Ambiente

L’asse del male 2.0

L’espressione, utilizzata per indicare le tendenze bellicose di Iran, Corea del Nord e Iraq nel 2000, oggi si riferisce a chi sta cerca di ostacolare la transizione verde. In nome dei combustibili fossili
Credit: Danilo Alvesd/ Unsplash  
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25 novembre 2022 Aggiornato alle 06:30

“Asse del male” nacque come espressione nel 2002 per descrivere le tendenze bellicose di Iran, Corea del Nord e Iraq all’inizio del 21° secolo. Fu coniata dallo scrittore di discorsi presidenziali statunitensi David Frum per essere utilizzata dal presidente degli Stati Uniti George W. Bush nello State of the Union, il discorso alla nazione in quell’infausto anno in cui si preparava l’invasione dell’Iraq con la scusa delle armi di distruzione di massa.

Un’espressione per caratterizzare i nemici dell’Occidente, pronti alla distruzione, un pericolo grave e crescente, coordinato, inevitabile.

Sebbene i tre Paesi non fossero così collegati tra di loro, il termine ebbe indubbiamente effetto sulla popolazione, che approvò in larga parte l’intervento nel 2003 in Iraq finalizzato a rimuovere Saddam e mettere le mani sul petrolio iracheno.

Sono passati 20 anni da quel discorso. E un nuovo, inaspettato asse del male si è formato, nato ancora una volta dalla maledizione delle risorse fossili, non solo petrolio ma anche gas naturale, ribattezzato combustibile di transizione. È una forza trasversale, transnazionale e sovranazionale, fatto di società private e governi con forti interessi nel settore fossile, spesso gli stessi governi che usarono l’espressione asse del male per distruggere i nemici sciiti e antiimperialisti. La storia è sempre imprevedibile.

L’asse del male 2.0 ha fatto di nuovo capolino a Cop27, la conferenza Onu sul clima conclusasi lo scorso 20 novembre a Sharm-el-Sheikh, in Egitto, dove sotto pressione di lobbisti e Paesi produttori di idrocarburi l’ambizione di accelerare sulla decarbonizzazione è stata ostacolata dall’Arabia Saudita (e dagli alleati egiziani), dagli Usa (nonostante il presidente democratico abbia vinto le elezioni del 2020 anche grazie alla piattaforma ambientalista), dalla Russia (che da sempre rema contro i negoziati Onu, servissero ancora prove sulla follia di Putin) e altri paesi del Golfo come gli Emirati Arabi Uniti, che per altro ospiteranno la prossima conferenza a dicembre 2023.

Sono innumerevoli le testimonianze di delegati e negoziatori che hanno assistito al lavoro di erosione del negoziato da parte del mondo dell’oil&gas e dei petrostati, che hanno puntato i piedi su ogni decisione coadiuvati dalla Presidenza egiziana di Cop condotta da Sameh Shoukry, ministro degli esteri egiziano e uomo di massima fiducia del Presidente al-Sisi, che ha favorito Arabia Saudita (che ha versato 22 miliardi nelle casse del Cairo nel solo 2021) e Paesi Opec.

«La presidenza egiziana ha prodotto un testo che protegge chiaramente i petrostati e le industrie dei combustibili fossili. Questa tendenza non può continuare negli Emirati Arabi Uniti il prossimo anno», ha spiegato in una nota stampa Laurence Toubiana, architetta dell’Accordo di Parigi e Presidente della European Climate Foundation. E con 636 lobbisti registrati a CopP27 è risultato chiaro che lo sforzo della nuova asse del male è stato senza precedenti, in un Paese dove il boom del gas, estratto nel Mediterraneo da Chevron e Eni sono l’architrave del potere dei nuovi faraoni.

Compagnie oil&gas come la saudita Aramco sono da anni attivissime per annacquare i lavori dei negoziati e i progressi sulla decarbonizzazione. Con milioni di dollari finanziano ricerche faziose sui combustibili fossili e campagne di pubbliche relazioni, come rivela un’inchiesta del New York Times, che mette l’Arabia Saudita al centro dell’asse. “A marzo, in un incontro delle Nazioni Unite legato al report Ipcc, l’Arabia Saudita, insieme alla Russia, ha spinto a cancellare da un documento ufficiale un riferimento al ‘cambiamento climatico indotto dall’uomo’, contestando di fatto il fatto scientificamente accertato che la combustione di combustibili fossili di origine antropica è il motore principale della crisi climatica”, si legge sul Nyt.

Nelle sole università americane l’Arabia Saudita ha versato oltre 2,5 miliardi di dollari e speso centinaia di milioni in associazioni di lobbying in Usa e non solo, magari anche attraverso conferenze super-pagate o incarichi a politici e ex-ambasciatori. I lettori e le lettrici credo ne abbiano contezza.

Anche gli Stati Uniti hanno dimostrato di non essere in grado con la propria potenza diplomatica né di tenere a bada alleati come i Sauditi, né di opporsi alle proprie aziende petrolifere che, al contrario delle major europee, non hanno nessun piano reale di passaggio a lungo termine verso le rinnovabili.

Ora che Biden è azzoppato da un Congresso per metà in mano democratica, al Senato, e per metà dei repubblicani, alla Camera, sarà sempre più difficile allocare risorse economiche tramite Usaid o la finanza climatica per cercare il consenso sulla decarbonizzazione. Senza leva economica non ci sarà leva diplomatica.

Ai negoziati di Cop28 l’imperativo è un obiettivo di picco delle emissioni al 2025-2028, una menzione definitiva di phase-out dei sussidi alle fonti fossili e un piano di graduale riduzione di tutte le fonti fossili, carbone, petrolio e soprattutto gas.

L’asse del male sta lavorando già oggi affinché questo accada? Forse non serve essere così manichei, le parti fanno i propri interessi. Ma è indubbio che oggi serva un contraltare.

Il successo sul Loss & Damage ha mostrato che governi e società civile possono ottenere risultati importanti.

Le coalizioni ambiziose devono rafforzarsi e trovare sponde politiche ed economiche importanti, per fomentare una diplomazia climatica “dell’asse del bene”, forze civiche, politiche del mondo delle imprese intenzionate a una giusta transizione.

L’Europa ha dimostrato la propria leadership e potrebbe mettere da parte gli Usa e cercare un accordo politico con la Cina su questo tempo (Pechino spinge tantissimo sulle rinnovabili ma ancora non vuole rinunciare alle fossili).

Serve infine un ruolo ancora più forte della società civile sul tema. La crisi energetica ha spaventato tutti e si è visto un riflusso importante sul tema delle fossili. Eppure non c’è momento migliore di questa crisi per mostrare che l’asse del male è condannata inevitabilmente alla sconfitta. Come qualsiasi kolossal di Hollywood (o la storia del XX secolo) comanda, i cattivi alla fine perdono sempre.

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