Futuro

Vita su Marte? Non siamo ancora pronti

Mentre si presentano i primi progetti urbanistici sul Pianeta rosso, dovremmo chiederci che tipo di società vorremmo essere e con quali premesse pianifichiamo di allontanarci dalla Terra
Credit: Nicolas Lobos/ Unsplash  
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27 novembre 2022 Aggiornato alle 06:30

Partecipare agli eventi, imbucarsi ai pranzi e conversare con gli ospiti non è esattamente uno dei miei talenti. Eppure, grazie a una buona combinazione di amici e interesse, eccomi qui seduta a un bistrò con persone che, nell’arco di un paio di ore, si metteranno in attesa per salire sul palco del loro TEDx.

Al tavolo, quattro vegani. La cucina impazza, sbuffa e cerca di arginare il problema. Ci consegnano un piattino di hummus con pomodori confit, incorniciato da ciuffetti di pesto. «Tutto vegano», ci assicurano. Nel pesto, il sapore del pecorino dice altro e io mi appresto a sedare l’incazzatura e ad attendere con pazienza che al rigurgito etico si mescoli quello del corpo intollerante al lattosio.

Nel mentre si parla di veganismo e si sbircia. Osservo Barbara Imhof che si occupa di progettazione di moduli spaziali, attendere la sua poke al salmone e spazzolare con gusto la tigella con la porchetta. Più tardi, nel teatro, salirà sul palco e mostrerà i materiali con cui sono pensati i moduli abitativi per la colonizzazione di Marte e della Luna: regolite compressa (il procedimento è ovviamente molto più complesso di così) e sovrapposizioni che, come lego, permetteranno di creare spazi e ambienti in cui riciclare tutto, persino l’aria.

Vedo quindi che nel futuro abitativo post terreno le comunità nasceranno elitarie - perché solo chi avrà sufficiente preparazione potrà realisticamente vivere nei primi insediamenti - e improntate sul riuso e il riciclo.

In queste case, che all’aspetto sembrano tanti igloo connessi da giunture lisce, non ci sarà spazio per l’accumulo. Ogni elemento è pensato per essere ottimale e ottimizzato, così come ogni forma ha una funzione. Mi immagino questa comunità di ingegneri aerospaziali, biologi, fisici, astronomi, informatici, medici, agronomi e bioingegneri che svolge mansioni precise e routinarie per garantire il funzionamento della stazione. Li vedo controllare i valori, umani tanto quanto quelli dell’atmosfera sintetica, e darsi indicazioni, chiamarsi e, perché no, lamentarsi di quelle spedizioni che dalla Terra arrivano sempre in ritardo.

Penso alla sera, a tavole condivise anche se ognuno avrà a disposizione la privacy di un modulo abitativo privato. L’idea della comunità sarà forte e sentita, soli su un Pianeta o un satellite, saranno una nuova dimensione familiare. Senza fatica l’immagine di una tavola semplice con il cibo necessario disposto perché tutti ne prendano, mi scivola davanti agli occhi. Ed ecco che però un guasto di sistema mi riporta alla mente che ha pensato e reso tutto questo fattibile, la vedo nel suo corpo avvolto in una tunica a foglie fucsia mentre mangia una porchetta.

Le proiezioni si sovrappongono, la mia immaginazione fa casino. C’è la porchetta su Marte? No, non è possibile. Si parlava di serre, serre in cui si riusa tutto, dalla terra ai vegetali in decomposizione. Serre magnifiche dove crescono pomodori, salvia, melanzane, spinaci e broccoli. Serre il cui calore residuo viene redistribuito negli spazi abitati. Ed era apparso sullo schermo un rendering di case a torre con interstizi dedicati alle serre, ambienti in cui l’umanità vivrà, lavorerà , mangerà e si consumerà senza aver, idealmente, bisogno di uscire. La Torre di Bae Myung-hoon che sostituirà la città e renderà l’urbanizzazione un processo verticale presentata nella sua utopica bellezza, ma in cui immagino la stratificazione, la violenza e il classismo descritti dallo scrittore coreano.

Nel rendering, però, c’era il verde, mica la porchetta. Attendo la fine del discorso, ma niente, l’immagine non se ne va perché nessuno ha detto che su Marte si consumeranno solo vegetali. Nessuno ha specificato, precisando e scandendo bene le parole, che non ci saranno moduli per contenere gli animali da allevamento. Non c’era scritto, nemmeno in piccolo, che non verranno importati prodotti derivati dallo sfruttamento e dall’uccisione animale.

Nel disegno di un’umanità senza bandiera, palesemente ricca, ottimizzata al punto da dimenticare i consumi superflui - quasi sognerei di scrivere anticapitalista, ma non ha senso peccare di ingenuità - non c’è la postilla contro lo sfruttamento e le sue esternalità negative. Assorbimento energetico insensato e morte non sono stati cancellati dal nostro futuro. Immaginiamo, per un attimo, che andremo davvero su Marte per restarci. Chi ci abiterà? Chi sarà necessario e funzionale ma anche chi potrà permettersi quel costoso biglietto. Quella fetta di popolazione umana, insomma, la cui vita viene considerata importante.

Ma non solo, come andremo su Marte? Come coloni? Come riflesso di ciò che è stato sulla Terra? Perché in tal caso porteremo con noi tanta bella tecnologia, ma anche un bel bagaglio statico di disuguaglianza. Posto che l’insediamento sia in grado di progredire oltre la stazione scientifica, ci saranno strati e substrati di popolazione, esattamente come adesso.

Su Marte, rebus sic stantibus, ci attende una trasfusione micro di quello che sulla Terra avviene in macro. Anzi, considerando quanto costerà in termini di risorse e denaro la vita di un singolo individuo sul pianeta rosso, saranno davvero in pochi a potervi arrivare e la lotta per il potere sarà dunque l’equivalente marziano di it’s a small world.

In fin dei conti, se mentre si progetta il futuro si fruisce del privilegio di uccidere miliardi di individui come si potrà immaginare un futuro audacemente equo? Risponde a questo un altro speaker, vegetariano, che spinge nel futuro il consumo di insetti.

E dunque, a questo tavolo, dove noi vegani ci ritroviamo con il frutto dell’abuso del capitale riproduttivo delle vacche nel piatto travestito da cortesia e imbellettato con qualche sbuffo, mi preoccupo un po’.

Sarà l’umanità capace di andare su Marte e restarci? Non so dirlo. Temo - ma ripeto che sulle stazioni spaziali e sulle colonie per la critica culturale non c’è spazio vitale - che ci sarà una solida esportazione di crudeltà, una migrazione dello sfruttamento che ruberà persino le velleità minimaliste più audaci.

Siamo quello che mangiamo, si dice, perciò anche il futuro che pensiamo dipende da questo. Vita sulla Luna o su Marte compresa.

N.B. Il lavoro di Barbara Imhof è qualcosa di straordinario, l’articolo non vuole essere un giudizio morale nei suoi confronti, piuttosto verso la nostra società, capace di influenzare negativamente anche le menti più libere nell’immaginare il futuro.

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