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Afrofobia: cresce in Italia, ma cos’è?

Ad esserne “affetti” sono i bianchi, ma a farne le spese sono le persone africane o afrodiscendenti, che dicono «chiamatela col suo vero nome: razzismo»
Credit: Uncovered Lens
Tempo di lettura 6 min lettura
30 novembre 2022 Aggiornato alle 20:00

La “paura del diverso” è dura a morire e resiste il timore di avere a che fare con una persona diversa da noi, per genere, abilità, caratteristiche personali e cultura. Questa è la situazione che vivono molti ragazzi nel nostro Paese, i cui tratti somatici li identificano sempre come “stranieri”.

Gli episodi violenza nei confronti di molte persone discriminate per razza, sesso e cultura sono purtroppo ancora una realtà. Una delle manifestazioni più frequenti è la afrofobia, che è stato recentemente oggetto di un dossier curato dai ricercatori dell’Osservatorio di Pavia e a cui è stata dedicata una due giorni a Milano, dal 28 al 30 novembre, per far emergere il ruolo dei giovani e delle donne nel contrasto a questo fenomeno e nella costruzione di una società più inclusiva e antirazzista. Ma cos’è l’afrofobia e come si può contrastare?

Afrofobia: cos’è

L’afrofobia, l’afroscetticismo o il sentimento anti-africano è il “pregiudizio, ostilità, discriminazione o razzismo percepito o reale nei confronti delle persone e delle culture dell’Africa e della diaspora africana”. Questo tipo di pregiudizio ha una lunga storia ed è presente in tutto il mondo anche nei Paesi che hanno un’altissima percentuale di persone provenienti dai territori africani. Negli Stati Uniti, si è manifestato sotto forma di leggi, alloggi, scuole e strutture pubbliche segregate e in Sud Africa sotto forma del sistema dell’apartheid.

Negli ultimi anni, però, abbiamo purtroppo assistito a un aumento dell’incitamento all’odio e della violenza afrofobici anche in Europa. I fattori potrebbero essere da ricercare nella crescita della diaspora africana in queste regioni, l’aumento dei rifugiati e dei migranti dall’Africa.

L’afrofobia colpisce le varie tradizioni e popoli dell’Africa, indipendentemente dall’origine razziale ed è distinta dal fenomeno storico della negrofobia, che si basa specificamente sul disprezzo per i popoli negri. Nell’ottobre 2017, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha discusso del fenomeno in una riunione ad alto livello sulla lotta all’afrofobia, al fine di adottare una risoluzione per affrontare la questione.

Il termine “afrofobia” è stato erroneamente anche usato per indicare il razzismo contro le persone dalla pelle più scura provenienti da qualsiasi luogo, senza riferirsi per forza all’Africa.

L’afrofobia, o sentimento anti-africano, si traduce anche nella lotta sociale su chi ha il diritto di essere curato dallo Stato e dalla società e una lotta per l’equilibrio collettivo dei diritti e l’allocazione delle risorse economiche da parte dello stato moderno.

Esistono poi due forme di afroscetticismo. L’hard afroscetticismo è un’opposizione di principio all’integrazione africana condiviso da gruppi che pensano che i loro paesi non dovrebbero farne parte o le cui politiche verso l’integrazione equivalgono a opporsi all’intero progetto di integrazione africana. L’afroscetticismo morbido non ha un’obiezione di principio all’integrazione africana, ma ha preoccupazioni su una o più aree politiche, che portano all’espressione di un’opposizione qualificata e giustificata all’integrazione, o c’è la sensazione che i diritti e gli interessi nazionali siano attualmente a rischio in contrasto con la traiettoria dell’integrazione.

Afrofobia, la ricerca italiana

La cronaca ci dice che anche in Italia sono sempre più diffusi linguaggi e atteggiamenti discriminatori su questo tema. In molti “temono” le persone africane, cedono a pregiudizi e faticano ad accettare la loro cultura. Le persone di origine africana e afrodiscendenti presenti nel nostro territorio hanno imparato per forza di cose a valutare lo sguardo di chi li osserva, giudicato spesso insistente, giudicante e diffidente.

Proprio lo sguardo è il primo veicolo di discriminazione e oggetto de Lo sguardo tagliente. Conoscenza, consapevolezza e percezione dell’afrofobia e del razzismo sistemico nei settori della sanità, istruzione e comunicazione, il dossier curato dai ricercatori dell’Osservatorio di Pavia che si inserisce nell’ambito del progetto Champs (Champions of human rights and community model countering afro-phobia and stereotypes), sostenuto dall’Unione europea.

La prima indagine in Italia dedicata alla percezione dell’afrofobia è stata condotta attraverso 6 distinti focus group formati da 60 persone tra soggetti bianchi, africani e afrodiscendenti appartenenti ai settori della sanità, dell’istruzione e della comunicazione ha messo in luce come le persone nere siano più inclini a percepire il razzismo come sistemico rispetto a una dimensione individuale. “Accettare che il razzismo è un sistema di potere, significa riconoscere innanzitutto che esso esiste non come fantasia nella mente deviata del razzista, ma come elemento che struttura la nostra società” – si legge nella ricerca. Il razzismo quindi si configura come una norma silenziosa e naturalizzata all’interno delle relazioni sociali.

Per l’80% degli intervistati il termine afrofobia è fuorviante e limitante. Dal punto di vista terminologico il termine più adoperato da africani e afrodiscendenti per riferirsi all’afrofobia è razzismo, termine che ricorre con una frequenza doppia rispetto ai focus con i bianchi che preferiscono usare termini più soft come stereotipo, pregiudizio, diffidenza. Considerando invece il colore della pelle, i bianchi hanno nominato 88 volte in meno dei neri come colore, pelle, bianco e nero.

Gli antidoti possibili contro l’afrofobia

Secondo l’Osservetorio sarebbe utile “proporre percorsi di formazione interculturale e sul razzismo all’interno dei diversi settori lavorativi”. Oltre a questo, a poter produrre un cambiamento reale sono anche la una formazione all’intercultura e all’antirazzismo di docenti, educatori e allievi delle scuole di vario grado; in ambito medico, uno dei più colpiti dal fenomeno dell’afrofobia, i corsi per i professionisti della sanità e la riscoperta di un legame più “umano” con il paziente; una formazione ad hoc riservata a giornalisti e professionisti della comunicazione, per un utilizzo corretto del linguaggio, specie in tema di migrazione, nonché l’applicazione delle norme indicate dalla Carta di Roma e la valorizzazione di professionisti africani e afrodiscendenti nel settore della comunicazione.

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