Economia

L’Economist torna a parlare dell’Italia. E non fa sconti

Il report del settimanale britannico Renovation required sostiene che il Paese avrebbe bisogno di forti riforme economiche, ma Giorgia Meloni non sarebbe in grado di farle
Credit: ANSA/Giuseppe Lami
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
12 dicembre 2022 Aggiornato alle 13:00

L’Economist picchia duro sull’Italia e sulla premier Giorgia Meloni. Dopo la copertina che pochi giorni prima delle elezioni del 25 settembre ritraeva proprio la futura Premier affiancata alla scritta L’Europa deve preoccuparsi?, il settimanale liberal britannico torna a occuparsi del nostro Paese con il report dal titolo Renovation required (“ristrutturazione richiesta”), che si interroga su cosa sia andato storto in un’economia che per cinquant’anni e fino agli anni Novanta è stata una di quelle a crescita più rapida nell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) e nei successivi è diventata la più lenta.

Unendo diversi articoli su tematiche specifiche, l’approfondimento a firma John Peet sostiene che l’Italia necessiterebbe di profonde riforme economiche per ritrovare la vitalità perduta ma che Giorgia Meloni non avrebbe l’intenzione o l’esperienza per farle.

Superato lo scontato elogio iniziale al bel Paese, il giornalista entra nel nocciolo della questione sottolineando come l’Italia, pur essendosi ripresa egregiamente dalla scure delCovid-19 anche grazie alla grande quantità di denaro assicurata dal fondo Next Generation EU, abbia davanti a sé prospettive disastrose. Colpa della ripresa dell’inflazione a due cifre, dell’aumento dei tassi di interesse, dell’impennata dei costi dell’energia e dell’invasione Russa in Ucraina che probabilmente porteranno la zona euro in recessione nel 2023.

Una situazione che secondo John Peet potrebbe essere particolarmente pesante per il nostro Paese, a causa di debolezze economiche di lunga data riassunte in questo modo. «Il debito pubblico sfiora il 150% del Pil, facendo dell’Italia il terzo maggior debitore dell’Ocse dopo Giappone e Grecia. Il livello di occupazione è scarso. La partecipazione femminile alla forza lavoro è la più bassa dell’Ue e la percentuale di giovani che non lavorano, non studiano o non seguono corsi di formazione la più alta. I risultati dell’istruzione sono pessimi e le prospettive demografiche sono fosche: l’Italia ha il secondo tasso di natalità più basso in Europa e una delle popolazioni che invecchia più rapidamente».

Non mancano stoccate al mondo degli affari. «L’Italia ha una pletora di piccole imprese, ma notevolmente poche di grandi dimensioni e un punteggio peggiore di qualsiasi altro Stato dell’Europa occidentale nell’ultimo indice della Banca mondiale per la facilità di fare affari. Gli investimenti esteri diretti sono incredibilmente bassi per un Paese del G7. La spesa in ricerca e sviluppo (R&S) è appena l’1,5% del Pil, la metà della Germania e la pubblica amministrazione rimane sia troppo grande che troppo inflessibile. Inoltre soffre più della maggior parte dei Paesi dell’Ue a causa di un alto livello di corruzione e di una grande economia sommersa, specialmente nel Sud, una delle regioni meno sviluppate d’Europa».

L’analisi dell’Economist non si ferma qui ma sottolinea anche come il Pil pro capite sia aumentato a malapena in termini reali dal 2000. «Quando l’Europa è cresciuta, l’Italia ha avuto la tendenza a crescere più lentamente; quando l’Europa è arretrata, l’Italia ha avuto la tendenza a arretrare di più».

Un quadro decisamente poco entusiasmante, che fotografa una china discendente invertibile solo con le azioni di un governo stabile e capace, che secondo il settimanale non corrisponde a quello in carica retto da Giorgia Meloni.

Il motivo principale è la sua inesperienza. Prendendo in prestito un appellativo coniato dal professore di politica alla Luiss di Roma, Roberto D’Alimonte, la firma del report parla di Persona incognita, sottolineando come, escludendo l’impegno all’interno di Fratelli d’Italia, la Premier abbia all’attivo solo un ruolo da sottosegretaria nel governo Berlusconi 2008-11. Di per sé questo non sarebbe un problema enorme secondo l’Economist, se non fosse per la situazione disperata nella quale verserebbe l’Italia, bisognosa di anni di riforme Draghi, il cui Pnrr rischia di rimanere impantanato a causa della poca chiarezza dell’attuale esecutivo.

Arriva in questo punto l’affondo più duro verso Meloni, che per raddrizzare il Paese dovrebbe essere la Margaret Thatcher italiana e portare avanti misure impopolari contro l’establishment, mentre invece quell’establishment sembra volerselo tenere molto stretto sostenendo «gruppi privilegiati che respingono la concorrenza e frenano la crescita, dai tassisti ai titolari di concessioni balneari e mostrando una vena nazionalista e protezionista nell’opporsi all’acquisizione straniera di beni italiani. Le parole d’ordine del suo governo sembrano essere clientelismo e corporativismo, non concorrenza e libero mercato. Eppure è di più concorrenza che l’Italia ha bisogno, non di più protezione».

Questa la tesi dell’Economist.

Leggi anche
La leader di Fdi Giorgia Meloni durante il comizio di chiusura della campagna elettorale a Napoli, 23 Settembre.
Politica
di Azzurra Rinaldi 3 min lettura
Politica italiana
di Alessia Ferri 2 min lettura