Diritti

Allattamento: più sostegno, meno chiacchiere

Pratica non sempre sostenibile, secondo l’Istituto Superiore di Sanità, in Italia l’11,7% dei bambini non è mai stato allattato. E non è un caso
Credit: Ines Ivkovic
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 7 min lettura
23 novembre 2022 Aggiornato alle 11:00

Parlare di allattamento significa entrare in un campo minato. Ne parlano tutti, tranne le madri. Ti dicono cosa, come, quando, perché devi farlo. Non ti dicono che, qualunque sia la tua scelta, ti giudicheranno e ti diranno che sbagli. Non riesci ad allattare? Pessima madre. Allatti troppo poco? Male. Troppo a lungo? Peggio. Ma come non hai latte? Ma sei sicura che non serva un’aggiunta? Ma guarda che ormai è acqua. Ma veramente allatti ancora? Ma come fa male? Ma. Ma. Ma.

In questa grande recita corale, a rimanere indietro sono proprio le esigenze di chi vorrebbe (o forse no, e va benissimo lo stesso) allattare e ha bisogno di supporto, a volte solo di ascolto. Perché se è vero che l’allattamento al seno è la cosa più naturale del mondo, è altrettanto vero che non per tutte è spontaneo, indolore, appagante. Anzi. Le storie di donne che hanno vissuto il momento della poppata con ansia e frustrazione sono molto più numerose di quello che vorremmo pensare, di quelle che siamo disposti a sentire.

Come ricorda Save The Children, che all’argomento ha dedicato un focus nel suo speciale sull’allattamento, “ogni mamma, così come ogni genitore, vive un’esperienza sempre diversa e personale. L’allattamento al seno non è sempre scontato, facile e libero da intoppi”.

Ammettere che l’allattamento può anche non essere un’esperienza magica, però, non mette in dubbio quella che è una verità scientifica: per il neonato, non c’è alimento migliore del latte materno. Allo stesso tempo, non ridimensiona l’importanza di un momento che non è solo nutrizione, ma relazione, rapporto, condivisione, contatto. Significa riconoscere che non siamo tutte uguali e che le sacrosante indicazioni dei principali enti scientifici (Oms sopra tutti) devono necessariamente incontrarsi con quella che è la molto meno universale esperienza umana.

Dopo anni di insistenza e martellamento (anche da parte di medici e operatori sanitari) sulla presunta superiorità del latte artificiale, finalmente sono state stabilite delle linee guida chiare. Ora, l’allattamento materno esclusivo è raccomandato fino ai sei mesi e in affiancamento agli alimenti complementari fino ai due anni (e oltre, se mamma e bambino lo desiderano).

Questo è l’optimum, ma che fare quando la realtà e quello che sarebbe buono e giusto non combaciano?

Secondo l’ultima indagine dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia le donne che allattano a 4-5 mesi sono meno di un quarto (23,4%), con percentuali molto variabili da nord a sud. Nonostante le raccomandazioni, meno di un bambino su 3 assume ancora latte materno intorno ai 12-15 mesi. L’11,7% dei bambini non sono mai stati allattati. Ma è davvero così sorprendente?

Pensiamo al lavoro. È vero che i contratti nazionali prevedono la possibilità di assentarsi con due ore di anticipo per il primo anno di vita del bambino, ma questo come si coniuga con l’invito ad allattare a richiesta, che richiede una presenza molto più costante? E, soprattutto, come tutelare tutte quelle donne che hanno contratti atipici, precarie o a partita Iva?

Si fa presto a dire “tirati il latte”, senza sapere che non per tutte è possibile (né giusto) aggiungere un ulteriore carico fisico, energetico e mentale in un momento di massima vulnerabilità come quello che sono i mesi del post partum e del rientro a lavoro. E il nostro, da questo punto di vista, è un Paese fortunato: guardiamo i civilissimi Stati Uniti, dove non esiste nemmeno il congedo di maternità retribuito.

Ma questa non è che la punta dell’iceberg. Troppo spesso le linee guida, per quanto scientificamente inappellabili, non riescono a tenere conto della realtà che le madri vivono quando, dopo mesi di attesa, si ritrovano unə piccolə tra le braccia e a volte scoprono che quello che era stato raccontato loro come “il meraviglioso viaggio dell’allattamento al seno”, poi così meraviglioso non è.

Per molte donne, questo viaggio si ferma alla prima stazione. O è un viaggio accidentato, fatto di dolore, ingorghi, mastiti, stress. Un viaggio che spesso si fa in compagnia del senso di colpa e di tantissimi altoparlanti che ripetono: se smetti, hai fallito. Se non riesci, è colpa tua.

Quante donne hanno provato l’esperienza di non riuscire ad attaccare il neonato al seno sotto lo sguardo sprezzante del personale ospedaliero che giudica, sentenzia e dispensa certificati di “buona e cattiva madre?”. Quante sono state condannate da un apocalittico “niente, non hai latte?” quando la montata lattea si faceva attendere più del previsto? Quante sono state bollate come “pessime madri” perché, semplicemente, l’allattamento non faceva per loro?

Una realtà che per le donne immigrate diventa ancora più crudele, a causa non solo dell’ulteriore scoglio delle difficoltà linguistiche ma anche degli innegabili pregiudizi che rimangono anche tra chi di mestiere ha scelto di aiutare il prossimo, teoricamente senza fare distinzioni di nazionalità.

Eppure, quello del personale sanitario è un ruolo che potrebbe fare veramente la differenza. Medicə, puericultorə, ostetricə, consulenti di allattamento possono – e devono – essere al fianco delle donne e delle loro scelte, aiutandole ad avviare e mantenere l’allattamento se e quando desiderato (senza nasconderne gli aspetti più spiacevoli) o a trovare la migliore soluzione alternativa se, per qualsiasi motivo, il “viaggio” dovesse interrompersi, o non iniziare mai.

La persona giusta accanto, capace di dare le informazioni più scientificamente accurate e aggiornate – senza dimenticare che prima del latte quello di cui hanno bisogno i neonati è una mamma serena che li ama – può essere il discrimine tra un allattamento di successo e il biberon.

Non è una questione così banale, se pensiamo che la mancata assistenza all’allattamento è considerata una forma di violenza ostetrica. Una forma molto comune, visto che secondo la ricerca Doxa “Le donne e il partoil 27% delle intervistate non ha ricevuto il giusto sostegno e informazioni necessarie al buon avviamento dell’allattamento al seno.

Un esempio? Anche se è comune sentire le donne dire “non ho il latte”, i casi in cui c’è un’effettiva mancanza di latte sono meno del 5%, quelli di condizioni anatomiche rare o di disturbi a carico dell’ipofisi.

In tutte le altre situazioni, nella maggior parte dei casi c’è una neomamma che viene lasciata sola, senza il giusto supporto di professionisti sanitari o dalla famiglia. Ma di questo non si parla mai, si preferisce dire che la colpa è delle donne, che non hanno fatto abbastanza.

Quanto sia potente una rete di sostegno e supporto, anche di persone lontane da noi, lo mostra il caso del reparto di terapia intensiva neonatale (Tin) del Policlinico Gemelli, che ospita i neonati prematuri o con gravi problemi alla nascita, dove ha appena aperto la banca del latte umano donato (Blud), che raccoglie il latte materno donato da alcune mamme per lə figlə di persone che forse non conosceranno mai ma che hanno bisogno di quel nutrimento prezioso.

«Negli ultimi tre anni, da quando cioè è stato utilizzato preferenzialmente latte di banca in caso di mancanza di latte della propria mamma», ha spiegato il professor Giovanni Vento, «la percentuale di mamme che, al momento della dimissione dei loro figli prematuri dal reparto di terapia intensiva neonatale, allattano esclusivamente al seno (“human milk only”) è aumentata dal 3.3% al 22%, che ci colloca al di sopra della media delle Tin registrate sul più grande network neonatale mondiale. La donazione di latte materno umano costituisce non solo una preziosa opportunità per aiutare cuccioli umani più fragili ma rappresenta anche un gesto così generoso da motivare le mamme dei neonati più delicati verso l’allattamento al seno più di mille discorsi».

Leggi anche
Cambiamento climatico
di Valeria Pantani 3 min lettura
Inquinamento
di Caterina Tarquini 3 min lettura