Ambiente

Scienza, perché dopo due anni ci serve ancora di più

Invece di riportare un dibattito articolato, spesso i media hanno finito per spingere l’opinione pubblica a credere in una falsa dicotomia che ha impoverito la discussione. Come possiamo fare meglio?
Credit: Tim Janieson/Unsplash
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16 gennaio 2022 Aggiornato alle 09:00

Sulle bacheche dei critici accaniti della vaccinazione la notizia è corsa veloce. “Non si possono fare richiami oltre tre-quattro mesi, basta booster ravvicinati”, ha detto tre giorni fa l’Ema (Agenzia Europea per i Medicinali, ndr). Posizione rafforzata da quella dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha parlato della necessità di vaccini più efficaci, a lunga durata e accessibili a tutti. Ma a far esultare i non vaccinati ideologici è stato anche il subentrare nella nuova, contagiosissima, variante Omicron, capace di “bucare” il vaccino e infettare persino i vaccinati. Tutto a dimostrazione, secondo loro, che la strategia dei vaccini è rovinosa, che lo Stato (e l’Europa) hanno sbagliato e non sanno più come giustificare la radicale soppressione dei nostri diritti, che Big Pharma ha vinto, che la scienza ‘ufficiale’ si è dimostrata falsa e dunque fallimentare.

Posizioni che, ovviamente, rischiano di influenzare, anche se parzialmente, anche chi si è vaccinato con convinzione, che comincia a dubitare delle verità che gli vengono dette. Anche perché la stanchezza è molta e il non vedere una via d’uscita aggrava le fragili spalle di chi è provato da due anni esatti di emergenza pandemica.

E dunque è vero, siamo in una situazione delicata, ma non solo dal punto di vista epidemiologico. Siamo in una situazione delicata dal punto di vista anche del nostro rapporto con la scienza, che rischia di essere incrinato. Proprio in un momento confuso come questo è dunque tanto più necessario mostrare che ciò tutto ciò che la pandemia ci ha tolto, oppure ci ha regalato di non gradito, non è causato in alcun modo dalla scienza. E che il rapporto con quest’ultima è un lascito fondamentale che questa epidemia ci consegna.

Quello schiacciamento sull’unica dicotomia “no vax”-“pro vax”

Questi due anni di pandemia hanno accentuato le divisioni nella società italiana. E il solco passa proprio tra vaccinati e non vaccinati. Il Green pass ha aggravato le diseguaglianze tra queste due categorie. I non vaccinati, e i loro figli, sono stati estromessi progressivamente dalla vita sociale, dai mezzi pubblici, dallo sport. Questo ha qualcosa di profondamente inquietante, specie di fronte al silenzio della maggior parte dei vaccinati. Si è creata una società di serie a, i benestanti, colti e vaccinati e una di serie b, i meno istruiti, i più poveri. Era necessario, si poteva fare diversamente? Forse, ma quello che ci interessa qui è che in questa decisione non c’entra la scienza ma la politica. Dunque il green pass non mina la scienza, semmai – eventualmente – la politica.

Ma l’emergenza pandemica ha anche messo in crisi una cosa altrettanto fondamentale, ovvero la democrazia, il diritto di critica, il concetto stesso di opposizione politica. In parte questo è inevitabile, lo è stato in tutti i paesi, la filosofia politica insegna che purtroppo i momenti di emergenza sono sempre i più propizi alla sospensione democratica. Ma sarebbe potuto andare diversamente se non si fossero messi sullo stesso piano gli anti vaccinisti ideologici e i critici più autorevoli della gestione della pandemia, così come i costituzionalisti preoccupati dei diritti saltati. Non perché questi ultimi abbiano sempre avuto ragione, ma perché il diritto di critica, la discussione, il dibattito democratico sono sempre un bene.

Invece anche le critiche di spessore sono state confuse con le critiche anti-vaccino ideologiche e becere e la colpa è principalmente di un sistema mediatico impaurito che ha finito per adagiarsi su un facile scientismo e sulla conseguente comoda contrapposizione tra “no vax” e “pro vax”, definizioni tanto brutte quanto errate.

Così, invece di riportare un dibattito articolato, spesso i media hanno finito per spingere l’opinione pubblica a credere in una falsa dicotomia che ha impoverito la discussione. Ma in tutto ciò, di nuovo, la colpa non è della scienza, come non sono imputabili alla scienza, ma solo alle persone, gli errori degli scienziati, le previsioni non azzeccate, le contraddizioni dei singoli virologi, il loro narcisismo spesso insopportabile, il loro comportamento non sempre etico. Errori che minano solo chi li ha fatti, non - di nuovo - la scienza stessa.

Oltre la virologia: la scienza è anche altro

E qui veniamo a ciò che, invece, abbiamo guadagnato. Dopo anni di talk show occupati da politici e giornalisti, è accaduto che nei salotti tv si siano seduti medici e scienziati. Non è un passaggio di poco conto, ma qualcosa di veramente fondamentale. E se oggi siamo esausti e stanchi dell’ennesimo virologo con il microfono – perché i media, come sempre, hanno cominciato a copiarsi l’un l’altro, finendo nella ripetizione e nel conformismo – non era mai accaduto nel nostro paese che in televisione e nei giornali parlassero scienziati. Che ci fosse un dibattito pubblico al cui centro si trovava la scienza.

Attraverso i suoi spesso inadeguati portavoce, una verità scientifica condivisa – certo non dal cento per cento, come accade sempre per la scienza, ma dalla stragrande maggioranza degli esperti – si è manifestata. Questo è un lascito fondamentale che non può essere misconosciuto, anche perché, allo stesso modo, per la prima volta nella nostra storia abbiamo avuto dei governi che, spesso malamente, spesso sbagliando, tuttavia hanno utilizzato la scienza come faro delle loro azioni. Di nuovo, un passaggio epocale.

Certo, assistiamo comunque a un paradosso: la scienza resta solo la virologia e l’immunologia. In altre parole, oggi viene dato un credito assoluto a chi si occupa di virus, talvolta in modo persino appunto adorante e cieco, ma non a chi, a esempio, da anni sta spiegando cause e conseguenze del cambiamento climatico. Fisici, climatologi, matematici, che continuano a essere inascoltati, come se la scienza non fosse una sola.

Una contraddizione incredibile, di cui quasi nessuno sembra rendersi conto, tanto che i media, appunto, continuano a invitare solo virologi, perché incapaci di fare quel “salto” culturale semplice che dovrebbe portarli ad ascoltare tutti gli scienziati e tutto il mondo della scienza (e nel quale, ma questo è un discorso che ci porterebbe lontano, dovrebbero essere inclusi anche psicologi, filosofi, storici dell’arte e altri quando parlano delle loro materie, perché esiste una scientificità anche della psicologia, della filosofia e dell’arte e del mondo “umanistico” troppo spesso vilipeso come antiscientifico).

Tornando al tema iniziale: questi due anni di pandemia non ci dimostrano che la scienza ha fallito. Tutto al contrario, ci hanno dimostrato che, nonostante tutto, la scienza ci salva la vita e la arricchisce di significato. E che quindi abbiamo bisogno non di meno scienza, ma semmai di ancora più scienza. Un’acquisizione che nessun giustificato dubbio sulla somministrazione dei vaccini e nessuna futura evoluzione pandemica dovrebbero mettere in discussione.