Ambiente

Ischia: cronaca di un territorio fragile mai davvero protetto

Rischio idrogeologico, sismico e vulcanico: nell’isola degli abusi edilizi i ripetuti allarmi non sono serviti a nulla. E ora con la crisi climatica sarà sempre peggio
Credit: ANSA/Ciro Fusco
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28 novembre 2022 Aggiornato alle 17:00

A ogni tragedia la stessa risposta: il drammatico conto delle vittime, il “si doveva fare ma non si è fatto”, le ricostruzioni sullo stato di territori da sempre pericolosi ma mai davvero protetti.

Vale per le vittime delle recenti alluvioni (vedi Marche), vale per un’isola - quella di Ischia - che in una Italia dove il 94% dei Comuni è a rischio frane, alluvioni o erosione costiera, è da sempre terra di fragilità mai curate.

L’isola campana le ha tutte: è a rischio vulcanico, sismico, idrogeologico. Tra colate di cemento e abusivismo edilizio (cosa che vale per quasi una famiglia su due dei 60.000 residenti), Casamicciola e le varie frazioni hanno sperimentato secoli di tragedie.

Dal terremoto con oltre 2.000 vittime nel 1883 ai morti per frane nel 2006, 2009, e ancora del 2015 e dopo il sisma del 2017.

Disastri su disastri in cui la natura fa la natura e l’uomo, che imparando a conoscerla dovrebbe tutelarsi se decide di vivere in un territorio così esposto, fa l’uomo: va sempre avanti, nonostante gli avvertimenti.

Con la crisi climatica che corre velocissima e i fenomeni meteo (come i quantitativi ingenti di pioggia caduti) destinati a diventare sempre più intensi, è ormai imprescindibile non solo un piano nazionale di adattamento all’emergenza climatica - che ancora non c’è e ora all’improvviso viene impugnato come futura ancora di salvezza -, ma anche dei piani locali, specifici, dove solo sindaci e curatori dei territori con conoscenza e investimenti necessari possono agire.

I rischi del dissesto idrogeologico a Ischia sono noti da tempo: le cartografie dei Piani di Assetto Idrogeologico da anni riportano valori di pericolosità da frana molto elevati per queste aree dell’isola.

I dati del catalogo Cnr Irpi dicono chiaramente come “nella zona di Casamicciola Terme si siano già verificate frane che hanno causato perdita di vite umane, tra cui nel 1910, durante un evento molto intenso, alluvioni con elevato trasposto solido, crolli e numerosi dissesti diffusi causarono 11 morti. In anni più recenti una vittima si è registrata nel 1987, quando un crollo di roccia distrusse un ristorante, e infine nel 2009, sempre nel mese di novembre, una colata di fango e detriti ha travolto e ucciso una ragazza quattordicenne”.

Il rapporto Ispra sul dissesto ci ricorda come la Campania (insieme a Emilia-Romagna, Toscana, Veneto, Lombardia e Liguria) sia fra le regioni con i valori più elevati di popolazione a rischio frane e alluvioni. E poi basta dare un’occhiata ai colori rosso e giallo delle cartografie (alcuni risalenti a vent’anni fa…) presenti sul sito di difesa del suolo della regione Campania per avere anche solo una prima impressione, al semplice sguardo, di quante zone costiere e collinari dell’isola siano soggette al costante rischio frane.

Aree su cui si è abbattuta secondo i geologi una quantità d’acqua gigantesca se comparata con quella caduta negli ultimi vent’anni: mai finora si erano toccati a esempio 50 millimetri in un’ora, come avvenuto all’alba della tragedia. Millimetri diventati 120 in sei ore. Acqua che si è trasformata nel versante nord del Monte Epomeo in fiumi di detriti che hanno trascinato a valle ogni cosa, arrivando sino al mare. Fiumi di fango e morte che hanno portato ad almeno 8 vittime e milioni di euro di danni.

Di questa fragilità, di un’isola che non sa curarsi e prendere le misure, si parla da anni, ma gli appelli restano sempre vuoti.

Anche poche settimane fa, Peppino Conte, ex sindaco dell’isola, aveva chiesto a commissario prefettizio e Regione uno “stato di crisi per calamità imminente”. Quasi ogni appello però finora è rimasto inascoltato: ora c’è solo un silenzio di dolore.

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