Ambiente

Tutti abbiamo diritto a un clima stabile

“Il tribunale più importante al mondo deve affrontare il problema più grande al mondo”. È il pensiero che anima il progetto degli studenti dell’Università del Vanuatu (Oceania). L’obiettivo: la lotta al climate change
Credit: EPA/ SEDAT SUNA   
Tempo di lettura 4 min lettura
22 novembre 2022 Aggiornato alle 06:30

Nessun Paese su questo pianeta può dirsi al riparo dal cambiamento climatico, ma in certi posti, come nelle Isole del Pacifico, questi effetti sono maggiormente visibili: maree altissime, cicloni catastrofici, aumenti della salinità nelle falde acquifere che hanno reso impossibile la crescita del raccolto, fenomeni di siccità prolungata.

Il superamento della soglia degli 1,5° rispetto al livello medio della temperatura potrebbe causare la scomparsa di intere nazioni che si trovano in questa regione per via dell’innalzamento del livello del mare, lo dice il report dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change).

“Il tribunale più importante al mondo deve affrontare il problema più grande al mondo”. L’idea alla base del progetto avviato tre anni fa da un gruppo di studenti di legge all’Università del Vanuatu - una nazione di 300.000 persone situata a circa 3 ore di volo dall’Australia, che nel 2015, a causa del ciclone Pam, subì danni corrispondenti al 60% del proprio Pil – è cambiare l’approccio alla crisi climatica tramite un parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia, il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite, che pur non essendo vincolante per gli Stati, potrebbe chiarire le responsabilità dei governi in relazione al cambiamento climatico con il suo peso legale e un’autorità morale.

Il direttore della campagna “Pacific Islands Students Fighting Climate Change” è Solomon Yeo, un attivista di 26 anni delle Isole Salomone, che insieme ai suoi 26 colleghi di corso è riuscito a coinvolgere il governo di Vanuatu e un gruppo crescente di Stati in una coalizione – che conta tra le proprie fila anche Australia, Portogallo, Marocco e Germania - che vuole maggiore chiarezza sul come strumenti legali internazionali possano essere applicati per rafforzare le misure contro il riscaldamento globale e salvare gli obiettivi degli Accordi di Parigi.

Lo scorso 27 ottobre questa coalizione ha rilasciato una dichiarazione all’Assemblea Generale in cui, menzionando gli eventi catastrofici che hanno interessato il globo quest’anno, come le alluvioni in Costa Rica e Pakistan e le ondate di calore senza precedenti in Europa, si è ricordata l’urgenza di “prendere misure ambiziose per ridurre le emissioni entro la ristretta finestra di opportunità che rimane per evitare cambiamenti climatici catastrofici” e il ruolo che potrebbe avere un parere consultivo del Tribunale dell’Aja nel chiarire “i diritti e gli obblighi degli Stati in relazione agli effetti negativi del cambiamento climatico sui piccoli Stati insulari in via di sviluppo e altri Stati vulnerabili dal punto di vista climatico, in particolare, facilitando così la cooperazione internazionale in questo settore” e “le implicazioni sui diritti umani delle generazioni presenti e future”.

Al termine della COP 27 d’Egitto è stata approvata l’istituzione del fondo “Loss and Damage”e , per la prima volta, le nazioni del mondo hanno deciso di contribuire a pagare i danni che il cambiamento climatico sta causando ai Paesi emergenti. Tuttavia, il documento non affronta ulteriormente il tema della riduzione delle emissioni e non menziona l’obiettivo di rimanere sotto al tetto di 1,5°, come dichiarato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres: «è chiaro che non sarà sufficiente, ma è un segnale politico indispensabile per ricostruire la fiducia infranta».

Un voto favorevole, come detto da Yeo a Reuters, potrebbe portare l’assemblea a deferire la richiesta alla Corte dell’Aia già a dicembre.

Per affrontare una sfida così complessa serve anche la potenza della Corte di Giustizia Internazionale, che in passato ha supportato la costruzione di processi multilaterali in molti settori come quello del disarmo nucleare e della decolonizzazione.

Collegare il diritto a un clima stabile ai diritti umani, considerata la loro inalienabilità, permetterebbe azioni più rapide e radicali in questa corsa contro il tempo in cui i compromessi fatti secondo il minimo comune denominatore non sono più sufficienti.

Questa iniziativa permette a chiunque di farne parte, e ci ricorda quanto l’attivismo trovi più efficacia con azioni collettive che tracciano una mappa condivisa, che in questo caso vuole portare le ragioni dell’ambiente ad avere una rappresentanza legislativa e istituzionale, e di conseguenza politica.

Leggi anche
Clima
di Giacomo Talignani 5 min lettura