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Finisce l’era Gucci di Alessandro Michele: «La mia moda è per i diritti e la libertà»

Storico direttore creativo della maison fiorentina, non ne ha stravolto solo lo stile. Ha contribuito a lanciare dalle passerelle messaggi sociali e ambientali
Credit: ANSA/ MATTEO BAZZI 
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
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24 novembre 2022 Aggiornato alle 16:00

«Nel nome del padre, del figlio e della famiglia Gucci». Recita così una delle frasi più iconiche e al contempo criticate del film House of Gucci, e anche se l’era delle vicissitudini narrate nella pellicola e quella di Alessandro Michele sono distanti ben più di un decennio, la sensazione è che alla fine le cose che accadono a chi opera sotto il peso di quel nome non siano mai casuali né tanto meno di poco conto.

Alessandro Michele dopo poco più di sette anni dall’investitura ha lasciato la direzione creativa di Gucci. L’ufficialità della notizia è giunta ieri in serata ma i rumors si sono susseguiti per tutta la giornata. «Ci sono momenti in cui le strade si separano in ragione delle differenti prospettive che ciascuno di noi può avere. Oggi per me finisce uno straordinario viaggio», ha dichiarato la ex punta di diamante della maison, facendo sapere che porterà avanti la direzione fino all’annuncio di una nuova organizzazione.

I motivi di questo cambio significativo non sono noti anche se in molti sostengono che il gruppo francese Kering che controlla Gucci da un po’ di tempo lamentasse la flessione negativa delle vendite, dopo decenni di salite vertiginose ottenute tuttavia proprio grazie al lavoro di Michele.

A prescindere dall’epilogo della storia, infatti, il designer sarà sempre ricordato come colui capace di rilanciare un marchio che, per quanto storico, stava rischiando di rimanere impantanato in un’idea di stile in larga parte superata, senza riuscire a intercettare le nuove tendenze e, soprattutto, i cambiamenti che il mondo della moda e la società stavano vivendo.

Alessandro Michele, prossimo al 50esimo compleanno che si celebrerà proprio domani, nel bilancio quasi obbligato del classico giro di boa non potrà quindi non fregiarsi di essere riuscito a togliere un po’ di polvere al nome Gucci e a triplicarne, dal 2015 al 2019, i ricavi e quadruplicarne i profitti.

In azienda dal 2002, dopo essere diventato stretto collaboratore dell’allora direttrice creativa Frida Giannini afferra da lei il testimone nel 2015 e da quel momento stravolge l’estetica del marchio, che torna come ai tempi di Tom Ford, che lo volle personalmente nella squadra, a dettare le regole dello stile fondendo tendenze ed epoche diverse, che nel suo universo hanno trovato compimento, sfiorando spesso il confine con il kitsch senza però mai oltrepassarlo. Rivoluzionaria anche l’intuizione di collaborare con altri brand come Balenciaga e Adidas, seguita poi da molti colleghi.

Ma a rendere Gucci negli ultimi anni un esempio da seguire, non sono stati solo gli abiti quanto piuttosto il suo uscire dalla comfort zone dal mondo dorato della moda per abbracciare istanze sociali e ambientali.

Il tema dell’inclusione è da sempre tra i più cari a Michele, che si è esposto spesso a favore della comunità Lgbtq+. L’ultima volta in occasione della sfilata primavera estate 2023, durante la quale ha portato in passerella capi con la scritta F.U.O.R.I., acronimo di Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano, il movimento nato a Torino nei primi anni Settanta e divenuto noto come la prima grande associazione gay italiana.

Ma quella non è stata l’unica presa di posizione del designer sul tema, manifestata anche tramite i social in occasione del suicidio dell’insegnate transgender Cloe Bianco nel giugno 2022.

Anche la difesa dell’aborto come diritto insindacabile è stato ripreso spesso dalla maison, che a seguito del ribaltamento della sentenza Roe vs Wade avvenuta negli Stati Uniti ha ribadito la vicinanza alle donne che decidono di interrompere una gravidanza. Posizione già espressa in occasione della sfilata Gucci Cruise 2020 ai Musei Capitolini di Roma, dove molti capi poi messi in vendita riportavano lo slogan My body, my choice (“Mio il corpo, mia la scelta”), o la data 22 maggio 1978, data in cui venne approvata la legge 194.

Corpo non più sinonimo di perfezione per Michele ma di espressione di unicità che abbraccia anche quelli per lungo tempo considerati difetti. Va in questa direzione la scelta di avvalersi per la prima volta di una modella con la sindrome di down, Ellie Goldstein, e di Dani Miller, dai denti imperfetti ma scelta comunque per pubblicizzare un rossetto della nuova linea Gucci beauty del 2019.

Non manca la sostenibilità nella visione di moda che l’ex direttore creativo ha portato in Gucci, che dal 2018 non usa più pellicce e dal 2019 ha intrapreso un percorso volto a diventare un marchio carbon neutral.

Si deve alla sua visione anche il lancio della piattaforma Gucci Equilibrium per monitorare i propri progressi sociali e ambientali e il lancio, la scorsa estate, della prima collezione ecologica, Off The Grid, realizzata con materiali organici, riciclati e bio. Tra i testimonial di quell’operazione anche Jane Fonda, da sempre impegnata sul versante green e solo ultimo dei volti noti che hanno deciso di affiancare la propria immagine a Gucci. Come Harry Styles o i Maneskin, testimonial principali del brand, che ne interpretano a pieno il concetto di moda genderless.

Al momento non è ancora noto quale sarà il futuro di Alessandro Michele, ma sicuramente si può dire che per chi dovrà raccoglierne il testimone la sfida sarà tutt’altro che semplice.

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