o minore a seconda della propria condizione socioeconomica.

Nel 2016, stando a quanto riportato dall’Istat, si spendevano circa 3,6 miliardi di euro (3,2% della spesa sanitaria pubblica) per l’assistenza sanitaria psichiatrica (quindi medica). Secondo il sito del Ministero della Salute la cifra nel 2020 è calata a 3,2 miliardi di euro. Giusto per fare un paragone, per la spesa militare sono investiti circa 25,8 miliardi di euro. E per farne un altro, si stima che l’economia sommersa in Italia si attesti attorno 174,6 miliardi di euro (dati in base 2020).

Con un tasso di evasione fiscale così alto e una spesa militare del genere verrebbe da pensare che siamo in guerra e con i materassi gonfi di soldi e invece no, i grandi evasori e la criminalità organizzata non riempiono materassi, ma conti. L’esercito e le altre estensioni armate dello Stato, invece, vengono scomodate per mettere in stato di fermo attivisti e attiviste prima ancora che osino sventolare i cartelli di una protesta pacifica o allontanando le persone senza dimora, gettandone i pochi beni nei camion comunali della nettezza urbana. Tutti servizi stipendiati dai cittadini che pagano le tasse. Quelli che faticano ad arrivare a fine mese e che, quindi, sono statisticamente più propensi a soffrire di depressione.

Un bel quadro, considerando che il lavoro è uno dei fattori identitari più riconosciuti e alla cui perdita consegue un aumento dei disturbi della salute mentale. Per dirla con l’Istat: “inattivi e disoccupati tra i 35-64 anni riferiscono più spesso disturbi di depressione o ansia cronica grave (10,8% e 8,9%) rispetto ai coetanei occupati (3,5%)”.

Insomma, siamo di fronte a una spirale, il lavoro deprime, la sua assenza deprime di più, la precarietà è all’ordine del giorno e serve più di una giornata lavorativa per pagare un’ora di terapia e provare a stare bene. E qui, si potrebbe pensare, subentra la famiglia. Sarebbe bello, non fosse che, stando alla statistica, il primo fattore menzionato come causa dei disturbi della salute mentale è proprio l’insostenibilità delle situazioni familiari. Esilarante.

Le famiglie si sa, non sono perfette, ma lo stato sociale, il welfare che con tanto impegno cerchiamo di tenere in piedi, dovrebbe sopperire. Peccato che sia eroso costantemente da spinte neoliberiste e dall’impegno dei nostri governi a militarizzarsi e a ignorare l’economia sommersa.

Una nota positiva però c’è: socialmente si inizia ad avere meno paura dello stigma e le persone desiderano più apertamente intraprendere un percorso terapeutico, pur sapendo che rimane un lusso per pochi.

Abbiamo imparato persino a riconoscere il dolore dietro i sorrisi altrui. Siamo così consapevoli da risparmiare un anno intero per donare a chi amiamo una costosa seduta di terapia. Stiamo così male e il nostro dolore è talmente invisibile allo Stato che molti di noi, senza un parente attento o un’amica assennata, non hanno né tempo né soldi per avere cura della propria salute mentale.

Natale diventa l’occasione perfetta, quella in cui lo spettro delle famiglie disfunzionali si riaffaccia nelle vite di chi abita le nostre, per fare il lavoro del welfare e regalare una seduta e, per quanto sia profondamente triste e ingiusto, rimane una scelta decisamente migliore dell’ennesimo buono da spendere in un negozio.

Dobbiamo però fermarci e chiederci se sotto l’albero non stiamo deponendo l’ennesima mercificazione di qualcosa che ci è dovuto. Perché se persino lo psicologo è un lusso, se si possono donare buoni per una sessione online, se si può evitare l’attesa dei servizi pubblici grazie alla cura di altre persone, non è forse palese che lo Stato stia mancando in qualcosa?

La salute mentale è parte integrante del diritto alla salute. L’art.32 della Costituzione parla di diritto alla salute pubblica, perciò di fronte a un Paese depresso si potrebbe pensare che sia dovere dello Stato intervenire. Lo stesso articolo promette cure per gli indigenti, e chi non può pagarsi lo psicologo potrebbe rientrare in tale definizione. Addirittura, stando all’art. 25 della Dichiarazione Universale dei diritti umani, la salute è un diritto di tutte le persone ed è fondamentale che queste abbiano uno stile di vita che consenta loro di garantirsi tale salute. Si parla persino dell’obbligo, programmatico, per gli Stati di intervenire per garantire la sicurezza in caso di malattia.

Credo che allora ci sia stato un fraintendimento, perché la sicurezza qui è stata interpretata come spesa militare. Quando invece, banalmente, implicherebbe una spesa sanitaria pubblica adeguata che integri il sostegno psicologico per tutti. Sicché ora la possibilità di tutelare la propria salute mentale è un privilegio di pochi, dobbiamo risolverci a metterla nelle letterine indirizzate Babbo Natale.

Mi piacerebbe trovare una cosa sotto l’albero, ora che ci penso. E non è un buono, anche se davvero è sempre un regalo grandioso, piuttosto vorrei scoprire dentro l’involucro di carta colorata - si spera riciclata dal Natale scorso - un bel diritto alla salute per tutti. Anche per chi non è riconosciuto cittadino dallo stato italiano. Perché se la depressione colpisce anche chi è bianco e occidentale, essa è molto propensa a manifestarsi come conseguenza diretta del razzismo sistemico che colpisce le persone razzializzate. Le discriminazioni corrodono la salute fisica e quella mentale, ecco perché la maggior parte di pazienti italiani e italiane calcolate dal Ministero sono donne.

Perciò, caro Babbo Natale, che dici: quest’anno ce lo porti il diritto di andare dallo psicologo?

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