Ambiente

Parole atomiche: quello che occorre memorizzare

Le parole non sono nulla se non le si lega a concetti e dati. Sul nucleare sta succedendo questo per reintrodurlo. Ecco un breve glossario che lega parole, dati e dinamiche. Il lettore poi si faccia un’opinione.
di Sergio Ferraris
Sergio Ferraris Direttore della rivista Nextville
Tempo di lettura 5 min lettura
17 gennaio 2022 Aggiornato alle 12:00

Spesso ritornano. Gli atomi. O meglio l’energia atomica. Con l’inserimento del nucleare, con il gas, all’interno della tassonomia europea, ossia l’elenco degli investimenti che Bruxelles ritiene ambientalmente sostenibili, ritorna il “dibattito” sull’energia nucleare, anche in Italia. E di nuovo abbiamo il classico approccio “semplicistico” della politica, nel quale si cercano soluzioni semplici, e si vorrebbe far credere che l’atomo lo sia, a un problema complesso come energia e clima. E infatti da qualche settimana che con il nucleare si trovano aggettivi quali “pulito”, “semplice”, “economico” e “affidabile”. Forse non è esattamente così. Al netto degli incidenti che ci porterebbero fuori strada vediamo se questi aggettivi, quando si parla di nucleare, corrispondono ai fatti.

Nucleare pulito

Parzialmente vero sul fronte del clima e quindi sulle emissioni di CO2 visto che le emissioni climalteranti dovute alla costruzione e al rifornimento del combustibile atomico rispetto all’esercizio per 60 anni – periodo temporale per il quale i nuclearisti sperano che gli impianti funzionino - con un fattore di carico - percentuale di produttività in un anno - del 92,5% sono decisamente poche, ma falso dal punto di vista delle scorie. Quello delle scorie è un punto sul quale i nuclearisti svicolano, proponendo i reattori autofertilizzanti che producono energia usando il combustibile esausto e riducendone il volume - si veda sotto l’esperienza del Superphénix, oppure evitando accuratamente di dire che esiste in tutto il Pianeta un unico deposito definitivo per le scorie nucleari, in costruzione - costo 3,42 miliardi di euro - , in Finlandia a Onkalo, mentre persino gli Stati Uniti, che hanno ben 55 centrali con 93 reattori attivi, non hanno una soluzione definitiva avendo abbandonato la realizzazione del deposito di Yucca Mountain - costo stimato 84,27 miliardi di euro, dopo averne già speso 11,83 miliardi di euro.

Nucleare semplice

Di semplice quando parliamo di nucleare c’è solo l’approccio di certa politica. Le centrali sono quando di più complesso esiste per la produzione d’energia sul Pianeta e la filiera del combustibile nucleare, dall’estrazione allo smantellamento delle centrali a fine vita, passando dai depositi delle scorie e dal trasporto è quanto di più complicato esista. Si tratta di una filiera, quella a valle delle centrali che è quasi interamente a carico pubblico e che se non la si possiede, come l’Italia, prevede costi elevati per essere creata. Con ogni probabilità la semplicità tanto comunicata si riferisce al modello energetico nel quale il nucleare si può inserire che è quello massicciamente centralizzato e dove l’unico compito dei cittadini è di consumare, oltretutto a prezzi imposti di produttori che, per inciso, non pagano i costi di una buona parte della filiera.

Nucleare economico

Più che economica l’energia atomica la si dovrebbe definire “economicamente imponderabile”. Una decina d’anni fa l’agenzia di rating Fitch dava al settore un B proprio a causa dell’indeterminatezza dei costi di gestione delle scorie, e senza considerare ipotesi d’incidenti. E anche sui prezzi di costruzione dei reattori l’indeterminatezza regna sovrana. Per il reattore 3 della centrale finlandese di Olkiluoto, un EPR francese di generzione III+, si è partiti da un preventivo di costo di 3,2 miliardi di euro nell’agosto 2005 con entrata in funzione in 4 anni. Il reattore è entrato in funzione il 22 dicembre 2021 con un costo di 11 miliardi di euro e solo 12 anni di ritardo. Un’eccezione dovuta al fatto che il reattore finlandese è “sperimentale” visto che è il primo EPR della storia, come sostengono i nuclearisti? A spostare i riflettori su Flamanville dove nel 2007 si è iniziato a costruire il secondo EPR, che avrebbe dovuto essere completato nel 2012 non si direbbe. L’entrata in funzione, a oggi, è prevista nel 2023. Con un ennesimo rinvio dopo che si sono scoperti un serie di difetti nelle saldature. I costi sono passati da 3,3 miliardi di euro a 12,7, con un incremento di 300 milioni solo a causa delle saldature. Enel nel 2012, proprio a causa di costi e ritardi, uscì dalla partecipazione all’EPR di Flamanville, di cui deteneva un 12,5% e ad altri 5 progetti con la tecnologia EPR, ricevendo 701,69 milioni di dollari in precedenza anticipati.

Nucleare affidabile

L’affidabilità per così dire relativa ai costi l’abbiamo vista così come quella relativa alla costruzione degli impianti. Ma c’è anche l’affidabilità finanziaria nel tempo. Tradotto: cosa succede se si verifica un guasto industriale senza perdita di radioattività? Le opzioni sono due. O si ripara a costi spesso imprevedibili perché non è che ci siano casistiche precise visto la grande varietà di tipologie d’impianti esistenti, oppure si chiude in anticipo. Eallora rimangono sul groppone i costi di costruzione, magari non ammortizzati e quelli di smantellamento della centrale e di stoccaggio delle scorie. Ipotesi improbabile? Non proprio. La centrale italiana del Garigliano, entrata in funzione nel 1964 è stata chiusa nel 1982 a causa di un guasto senza danni per l’ambiente - 4 anni prima di Chernobyl e del referendum sull’atomo - perché la riparazione è stata giudicata antieconomica. E che dire della centrale francese Superphénix, la fenice atomica, che doveva dare nuova vita energetica alle scorie. Entrata in funzione nel 1986 è stata chiusa nel 1996, dopo soli dieci anni di produzione durante i quali ha avuto un 14,4% medio di fattore di carico, con il massimo del 33% - contro il 92,5% del nucleare normale e il 24,9% del fotovoltaico - producendo, quindi, un sesto di ciò che prometteva, ma con un costo totale di 9,1 miliardi di euro, tra costruzione e i continui guasti, più 1,3 miliardi per lo smantellamento la cui fine è prevista nel 2030. Una fenice che non è mai risorta per cui il “sogno” di riutilizzare il plutonio di scarto dei reattori nucleari classici è rimasto nel libro dei sogni. Approfondimento a cura di Nextville

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