Economia

Pnrr: come lo stiamo spendendo?

Solo 21 sui 55 obiettivi previsti entro fine anno sono “completati”: per colpa dei ritardi negli investimenti dovuti a inflazione e burocrazia i 19 milioni della terza rata sembrano più lontani del previsto
Credit: Zeynep Sümer/unsplash
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12 dicembre 2022 Aggiornato alle 21:00

Il Pnrr, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, è un piano di spesa da 221,1 miliardi di euro - di cui 191,5 assegnati dal Dispositivo per la Ripresa e Resilienza e 30,6 provenienti da un Fondo complementare istituito nel 2021- a che l’Unione europea nel 2020 ha destinato all’Italia nel suo Next Generation EU, un fondo di circa 750 miliardi messo in campo per rilanciare la crescita, gli investimenti e le riforme nei paesi dell’Unione europea.

Le ingenti risorse dell’NGEU, canalizzato attraverso i vari progetti del Pnrr, mirano quindi a dare un sostegno concreto all’economia italiana per fare fronte alla bassa crescita economica ed elevata disoccupazione provocata dalla pandemia. I tre capisaldi su cui il piano si fonda - digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica e inclusione sociale - si diramano in 6 principali ambiti di intervento: Digitalizzazione, Innovazione, Competitività, Cultura e Turismo a cui spettano 40,29 miliardi; Infrastrutture per una Mobilità Sostenibile con 25,40 miliardi; Istruzione e Ricerca con 30,88; Inclusione e Coesione a cui spettano 19,85 miliardi; Salute con 16,63 e infine Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica, a cui spetta la fetta più grande dei fondi, pari a ben 59,46 miliardi.

Il Pnrr si presenta quindi come un forte stimolo per lo sviluppo del nostro Paese, collegato non solo alla validità dei progetti presentati ma anche al loro effettivo conseguimento. Non a caso ogni 6 mesi fino al 2026 (entro il quale dovranno essere impiegati i fondi) la Commissione europea esegue una revisione dei risultati raggiunti, e se l’Italia non riesce a raggiungere gli obiettivi previsti l’Ue non invierà la successiva rata di finanziamento. Attualmente, la seconda rata pari a 21 miliardi è arrivata a settembre, dato il parere positivo di Bruxelles sulle 45 scadenze raggiunte e completate nel primo semestre del 2022.

Tuttavia, stando all’ultima nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Nadef) , il governo ha riconosciuto che i soldi spesi per gli investimenti legati al Pnrr sono stati meno di quanto preventivato. Le motivazioni addotte sarebbero legate alla brusca impennata dei costi delle opere pubbliche, anche dovuti alla spirale inflattiva accentuata dalla guerra in Ucraina, oltre che alla difficoltà, soprattutto per gli enti locali, nel portare a compimento le complesse procedure del Pnrr. Tutto ciò si traduce in cantieri bloccati, macchina burocratica in panne e ritardi nell’attuazione del piano, con una spesa effettiva entro la fine dell’anno pari probabilmente a meno di 20 miliardi di euro, a fronte degli oltre 29 previsti nel Def, il Documento di Economia e Finanza trasmesso dal governo ogni anno, in cui si delinea la situazione presente dell’economia e vengono definiti gli obiettivi da raggiungere tramite le riforme.

51 obiettivi (aggiudicazione di appalti ed entrata in vigore di nuove normative) fissati per il 2021 e 45 nella prima metà del 2022 sono stati raggiunti, permettendoci di incassare per ora le prime due rate, per un totale di 66,9 miliardi. Stando alle ultime dichiarazioni, nonché all’Osservatorio Pnrr del Sole 24 Ore , si apprende tuttavia che solo 21 sui 55 obiettivi previsti entro la fine dell’anno - e necessari per l’erogazione della terza rata di 19 miliardi - sono stati effettivamente completati, con le restanti 11 ‘vicine’, 21 ‘in linea’ e 2 ‘lontane’. Ai ritardi sui traguardi e obiettivi si aggiunge quello nella capacità di spesa. Dall’ultima nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Nadef) emerge che nel periodo 2020-2021 sono stati spesi solo 5,5 miliardi sui 18,5 programmati, meno di un terzo di quanto originariamente previsto nel Def 2021.

Da ciò consegue dunque che la spesa non attuata nel triennio 2020-2022, pari a circa 26,7 miliardi, dovrà essere rinviata negli anni futuri, con un consistente aumento nel 2025 e 2026.

Come afferma la relazione Numero 3/22 del Centro studi di Confindustria, a giustificare i vistosi rinvii di spesa osservati potrebbe essere il fatto che la programmazione originariamente ipotizzata per alcuni investimenti potrebbe non essere stata coerente con i traguardi e obiettivi del piano, con importi non bene commisurati alle reali necessità e capacità di spesa della pubblica amministrazione. Oppure la presenza di investimenti effettivamente realizzati ma non ancora rendicontati sul sistema di monitoraggio e rendicontazione ReGIS, dove i soggetti attuatori caricano i dati sullo stato di avanzamento dei singoli progetti, che non a caso riporta solo le spese pienamente conformi alla normativa del Pnrr pari a 11,7 miliardi (fino al 31 agosto), relativi principalmente a progetti già iniziati in un periodo precedente al Piano.

A primeggiare fra gli investimenti c’è il settore delle infrastrutture e trasporti con 3,6 miliardi, con misure legate all’attuazione di uno ‘Sportello Unico Doganale’, collegamenti ferroviari alta velocità, linee guida per la classificazione e gestione del rischio e monitoraggio dei ponti esistenti e accelerazione dell’iter di approvazione dei progetti ferroviari. Seguono poi le voci legate al piano di politica industriale italiano ‘Transizione 4.0’ (2,9 miliardi), Ecobonus-Sismabonus (2,7 miliardi), Resilienza e valorizzazione dei territori comunali (1,2 miliardi), Scuole innovative (396 milioni), Rifinanziamento Fondo SIMEST (398 Milioni), Gestione risorse idriche (181 milioni), e infine Digitalizzazione, con progetti come ‘’italia a 1 Giga’’ e ‘’Italia 5G’’ (128 milioni).

Secondo quanto si legge nella Relazione al Parlamento sul tema della spesa effettiva, sono stati finora pubblicati 334 bandi o avvisi per un totale di 94,7 miliardi fra appalti pubblici, individuazione di proposte progettuali, selezioni di esperti, contributi e crediti di imposta.

Fra i 226 progetti presentati dai team di ricerca del Servizio sanitario nazionale, i fondi da 260 milioni per la ricerca sanitaria assegnati serviranno a condurre ricerche per lo sviluppo e la qualità delle prestazioni per i pazienti con malattie rare e croniche non trasmissibili, ma il Ministero della salute ha anche sottoscritto contratti istituzionali di sviluppo con regioni e province autonome relativi alle case della comunità, assistenza domiciliare e per l’ammodernamento del parco tecnologico e digitale ospedaliero.

Spuntano poi due misure di investimento e una riforma sul tema dell’idrogeno, finalizzate a migliorare le conoscenze sul suo uso «come vettore nelle fasi di produzione, stoccaggio e distribuzione», nonché investimenti diretti a incentivare la produzione di elettrolizzatori e per lo sviluppo di pannelli fotovoltaici ad alta efficienza.

Sul versante turismo, il ministero della cultura ha assegnato oltre 398 milioni di euro a 20 comuni per la realizzazione di 21 progetti scelti da ciascuna regione per i borghi del proprio territorio, e altri 363 milioni per 289 comuni in merito a progetti di rigenerazione culturale e sociale dei borghi storici, nonché il 590 milioni a Regioni e Province autonome per la tutela e valorizzazione dell’architettura e del paesaggio rurale.

Inoltre, dall’ultimo report di Openpolis la Sicilia appare come maggiore beneficiaria dei fondi del Pnrr nel settore Cultura, con ben 175 milioni di cui 62 per i borghi, 9 per l’efficientamento di teatri, musei e cinema e i restanti 104 finalizzati al restauro dei luoghi di culto.

Ma nonostante le buone apparenze e una generale sensazione di speranza, i ritardi si fanno sentire, e il timore di perdere i finanziamenti smuove il governo, che si convince sempre più che l’unica soluzione sia quella di rivedere i tempi e i costi previsti per la realizzazione del piano «come fa qualunque impresa a fine anno», spiega il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini. L’allarme proviene anche dagli altri ministeri come quello della Protezione Civile, in cui il ministro Nello Musumeci afferma che «se la scadenza del 2026 non dovesse essere compatibile con le lentezze attuali, sarà necessario chiedere almeno due anni di proroga».

E mentre dall’opposizione Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia Romagna, chiede al governo di convocare «un tavolo con parti sociali ed enti locali, perché l’aumento dei prezzi rischia di mandare deserte le gare per miliardi di lavori», il governo Meloni, con la sua maggioranza, cammina su un sentiero pericoloso, tra la fretta di realizzare i 55 obiettivi previsti entro la fine dell’anno e il rischio di compromettere i rapporti con Bruxelles con richieste e modifiche sui tempi, sperando di non imboccare la via più impervia.

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