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Chi era Roberto Maroni?

«Se Bossi è il papà della Lega, io sono la mamma»: volto storico ed ex segretario del Carroccio, è stato 3 volte Ministro e presidente della Regione Lombardia. È morto oggi all’età di 67 anni
Credit: ANSA/ DANIEL DAL ZENNARO
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22 novembre 2022 Aggiornato alle 19:30

Roberto Maroni è morto oggi all’età di 67 anni. Volto storico della Lega, nasce a Varese nel 1955, giovanissimo inizia la sua attività politica nei movimenti di estrema sinistra. Poi nel 1979 arriva l’incontro che gli cambia vita.

Il giovane Maroni conosce Umberto Bossi, di 14 anni più anziano. «Gli dissi “molla i profumi per donne (un riferimento al lavoro di Maroni dell’epoca, ndr) e vieni a lottare con me”», racconterà lo storico leader leghista. Nel corso degli anni ‘80 i due danno vita alla Lega, partito politico che mira a chiedere una maggiore autonomia per le regioni del nord, fino ad arrivare a teorizzare la secessione dallo stato nazionale.

Si tratta di un movimento quasi clandestino, il cui credo viene diffuso tramite slogan sui muri contro il centralismo romano. Bollati inizialmente come pochi e matti, i leghisti salgono alla ribalta nazionale in occasione delle Politiche del 1992. Di fronte agli scandali che travolgono i partiti tradizionali, gli elettori del nord vedono nella Lega l’unica ancora di salvezza. Bossi è il leader indiscusso, ma anche per Maroni è la svolta: viene eletto in parlamento. Nel frattempo sulla scena politica ha fatto irruzione Forza Italia di Silvio Berlusconi. Il fondatore di Mediaset riesce a unire Lega e Alleanza nazionale. L’alleanza vince le Politiche del 1994.

Maroni non solo è rieletto, ma è chiamato a un altro ruolo da record: diventa il primo ministro leghista all’Interno. Una carica storicamente ricoperta dagli esponenti della Democrazia cristiana. La decisione sciocca i nostalgici dei partiti tradizionali e preoccupa anche per le derive autonomiste della Lega. La sua prima foto è un altro segnale di rottura e lo raffigura con i piedi sul tavolo della sua scrivania. L’esperienza di governo dura poco. Ma Maroni riesce comunque a farsi conoscere come il leader dell’ala più moderata e ragionevole del partito, spesso in antitesi con un Bossi imprevedibile e provocatorio.

Le scintille tra i due diventano un fuoco quando il leader leghista decide di rompere con Berlusconi. Maroni non è d’accordo. I due vanno allo scontro al congresso del 1995. «È diventato amico di Silvio e va in giro a raccontare barzellette», lo accusa Bossi mentre lui dal canto suo fa sapere di essere pronto a lasciare la politica se il leader leghista verrà riconfermato alla guida del partito.

Alla fine Bossi verrà confermato e Maroni resterà a fare il numero due, attaccando frontalmente Berlusconi. «È meglio che si occupi solo del Milan» , dice da tifoso milanista.

Sono gli anni dell’isolazionismo leghista. Maroni è in prima linea nella lotta per un’autonomia che sfocia spesso in secessione. Nel 1996 è coinvolto negli scontri con la Digos nella sede milanese di via Bellerio, tanto da restare ferito. La stagione indipendentista termina in occasione delle Politiche del 2001. La Lega torna nel centrodestra che vince trionfalmente le elezioni. Altro giro, nuova poltrona per Maroni che diventa ministro del Lavoro, qui firma la legge 30, che prese il nome di Marco Biagi, il suo consulente assassinato dalle Br nel 2002. Anche lo stesso ministro sarà messo sotto scorta per le minacce subite.

Nel frattempo cambia la montatura dei suoi occhiali che diventa rossonera. L’ennesimo omaggio alla sua passione per il Milan. Una passione uguale solo a quella per la musica. Maroni infatti è anche musicista e suona l’organo Hammond in una band, i Distretto 51, che nel 2005 rilascia anche un suo disco. L’amore per la musica si mischia con la politica quando nel 2006 Maroni dichiara a Vanity Fair di scaricare musica illegalmente perché «gli mp3 legali costano troppo».

Nel 2008, dopo la breve parentesi del Governo Prodi, Berlusconi torna al governo. Anche per Maroni c’è un ritorno: quello al ministero dell’Interno. Qui si distingue per i “pacchetti sicurezza” e l’atteggiamento duro contro l’immigrazione clandestina. Passano 4 anni ed è l’ora di un nuovo scontro con Bossi. Il leader leghista e il suo “cerchio magico” sono nel mirino di diversi scandali giudiziari. Maroni si pone a capo dei rivoltosi. Tra i manifestanti leghisti spuntano i cartelli «Maroni presidente del Consiglio». Bossi ha paura e gli vieta di parlare ai comizi. Poi capisce che è l’ora di passare la mano. D’altronde, dice Maroni: «Se Bossi è il papà della Lega, io sono la mamma».

Sotto il palco il neosegretario scherza con il giovane Matteo Salvini: «Te potresti essere il prossimo». Sembra una battuta, ma passa un anno e diventa realtà. Maroni si lancia nella corsa alle Regionali in Lombardia e diventa il primo presidente leghista a guidare la regione mentre Salvini assume il suo ruolo alla guida del Carroccio. Da allora i due si allontaneranno. Maroni critica infatti la politica salviniana che punta a fare della Lega una forza nazionale, dimenticando le battaglie identitarie leghiste.

Terminato il suo incarico alla guida della Lombardia, Maroni decide di non ricandidarsi defilandosi dall’agone politico. Almeno fino al 2020 quando decide di candidarsi a sindaco di Varese, ma la diagnosi di un tumore al cervello lo costringe a ripensarci. Continua a seguire la politica sul territorio e tiene una rubrica sul Foglio. Nella sua ultima intervista al Corriere dichiara: «Non mi pento di nulla. Sono rimasto un sognatore».

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