Ambiente

La seconda vita delle piattaforme petrolifere

Quale futuro per i “giganti” che estraggono petrolio e gas, una volta dismessi? Nuovi studi rivelano l’impatto positivo per la vita di molte specie marine
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18 gennaio 2022 Aggiornato alle 21:00

Nel mondo ci sono più di 12.000 piattaforme marine offshore, migliaia di imponenti strutture che estraggono petrolio o gas naturale in mare aperto. Alcune sono concepite per la perforazione, altre per l’estrazione, altre ancora per entrambe le funzioni. Alcune sono in grado di trattenere al loro interno una certa quantità di petrolio in attesa dell’arrivo delle navi da trasporto.

Il numero medio di piattaforme petrolifere in tutto il mondo è diminuito tra il 1975 e il 2020 come conseguenza della crisi petrolifera, in questi anni causata dalla pandemia. Il Nord America è la regione con il maggior numero di piattaforme petrolifere e di gas, la stragrande maggioranza delle quali sono a terra. Stando ai dati del 2020 del Ministero dello Sviluppo Economico, nell’offshore italiano ci sono 138 piattaforme, di cui la maggior parte nell’Adriatico e qualcuna nel canale di Sicilia.

Negli anni, sono state messe a punto tecniche diverse per ancorare le piattaforme per l’estrazione degli idrocarburi, a seconda della profondità del fondale marino e delle condizioni ambientali. Ma cosa succede quando il petrolio finisce e non c’è più niente da estrarre?

La storia dell’Isola delle Rose alla fine degli anni Sessanta raccontata anche dal regista Sydney Sibilia, ne è un esempio fin troppo idealizzato: la piattaforma al largo delle acque di Rimini venne infatti dichiarata uno Stato indipendente dando vita al mito dell’Isola delle Rose. Non ci fu un lieto fine, tanto che l’isola venne demolita perché ritenuta “pericolosa” dal governo italiano, ma dà l’idea di come sia possibile iniziare una seconda vita persino per una piattaforma petrolifera.

A causa delle imponenti dimensioni, gli impianti vengono infatti spesso visti come strutture dannose per l’ambiente, soprattutto dopo la loro dismissione: nonostante i costi elevati per rimuoverle, e i rischi ambientali per quelle in disuso abbandonate, degli studi hanno rilevato l’impatto positivo delle piattaforme petrolifere per la vita di molte specie marine. In primis, fornirebbero lo “scheletro” ideale per le barriere coralline.

Negli Stati Uniti la pratica di trasformare le trivelle in barriere coralline risale a quasi 40 anni fa: nel 1984, il Congresso americano firmò il National Fishing Enhancement Act che riconosceva i benefici forniti dalle barriere coralline artificiali e incoraggiava gli Stati a elaborare piani per trasformare le piattaforme dismesse in barriere coralline. I cinque Stati costieri del Golfo del Messico – Alabama, Florida, Louisiana, Mississippi e Texas – hanno così attivato dei programmi chiamati “rigs-to-reefs” (letteralmente “dalla piattaforma petrolifera alle barriere coralline”) e hanno convertito più di 500 piattaforme petrolifere e di gas in barriere artificiali.

Quando le compagnie petrolifere cessano i lavori di trivellazione, possono ora scegliere di rimuovere l’intera piattaforma o convertirla in una barriera corallina rimuovendo solo la parte superiore della struttura.

Secondo il biologo marino Milton Love, che ha trascorso 20 anni a studiare la fauna marina intorno alle piattaforme petrolifere della California, gli impianti offshore sono tra gli habitat marini più produttivi al mondo. Forniscono cibo alla fauna marina, riparo dai predatori e un terreno fertile sicuro. Per alcune specie, gli impianti di perforazione sono addirittura i migliori vivai rispetto alle barriere naturali, afferma Love. I tralicci di sostegno sono anche il luogo di riproduzione perfetto per le larve di piccoli pesci. “Molti di loro sono semplicemente alla deriva e vogliono solo sistemarsi” ha spiegato Love, sottolineando l’opportunità che hanno i pesci di trovarsi vicino alle strutture sottomarine.

A beneficiarne di più è lo scorfano, una tra le specie più minacciate dalla pesca intensiva lungo la costa occidentale degli Stati Uniti, che si trova in abbondanza intorno alle piattaforme petrolifere. Grazie anche al divieto di pesca nei pressi delle strutture che si trovano in California, la fauna marina è rinata. Dando una seconda vita a tutti.

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