Diritti

Cina: mancano i farmaci

Pechino è impreparata alla nuova ondata di Covid-19: i casi continuano a crescere e le scorte di ibuprofene e paracetamolo stanno finendo
Credit: © Jin Liwang/Xinhua via ZUMA Press
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13 dicembre 2022 Aggiornato alle 13:00

Se in Italia l’emergenza sanitaria sembra ormai sotto controllo, in Cina la situazione sembra essere decisamente più critica.

Un focolaio di coronavirus, con le cliniche specializzate per i pazienti Covid-19 che si stanno riempiendo a ritmi rapidissimi, ed ecco che Pechino si trova a corto di scorte mediche, e alcuni ospedali hanno iniziato a razionare ibuprofene e paracetamolo.

Il tutto mentre le autorità cinesi hanno iniziato a revocare le misure pandemiche, allentando i controlli zero-Covid. A partire dalla scorsa settimana, per esempio, è consentita la quarantena domiciliare per i pazienti asintomatici e lievi. Un allentamento a misure severissime che, per quanto tali, non sono state in grado di contenere la proliferazione dei focolai.

Gli scaffali delle farmacie si svuotano velocemente, e le persone in fila per acquistare paracetamolo e ibuprofene sono tantissime, troppe, e molte di loro costrette a tornare a casa a mani vuote. «Abbiamo un bambino con la febbre alta ma tutte le farmacie hanno finito l’ibuprofene» racconta un residente di Pechino.

In questo contesto dalle tinte già drammatiche, uno studio rivelato dal Financial Times mostra che in questa spietata “ondata invernale” potrebbero morire fino a 1 milione di persone nei prossimi mesi. Il tutto con decine di milioni di cinesi che torneranno nel Paese d’origine per il capodanno lunare del mese prossimo, aumentando il rischio di diffusione dai grandi centri urbani ai villaggi rurali non protetti.

Ma che cosa sta succedendo? In questi giorni i dipartimenti di emergenza della capitale cinese stanno segnalando massicci afflussi di pazienti Covid, che la città sta incanalando attraverso 94 cliniche e ospedali designati. E il Peaking Union Medical College Hospital, una delle migliori strutture del Paese, ha convertito la palestra per i dipendenti in un centro di dialisi per pazienti con malattie renali allo stadio terminale che sono risultati positivi al virus.

Giovedì scorso, a Pechino, sono stati segnalati 4338 nuovi casi per il giorno precedente, una cifra inferiore al totale di martedì, ma specchio di un rallentamento del tasso dei test ufficiali, tasso che esclude dal conteggio i tamponi rapidi eseguiti in casa dai cittadini.

I medici di Pechino, sfruttando anche la risonanza dei media, invitano ai pazienti con la febbre a rimanere in casa, a non uscire e a non recarsi nelle cliniche, che si trasformano rapidamente in focolai, e le autorità sono di nuovo costrette a riservare i limitati letti d’ospedale ai pazienti più gravi.

E i ritmi, per il personale sanitario, sono quasi insostenibili: un testimone racconta che in una di queste cliniche arrivano medici di altri reparti a lavorare nelle “cliniche della febbre”, con turni da 24 ore alternati a un riposo di altrettante 24 ore. «I nostri ospedali riescono a malapena a eseguire le normali operazioni in questi giorni», racconta un medico del Sixth People’s Hospital di Shanghai.

Al Civil Aviation General Hospital della capitale sono estese anche le code per entrare in clinica: «Stiamo aspettando da due ore», afferma una paziente in attesa.

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