Ambiente

Agenda 2030: a che punto siamo?

Per il secondo anno consecutivo, non si sono registrati miglioramenti nel raggiungimento dei 17 obiettivi. I motivi sono da ricercare nel mancato miglioramento delle condizioni di vita nei Paesi poveri o vulnerabili
Credit: Matheus Viana 
Tempo di lettura 12 min lettura
3 gennaio 2023 Aggiornato alle 12:30

L’Agenda 2030, sottoscritta nel 2015 da 193 Paesi delle Nazioni Unite, viene globalmente descritta come un piano di azione per le persone, il Pianeta e la prosperità. Al suo interno sono elencati 17 obiettivi sostenibili (SDGs) che affrontano le più importanti criticità a livello globale. Tuttavia, considerata l’attuale situazione, dovremmo forse iniziare a concepirla come un vero e proprio salvagente a cui aggrapparci e grazie al quale iniziare a nuotare verso un futuro davvero sostenibile ed equo visto che, dalla nostra volontà di applicarne o meno le linee di indirizzo, dipende la nostra stessa sopravvivenza.

Per il secondo anno consecutivo, infatti, non si sono registrati miglioramenti nel raggiungere gli obiettivi elencati dal documento e, secondo quanto si apprende dal Sustainable Development Report 2022, il punteggio medio dell’Indice SDG risulta addirittura diminuito rispetto 2021. I motivi sono da ricercare nel lento, se non addirittura inesistente, miglioramento delle condizioni di vita nei Paesi poveri o vulnerabili. A questo si aggiungono una serie di crisi interconnesse e sovrapposte in materia di salute globale - a partire dalla pandemia da Covid19 - ambiente e pace.

Gli sforzi richiesti per affrontare la povertà e la fame (SDG1) hanno subito una vera e propria battuta d’arresto a causa dell’esplosione di diversi conflitti armati, in particolare dell’invasione russa dell’Ucraina. Più di 4 anni di miglioramento effettivo sono stati cancellati in un soffio dalla pandemia portando il numero di persone che vivono sotto la soglia di povertà da 581 milioni a 657-676 milioni nel 2022.

Inoltre, il numero di lavoratori che, nonostante abbia un impiego, vive in condizioni di povertà è salito per la prima volta in due anni facendo rientrare in questo gruppo ben 8 milioni di persone. Interessante notare, poi, come proprio la natura fortemente interconnessa delle crisi e delle mancate soluzioni abbia comportato, durante la pandemia, un aumento anche nei casi di morte dovuti a eventi estremi, conseguenza diretta dei cambiamenti climatici di origine antropica. A farne le spese, ancora una volta, soprattutto le fasce più vulnerabili della popolazione.

In materia di alimentazione, il conflitto in Ucraina sta facendo salire alle stelle i prezzi del cibo e delle materie prime contribuendo a creare la più grande crisi di rifugiati dell’epoca moderna e ostacolando il raggiungimento dell’obiettivo legato alla riduzione delle ineguaglianze (SDG10) che, per la prima volta dopo anni di tendenza in negativo, ha registrato un aumento delle ineguaglianze anche all’interno del proprio paese d’origine.

Nonostante il secondo obiettivo dell’Agenda 2030 (SDG2) richieda alla comunità internazionale di sconfiggere la fame nei prossimi 7 anni, una persona su dieci, oggi, soffre la fame e una persona su tre non ha accesso regolare a fonti adeguate di alimentazione. La maggior parte delle persone colpite, in particolare donne e bambini, vive nei Paesi in via di sviluppo, dove la malnutrizione provoca quasi la metà delle morti al di sotto dei cinque anni, oltre a ritardi nella crescita che riguardano, attualmente, ben 142 milioni di bambini. Persino in Italia, dove saremmo predisposti a pensare che i problemi legati alla povertà siano marginali, sono circa 5,6 milioni - di cui 1,4 minori - gli individui che si trovano in condizione di povertà assoluta, con effetti anche sulla loro sicurezza alimentare. Cifre che suggeriscono la necessità urgente di promuovere un nuovo modello di produzione, condivisione e consumo del cibo a partire dal settore agricolo e della pesca che, se diversamente gestiti, potrebbero offrire cibo nutriente e generare redditi adeguati a tutto il Pianeta.

I progressi in materia di salute (SDG3) e istruzione (SDG4), così come gli sforzi per migliorare la fornitura di servizi di base e colmare il gap di genere (SDG5), sono stati influenzati negativamente dalla pandemia da Covid-19 e dall’incapacità globale di affrontare adeguatamente la crisi ecologica. La pandemia, infatti, ha portato con sé un corollario di effetti collaterali che vanno ben al di là delle morti dirette, a partire dall’aumento dei casi di depressione e ansia, alla mancata gestione delle prestazioni che hanno causato peggioramenti o ritardi nella scoperta di molte patologie. Altre malattie infettive come la malaria, l’Hiv e la tubercolosi sono state messe in secondo piano, nonostante siano ancora diffuse soprattutto nelle popolazioni più vulnerabili. La chiusura delle scuole e l’obbligo di frequenza da remoto, seppur considerate importanti per contenere la diffusione del Coronavirus, hanno inoltre messo a rischio la salute e la sicurezza dei bambini, con un aumento della violenza domestica e del lavoro minorile, ma hanno anche avuto un impatto sostanziale sul loro apprendimento. Circa 24 milioni di studenti potrebbero non tornare mai più a scuola e, nei Paesi a basso e medio reddito, la percentuale di bambini che vivono in condizioni di povertà educativa - già superiore al 50% prima della pandemia - potrebbe raggiungere il 70%, soprattutto a causa della lunga chiusura delle scuole e della relativa inefficacia dell’apprendimento a distanza. Una situazione che si intreccia a quella dipinta dall’analisi effettuata dalle Nazioni Unite sul raggiungimento degli obiettivi di crescita economica e lavoro dignitoso (SDG8), dalla quale emerge che ben 1 bambino su 10, a livello globale, è impiegato nel lavoro minorile per un totale di 160 milioni di individui.

In un’epoca in cui, anche le nazioni più apparentemente “progressiste” hanno compiuto enormi passi indietro in tema di parità di genere - si pensi, a esempio, alle limitazioni sull’aborto negli Stati Uniti così come alle violenze in Iran - gli obiettivi collegati al raggiungimento della parità di genere sono lontani dal poter essere raggiunti entro il 2030.

In tutto il mondo, la violenza contro le donne rimane elevata e le sue conseguenze sono esacerbate dalle molteplici crisi sanitarie, climatiche e umanitarie globali. La stessa rappresentanza in posizioni apicali, sia nelle aziende che nei palazzi di governo, rimane ben al di sotto di quanto sperato: nel mondo le donne rappresentano il 39% della forza lavoro, ma detengono solo il 27% delle posizioni manageriali. In Italia, nonostante il sensibile miglioramento registrato, persistono notevoli disparità soprattutto in termini di salario visto che, nonostante si laureino prima e con voti più alti, le donne guadagnano in media il 20% in meno rispetto agli uomini.

L’aumento delle ondate di calore, della siccità e di incendi e inondazioni sta già colpendo miliardi di persone in tutto il mondo e sta causando danni potenzialmente irreversibili agli ecosistemi terrestri. Come ci è stato detto e ribadito dagli organismi più autorevoli a livello mondiale - come l’Organismo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc) o quello sulla Biodiversità e i Servizi Ecosistemici (Ipbes) - la natura è al collasso e per evitare gli impatti peggiori, le emissioni di gas serra dovrebbero raggiungere il picco prima del 2025 oltre a dover lavorare congiuntamente per diminuire l’impatto sugli ecosistemi a livello globale. Invece, le emissioni di CO2 sono aumentate del 6% nel 2021 e dell’1% nel 2022 raggiungendo la cifra record di 36.6 miliardi di tonnellate; un miliardo di specie animali e vegetali sono a rischio di estinzione e interi ecosistemi stanno scomparendo principalmente a causa della frammentazione degli habitat (deforestazione e urbanizzazione tra i principali driver registrati), sovrasfruttamento, diffusione di specie aliene invasive, cambiamenti climatici e inquinamento.

In particolare, l’85% delle aree umide - la cui importanza è sottolineata nell’obiettivo di gestione sostenibile dell’acqua (SDG6) - è scomparso negli ultimi 300 anni. Ma come si collega la sopravvivenza di questi ecosistemi con la qualità delle acque? Le zone umide possono migliorare la qualità delle risorse idriche rimuovendo gli inquinanti dalle acque superficiali grazie a tre processi di rimozione: la cattura dei sedimenti, la rimozione dei nutrienti e la disintossicazione chimica. Una caratteristica fondamentale se consideriamo che per centrare i target dell’SDG6 sarà necessario quadruplicare gli attuali sforzi entro il 2030. Se non ci riusciremo, entro lo stesso anno ben 1.6 miliardi di persone continuerà a non avere accesso all’acqua potabile, 2.8 miliardi di persone non beneficeranno dell’acqua a uso sanitario, e 1.9 miliardi di persone non potranno compiere un’azione tanto banale quanto necessaria: lavarsi le mani con l’acqua pulita.

Tutto questo influisce sugli obiettivi che richiedono alla comunità internazionale di contrastare con tutti i mezzi possibili i cambiamenti climatici (SDG13), di utilizzare in modo sostenibile le risorse marine (SDG14) e di combattere contro la perdita di biodiversità (SDG15). Proprio quest’ultima è trasversale a ben 14 dei 17 obiettivi e la sua mancata tutela ne mette a rischio l’intero spettro. Nella regione dell’Unece (United Nations Economic Commission for Europe), che comprende 56 Paesi europei, Nord America e Asia centrale, solo 26 dei target inclusi nei 17 obiettivi, pari quindi al 25% del totale misurabile, saranno raggiunti entro il 2030, come sarebbe richiesto dall’Agenda.

Per altri 64 è richiesta una chiara accelerazione mentre per altri 15 la tendenza attuale deve essere totalmente invertita. In particolare, se osserviamo l’andamento dei 3 obiettivi collegati direttamente alla biodiversità, vediamo che solo 3 target, tutti appartenenti all’obiettivo 14, sono sulla strada giusta per essere raggiunti. Tuttavia, proprio l’oceano continua a essere violentato dall’inquinamento e, nel 2021, ben 17 milioni di tonnellate di plastica sono state riversate in mare e è previsto che tale quantità possa triplicare entro il 2040.

Per cinque è invece necessaria un’inversione totale di tendenza, dato che sono caratterizzati da una situazione di stasi o di peggioramento rispetto a quanto richiesto. Tra questi, anche il 15.5, relativo proprio alla perdita di biodiversità.

Per sette target è invece richiesta un’accelerazione. Per tutti gli altri non sono oggi disponibili dati sufficienti per valutarli correttamente.

In materia di energia (SDG7), lo scenario globale per i prossimi anni continua a non essere chiaro. Se, da una parte, il consumo di energie rinnovabili, che contribuisce notevolmente al raggiungimento dei target in materia ambientale, è quadruplicato tra il 2010 e il 2019, i flussi finanziari internazionali diretti ai paesi in via di sviluppo sono diminuiti per il secondo anno consecutivo. La crisi ucraina, inoltre, ha fatto letteralmente schizzare i prezzi di petrolio e del gas e questo, secondo un’analisi proposta da Nature, potrebbe portare a scelte più sostenibili da parte dei consumatori ma più inquinanti da parte delle industrie e dei governi che, nel medio termine, sarebbero portati a investire maggiormente in infrastrutture per l’estrazione di gas e petrolio.

Secondo l’International Energy Agency (Iea), tuttavia, gli investimenti in energie pulite dovrebbero aumentare di più di 2 trilioni di dollari entro il 2030.

In Italia, e in Europa, complice l’approvazione del Green Deal e del pacchetto Fit for 55, gli obiettivi di efficienza energetica al 2030 sono passati dal 9% al 13% mentre, per le rinnovabili la richiesta è di arrivare al 45% del fabbisogno energetico complessivo europeo.

Dopo aver registrato un calo dell’1,3% nel 2020, nel 2021 la produzione manifatturiera globale ha superato i livelli pre-pandemici registrando un aumento del 7,2%. Tuttavia, la ripresa rimane frammentata e diseguale con i paesi industrializzati che hanno beneficiato di massicci sostegni economici da parte dei Governi e quelli non industrializzati rallentati da politiche economiche stagnanti e più rigide. Modelli di produzione e consumo insostenibili - la cui trasformazione è al centro dell’SDG12 - sono, inoltre, tra i fattori che più impattano negativamente sulla perdita di biodiversità, ma anche sull’eliminazione della fame visto che ben il 13.3% del cibo viene perso alla base della catena di produzione (tra la raccolta e la distribuzione) mentre un 17% viene sprecato dai consumatori stessi. Questi dati fanno capire l’importanza di lavorare sull’intera catena di produzione ma anche sui comportamenti individuali attraverso attività di informazione ed educazione a livello planetario.

Per raggiungere l’SDG9, la parola chiave, nei prossimi anni, dovrà dunque essere innovazione, come dimostrato dal fatto che le industrie che hanno investito in tecnologia e nei pilastri dell’economia circolare sono risultate più resilienti agli impatti della crisi globale e, oltre a beneficiare della transizione ecologica, la supportano attivamente in quella che può essere letta come una vera e propria situazione win-win.

Collaborazione, condivisione e azione congiunta a livello globale sono i prerequisiti per il raggiungimento degli SDG16 e SDG17 - relativi rispettivamente alla creazione di una società equa e sostenibile, e alla costruzione di una partnership globale - e rappresentano una vera e propria sfida senza eguali nella storia dell’umanità. Mai, infatti, fino a ora, le nazioni e i popoli del Pianeta sono riusciti a lavorare insieme e nel lungo termine al di là di ogni interesse e diversità sociale, culturale e religiosa. Questo ci fa comprendere quanto l’Agenda 2030 sia ambiziosa, lungimirante ma anche necessaria per garantire uno sviluppo equo, giusto e sostenibile.

L’anno 2022 rappresenta un momento chiave per valutare le priorità e lo stato di avanzamento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Nel farlo, è fondamentale la collaborazione di tutti gli stakeholder, governi compresi, affinché sia garantita non solo la trasparenza dei dati disponibili ma anche la messa in atto di azioni concrete e urgenti. In questo, gli ultimi due obiettivi sono da considerarsi forse i pilastri dell’intera agenda.

Un documento che appare come una maglia intrecciata in cui ogni filo della matassa deve essere teso e saldato nel modo giusto onde evitare che si sfaldi. In altre parole, se da quanto emerso fino a ora appare chiaro che siamo ben lontani dal raggiungere gli obiettivi enunciati, è anche vero che il successo di uno può avere un impatto positivo enorme su tutti gli altri.

A soli 7 anni dalla deadline fissata dalle Nazioni Unite, e a un passo dalla chiusura definitiva di quella finestra che può determinare la vittoria o la perdita dell’umanità contro la guerra che ha dichiarato a sé stessa, è il momento di lavorare insieme e dimostrare che, almeno una volta nella storia dell’uomo sulla Terra, la collaborazione è più forte di ogni interesse economico e politico.

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