Diritti

Farideh Moradkhani: «Iran, regime assassino»

Continua il dissenso contro il regime di Teheran. Centinaia gli attivisti e attiviste messi a tacere. Questa volta è toccato alla giovane attivista per i diritti umani e nipote dell’Ayatollah, che è stata arrestata
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28 novembre 2022 Aggiornato alle 18:00

Un altro arresto in Iran. Un’altra donna messa a tacere da un regime sanguinario che di diritti, specie quelli delle donne, non vuole sentirne parlare.

Farideh Moradkhani è soltanto l’ennesimo nome di una lista lunga, troppo lunga, di donne (soprattutto) e uomini ridotti al silenzio per aver alzato la voce contro il governo iraniano, governo che non si fa scrupoli pur di non perdere il potere.

Prima del suo arresto, l’attivista Farideh Moradkhani, nipote dell’Ayatollah Ali Khamenei, aveva lanciato un disperato appello insieme al fratello: tagliate i rapporti con questo regime. «Gente libera, state con noi e dite ai vostri governi di smetterla di sostenere questo regime omicida e che uccide i bambini», ha detto.

E ha continuato: «In questo momento critico della storia, tutta l’umanità sta osservando che il popolo iraniano, a mani vuote, con coraggio esemplare sta combattendo le forze del male. In questo momento, il popolo iraniano sta portando da solo il peso di questa responsabilità pagando con la propria vita».

È dunque in corso in Iran una rivolta senza precedenti, che ha preso piede in oltre 150 città, coinvolgendo 31 province, 140 università e portando all’arresto di più di 14.000 persone, bambini compresi. E molti di loro, secondo Volker Turk, capo dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, sarebbero a rischio pena di morte.

Le manifestazioni hanno preso il via dopo la morte di Mahsa Amini, 22enne curda arrestata e uccisa perché indossava il velo in maniera non corretta. E l’onda d’insurrezione non ha travolto soltanto l’Iran, ma ha infiammato anche l’Europa.

Cittadine e cittadini comuni, personaggi dello spettacolo e dello sport: in Iran si sono stretti tutti insieme intorno alla causa. Parinaz Hajilou, atleta della squadra femminile iraniana di ping pong, ha annunciato sui social il suo abbandono: «Le medaglie non rendono più felice il mio popolo». Le sorelle Sara e Pari Baharvandi, della squadra femminile iraniana di snooker – una specialità del biliardo – hanno annunciato il loro ritiro a sostegno della libertà.

Senza dimenticare i calciatori della nazionale iraniana che, nella partita disputata contro l’Inghilterra ai mondiali in Qatar, si sono rifiutati di cantare l’inno nazionale: un silenzio che ha fatto rumore, un rumore che potrebbe costare caro agli atleti.

E soltanto pochi giorni fa, l’Ayatollah Khamenei ha elogiato la violenza con cui le forze paramilitari Basij del Paese hanno represso le proteste dei manifestanti, definiti “rivoltosi” e “teppisti”: la risposta del regime è stata dunque forte, violenta, e ha scosso i rapporti diplomatici tra Teheran e i leader occidentali, leader invitati ora a non rimanere in silenzio, a non restare, come al solito, indifferenti.

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