Futuro

Che lingua parlano gli influencer?

Per uniformare il linguaggio delle star del web si pensa di introdurre il Globish. Più che la questione linguistica, però, sembra essere urgente la regolamentazione della professione: la Francia dà il buon esempio
Credit: Anastasia Shuraeva
Tempo di lettura 4 min lettura
26 dicembre 2022 Aggiornato alle 18:00

Che si parli di piccole realtà locali o di figure con miliardi di follower in giro per il mondo, il ruolo degli influencer all’interno del sistema economico è oggi diventato centrale. Influenzano il turismo, il modo di vivere, gestire i propri guadagni, i capi da acquistare, le foto da scattare nei luoghi più “instagrammabili”, ma anche la lingua con cui trasmettere il proprio punto di vista.

A livello internazionale, infatti, si sta pensando di uniformare il linguaggio utilizzato dagli influencer di tutto il mondo e utilizzare una sola lingua per comunicare con i propri follower. La scelta starebbe ricadendo sul Globish: la variante di inglese parlata in tutto il mondo grazie a un vocabolario di sole 1500 parole, insegnato da Monica Perna e fondato da, Jean Paul Nerrière.

Il Globish è un inglese che, pur restando corretto, propone una versione scremata e concentrata di questa lingua. Le poche parole, accuratamente scelte, permettono di esprimersi senza problemi. Se si utilizzano più parole, si rischia di perdere la comprensione di una grande maggioranza della popolazione mondiale.

Il segreto della nuova lingua - afferma Perna - risiede anche nel parlare in maniera genuina al proprio pubblico mostrandosi per ciò che si è, creando contenuti che appassionano in primis chi li sta realizzando e far prevalere proprio questo aspetto vincente, in primis sul target di riferimento.

Più che la questione della lingua, però, a essere urgente sembra essere – visto il loro spazio all’interno del sistema di business – la formulazione di condizioni atte a regolamentare il lavoro delle star del web, una direzione verso cui si stanno muovendo molte democrazie occidentali.

Se l’Italia sembra rimanere all’angolo e guardare ancora con sospetto chi guadagna attraverso i propri profili social – nonostante in casa possiamo vantare figure dal peso specifico di Chiara Ferragni, una delle influencer di moda più famose al mondo – in Francia c’è chi ha già pensato a una legge per i baby influencer.

Una normativa creata ad hoc per tutti quei minori che frequentano abitualmente le piattaforme social per pubblicizzare – e quindi guadagnare – brand e marchi, quasi sempre costosissimi. La scelta del governo francese si è resa necessaria perché negli anni il business dei bambini influencer, “utilizzati” dai genitori (spesso a loro volta famosi sui social per lo stesso motivo), vale milioni di dollari l’anno, entrando di diritto nei mestieri più pagati al mondo. Sin dallo scorso anno, infatti, sono stati istituiti dei limiti per quanto riguarda gli orari di lavoro. Per i genitori, nel dettaglio, è fatto obbligo di versare i guadagni ottenuti tramite le attività online dei propri figli su conti a loro intestati che possono rimanere congelati fino al compimento del sedicesimo anno di età.

Inoltre, la nuova legge d’oltralpe per i baby influencer impone alle aziende che chiedono il coinvolgimento minori di sedici anni nelle proprie campagne di influencer marketing di ottenere esplicita autorizzazione alle autorità locali. La norma, inoltre, anticipa il possibile dietro front che i baby influencer, una volta cresciuti, potrebbero richiedere sulla propria ex attività lavorativa. In questi casi, secondo le nuove disposizioni, dovrebbe essergli più facile esercitare in prima persona il diritto all’oblio, anche per via dell’obbligo alle piattaforme di rimuovere in poco tempo i contenuti oggetto della richiesta.

La legge francese è datata 2021, ma l’importanza data al tema continua a essere centrale. Proprio in questi giorni, infatti, il Ministère de l’Économie si è nuovamente riunito per trovare una quadra efficiente per tutelare consumatori e regolamentare la professione dell’influencer marketing. Un ulteriore passo in avanti da parte del governo di Emmanuel Macron che conferma l’attenzione nei riguardi delle nuove professioni digitali.

Nel nostro Paese, invece, si dibatte su altri fronti. Come su quanto sia effettivamente etico dare in pasto al web bambini che non hanno scelto consapevolmente di essere mostrati come testimonial in un luogo virtuale – internet – dove rimarranno presenti e visibili per sempre. E dove, soprattutto, sono esposti quotidianamente a insidie non indifferenti, come il rischio di pedopornografia o di cyberbullismo. Le critiche rimangono tante, anche per questo, forse, non si parla abbastanza a livello legislativo di una normativa che possa regolamentare questo tipo di lavoro. Da parte degli adulti, come dei minori.

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