Diritti

Iran: seconda esecuzione in meno di una settimana

A 23 giorni dall’arresto con l’accusa di aver ucciso due membri delle forze di sicurezza iraniane, Majidreza Rahnavard è stato impiccato a Mashhad, dopo quello che è stato definito un processo-farsa
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Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
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12 dicembre 2022 Aggiornato alle 17:00

Aveva 23 anni, Majidreza Rahnavard, il secondo manifestante impiccato “in pubblico” lunedì 12 dicembre in Iran. La stessa età di Mohsen Shekari, il primo ragazzo giustiziato giovedì scorso per aver bloccato una strada “con l’intento di creare terrore e uccidere” e aver ferito “intenzionalmente”, con un’arma da taglio, un membro della forza paramilitare dei Basij, mentre era in servizio.

Rahnavard, secondo un tribunale della città di Mashhad, avrebbe ucciso due membri della forza di volontari Basij, affiliata alle Guardie rivoluzionarie iraniane, e ne avrebbe feriti altri quattro.

L’agenzia Mizan, organo di stampa della magistratura, riporta dettagliatamente l’intero processo a cui è stato sottoposto Rahnavard “alla presenza dei testimoni, delle famiglie dei martiri (le forze di sicurezza uccise, Hossein Zainalzadeh e Daniyal Rezazadeh, ndr), degli avvocati, dell’imputato, del rappresentante del pubblico ministero, del giudice e del suo consigliere, nonché di giornalisti”: due uomini alla sbarra hanno raccontato di aver assistito “da vicino” all’omicidio delle due guardie e hanno riferito che l’episodio avrebbe “intimidito l’atmosfera della regione a tal punto che la gente era in preda al panico e alla paura e i negozianti hanno chiuso le loro attività”.

I media statali iraniani, spiega Iran International, l’emittente televisiva in lingua persiana con sede a Londra che si rivolge a un pubblico iraniano, hanno mandato in onda i filmati di un uomo, che hanno identificato come Rahnavard, che aggredisce e accoltella due persone.

Secondo Mizan “il sospettato è stato arrestato il 19 novembre mentre era fuggito da Mashhad e stava progettando di lasciare il Paese”.

A dicembre il procuratore della capitale provinciale di Khorasan ha annunciato l’emissione dell’atto di accusa nei confronti di Rahnavard. Durante l’udienza, il rappresentante del pubblico ministero ha decretato la sua colpevolezza facendo riferimento “agli eventi del giorno dell’incidente, ad alcuni dei documenti del caso, compresa la confessione dell’imputato, il rapporto del dipartimento di intelligence e quello delle istituzioni di sicurezza, nonché la ripetuta richiesta degli imprenditori e dei residenti locali di punire gli imputati, ripetute chiamate dei cittadini”.

Il verdetto è stato approvato dai giudici della Corte Suprema del Paese e l’esecuzione “secondo la legge islamica della Shari’a è avvenuta la mattina di lunedì 12 dicembre in pubblico, “alla presenza di un gruppo di persone della città di Mashhad”.

La famiglia del ragazzo, riporta il collettivo di attivisti 1500tasvir, non sapeva che sarebbe stato giustiziato: ha ricevuto la notizia lunedì mattina presto ed è stata informata che il corpo era stato già seppellito in un lotto del cimitero locale. L’impiccagione di Rahnavard è la seconda legata alle proteste in corso in Iran: la prima, emessa a metà novembre, è stata eseguita giovedì 8 dicembre. Sono trascorsi solo 4 giorni da allora.

Secondo i gruppi per i diritti umani i manifestanti vengono condannati a morte dopo processi farsa: Mahmood Amiry-Moghaddam, direttore dell’organizzazione per i diritti umani senza scopo di lucro Iran Human Rights, ha twittato che “Rahnavard è stato condannato a morte sulla base di confessioni estorte, dopo un procedimento gravemente iniquo e un processo-farsa. Questo crimine deve avere gravi conseguenze per la Repubblica islamica”.

Durante l’udienza di Shekari, il primo 23enne impiccato per “inimicizia contro Dio”, il ragazzo mostrava segni evidenti di tortura sul suo volto: l’ha riferito suo zio Mahmoud Shekari al Guardian.

In un altro tweet, l’ong ha scritto che l’esecuzione di Rahnavard dovrebbe ricevere “una reazione così forte che i leader dello Stato islamico dovrebbero astenersi da ulteriori esecuzioni. […] Proteste, scioperi e grida più forti dentro e fuori l’Iran dovrebbero essere la risposta a questi crimini”.

Finora le sanzioni imposte dall’Unione europea e dalle potenze occidentali ai responsabili dell’ondata di repressione, che consistono nel divieto di viaggiare e nel congelamento dei loro beni, hanno scarso impatto pratico perché è improbabile che queste persone escano dal Paese o possiedano beni al di fuori dell’Iran.

Il grido che si leva dai cortei che sfilano dentro e fuori dall’Iran chiede azioni più severe, come l’espulsione dei diplomatici iraniani e l’interruzione dei colloqui con il Paese sull’accordo sul nucleare.

Intanto, si moltiplicano gli appelli pubblicati online e sui giornali a firma dei genitori dei manifestanti che stanno per affrontare nuove condanne a morte: sostengono la loro innocenza e chiedono che venga concesso loro il diritto fondamentale di poter scegliere un avvocato.

Secondo Human Rights Watch le persone uccise dall’inizio delle manifestazioni sono almeno 488. Altre 18.259 sono state arrestate. Amnesty International ha avvertito che una ventina di persone rischiano l’esecuzione. L’associazione ha anche documentato le morti dei bambini uccisi illegalmente o picchiati a morte dalle forze di sicurezza: sono 44.

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