Economia

Usa: la priorità è fermare la corsa dei prezzi

A novembre l’inflazione è salita al 7,1%, con un rialzo mensile pari allo 0,1%. A incidere in maniera negativa è ancora il comparto del cibo. Biden «ci vorrà del tempo per riportarla a livelli normali»
Credit: EPA/JUSTIN LANE
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15 dicembre 2022 Aggiornato alle 15:00

L’inflazione statunitense sembra aver raggiunto il picco, e ora rallenta rispetto alle previsioni. A novembre è salita al 7,1%, con un rialzo mensile pari allo 0,1% (l’attesa era dello 0,3%), dato più basso dal dicembre 2021. Il presidente della Fed (Banca centrale americana), Jerome Powell, ha dichiarato che la sua priorità è di frenare la corsa dei prezzi.

Nonostante l’indice dei prezzi al consumo sia salito meno delle attese nel mese di novembre, l’inflazione annuale rimane comunque al di sopra del target previsto dalla Fed (ritmo di crescita su base annua del 2%). Ciò comporta, dunque, un aumento generale dei prezzi.

Ad incidere in maniera negativa è ancora il comparto del cibo, con le uova in aumento di quasi il 50%, ma si allevia la pressione da parte della componente energetica.

Risvolto positivo anche dal punto di vista del dato “core”(l’indice dei prezzi al consumo depurato delle componenti più volatili quali cibo ed energia) che su base mensile è cresciuto dello 0,2% (stimato +0,3%), e su base annuale si attesta a +6% (stimato +6,1%). Wall Street non può fare a meno di festeggiare, ma sempre con cautela. Visti i dati ufficiali, si confida in un ammorbidimento della politica monetaria della Fed.

«L’inflazione sta scendendo in America. Il report mostra che per il quinto mese di seguito l’inflazione annuale è scesa», queste le parole del Presidente degli Usa Joe Biden. Parole che generano ottimismo e un clima di fiducia, e che sottolineano il corretto funzionamento del suo piano economico. Ma aggiunge anche che «ci vorrà del tempo per riportare l’inflazione a livelli normali». Il suo obiettivo, comunque, resta quello di tenere sotto controllo l’aumento dei prezzi, ridurre l’inflazione e costruire un’economia “dal basso”. C’è dunque ancora molto da fare. Anche eToro sottolinea con entusiasmo che la strategia messa in atto dalla Fed (quattro rialzi consecutivi dei tassi da 75 punti base) sia risultata funzionante, superando le aspettative

Le aspettative di inflazione di lungo periodo sembrano essere meno in tensione rispetto al passato. I break even points (punto di pareggio) a 5 anni e quelli a 10 anni puntano al 2,3%, mentre gli swap 5y5y (che rappresentano l’aspettativa di mercato circa l’inflazione media a 5 anni, per i cinque anni successivi) al 2,2%.

Il livello ideale, ipotizzando l’assenza di premi al rischio e alla liquidità, è il 2%, che corrisponde all’obiettivo della Fed. Si è comunque lontani dai picchi al 3,6% toccati a inizio anno, quando i tassi erano ancora allo 0-0,25% in una situazione già ampiamente inflazionistica.

Questo sembra il momento adatto, per la Fed, per cambiare strategia. L’inflazione degli Stati Uniti ha mostrato negli ultimi tempi una tendenza molto meno chiara. È diventata più volatile, ma non sembra più così orientata al rialzo come invece è accaduto nei mesi precedenti.

Secondo gli esperti, continuare prudentemente la stretta e mantenere i tassi elevati a lungo, in modo da far scivolare gli effetti fino “a valle”, sembra al momento la strategia più giusta che la Fed possa adottare.

La decisione di Jerome Powell è arrivata ieri, 14 dicembre. Come era previsto, la Fed ha deciso di alzare i tassi di interesse di 50 punti base, arrivando al settimo rialzo consecutivo, il più alto in 15 anni. Ma non sembra finire qui, Powell ha infatti dichiarato che i tassi si alzeranno ancora e che la stretta sarà sicuramente lunga, anche se più graduale.

La strategia messa in atto dalla Fed sarà, dunque, quella di «mantenere la posizione di politica monetaria restrittiva per un certo periodo di tempo», facendo cadere le aspettative dei mercati, che auspicavano un possibile taglio degli stessi a partire dal 2023.

Cosa comporterà questa scelta? Sicuramente la crescita ne risentirà in un primo momento. È prevista una crescita dello 0,5% nel 2023, in deciso calo rispetto dall’1,2% previsto a settembre; dell’1,6% nel ’24, rispetto all’1,7%; e 1,8% nel 2025, valore che rimane invariato. L’inflazione, invece, secondo le stime sarà al 3,1% nel 2023, al 2,5% nel 2024 e al 2,1% nel 2025. Tutto ciò dovrebbe portare, secondo la Fed, a una breve frenata dell’economia, che permetterà di raggiungere un equilibrio prima del previsto. Sembra quindi essere scongiurato il rischio di una dura recessione.

Tutto è andato, dunque, secondo le previsioni. Tra gli analisti, si era esposto Kevin Thozet, membro dell’Investment committee di Carmignac: «Questa settimana ci si attende un aumento dei tassi di 50 punti base. E dato il percorso annunciato della Fed verso un tasso del 5%, è improbabile che si verifichino grandi sorprese in occasioni delle prime riunioni del 2023, soprattutto considerando lo spostamento del focus di Powell dall’inflazione spot all’obiettivo più a lungo termine di un’inflazione al 2%».

Oggi, giovedì 15 dicembre, si riuniscono anche la Bce, la Banca centrale della Svizzera, quella giapponese e quella del Regno Unito. Probabilmente, dunque, non solo negli Stati Uniti, ma anche in Ue i tassi si alzeranno di 50 punti base: questa è la previsione degli analisti.

Non solo Usa, ma anche i mercati azionari europei hanno segnato una crescita: al primo posto la Borsa di Amsterdam, con un aumento dell’1,7%, seguita da Parigi in crescita dell’1,4% e da Francoforte salita dell’1,1%. L’euro si è consolidato a quota 1,06 contro il dollaro. Il picco dell’inflazione dell’area euro, secondo le ultime previsioni di Morgan Stanley, potrebbe essere raggiungo nel primo trimestre del prossimo anno. È obbligatorio muoversi con cautela.

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