Diritti

Italia: le punizioni corporali ai bambini sono ancora legali

Secondo Save The Children Sweden, sono 53 i Paesi che hanno criminalizzato la violenza contro i minori. Il nostro Paese non compare e - visti i metodi educativi che vanno per la maggiore - la cosa non stupisce
Credit: Anna Shvets/pexels
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
7 gennaio 2023 Aggiornato alle 16:00

Se eliminassimo dal mappamondo tutti i Paesi in cui le punizioni corporali sui bambini non sono illegali, quanti ne resterebbero?

Troppo pochi, secondo la Children’s World Map realizzata da Save The Children Sweden, che mostra come siano solo 53 quelli che hanno criminalizzato la violenza contro i bambini.

La prima a farlo è stata proprio la Svezia nel 1979, seguita da Finlandia (1983), Norvegia (1987), Austria (1989), Cipro (1994), Danimarca (1997), Lettonia (1998), Croazia (1999), Bulgaria (2000) e Israele (2000). Negli ultimi 22 anni, altre 43 nazioni da tutti i continenti si sono unite all’elenco.

Significativamente, tra queste non c’è l’Italia.

La legge italiana, infatti, non prevede in modo espresso la liceità o meno del picchiare i figli per punirli, a esempio con uno schiaffo.

Certo, la punizione deve essere proporzionata al comportamento da reprimere e alla personalità del bambino, oltre che limitata nel tempo, perché non possa configurarsi il reato di maltrattamenti in famiglia, ma le botte come metodo educativo non vengono sanzionate.

Secondo l’art. 571 del codice penale «Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina nei confronti di una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per la sua educazione, istruzione, vigilanza o custodia (anche nell’esercizio di una professione) rischia sino a 6 mesi di reclusione se procura a quella persona un danno fisico o psichico, a norma dell’articolo 571 del codice penale». L’intento educativo – spiegano gli avvocati dello Studio Di Caprio sul loro sito – deve quindi «essere esercitato con coerenza senza provocare traumi alla personalità del figlio».

Ma siamo sicuri che anche un semplice schiaffo sia tollerabile? Non sono in pochi a ritenere che alzare le mani quando necessario sia un diritto del genitore, che ha il compito di educare i figli e punirli quando sbagliano. Ma diremmo lo stesso se un marito facesse lo stesso per educare la moglie o per punire un comportamento errato reiterato?

Al giorno d’oggi pedagogisti, educatori ed esperti di puericultura sono concordi nel dire che la violenza – anche lo schiaffo o lo sculaccione lo sono, anche se siamo restii a riconoscerli come tali – non ha alcun effetto educativo se non quello di instillare la paura nei bambini, che potrebbero sì smettere di fare una cosa sbagliata ma non perché hanno compreso il loro errore, ma per paura delle conseguenze. Quello che sicuramente insegna usare la violenza per punire o formare è che la violenza, appunto, è un metodo di risoluzione di problemi.

Eppure, i sostenitori dei «buoni vecchi metodi con i quali tutti siamo cresciuti e che non facevano male a nessuno» sembrano essere ancora numerosi. O almeno questa è sicuramente l’impressione che emerge non solo dall’osservazione empirica di moltissime famiglie, in cui lo schiaffo non è il fallimento momentaneo di un genitore stanco, arrabbiato e estremamente umano, ma un modello educativo da applicare all’occorrenza.

La stessa impressione si ha nel vedere i dibattiti sui bambini molesti al ristorante in cui al grido di «signora mia ai miei tempi» in tantissimi si esaltano ricordando che si stava meglio quando i bambini erano bravi soldatini immobili grazie al terrore della reazione dei genitori. E se non lo erano abbastanza era giusto che papà e mamma mostrassero a suon di cinquine o, perché no, della buona vecchia ciabatta chi era che comandava. (Non il battipanni o il mattarello, però, che una sentenza della Corte di Cassazione nel 2017 ha definito abuso dei mezzi di correzione).

Emblematiche, in questo caso, le reazioni estremamente favorevoli al racconto di un padre che, di fronte al figlio di 5 anni che ha detto una parolaccia alla madre, gli assesta uno schiaffo così forte da sdraiarlo a terra.

Forse non è un caso che non siamo in quella lista. Bandire una volta per tutte le punizioni corporali significa ripensare il modello educativo che ci ha portati fin qui, mettere in discussione i ruoli e le gerarchie con cui siamo cresciuti e, in fondo, significa ripensarci come genitori e come figli.

E a vedere la naturalezza con cui molti ammettono di punire i propri figli «vabbè ma solo con uno schiaffo sul sedere, mica in faccia» o quanti dicono che ci vorrebbe un ritorno alle maniere forti (ma perché, sono mai andate via?), la risposta è che in quella lista potremmo non entrare ancora per un bel po’.

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