Ambiente

Le radici degli alberi sono sempre meno profonde

La ricerca di Agu - Earth’s Future mostra come nel mondo si stanno perdendo milioni di metri cubi di suolo radicato. E perché rappresenta un problema nella complessa lotta alla crisi climatica
Credit: Martin Brechtl/unsplash
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22 novembre 2022 Aggiornato alle 17:00

Lo sappiamo bene: se abbiamo un alleato nella lotta alla crisi climatica che sta impattando così profondamente sulla salute del nostro Pianeta, questi sono gli alberi. Protettori di biodiversità, fonte di vita, grandi lavoratori nell’assorbire carbonio. Per essere davvero efficaci, la maggior parte delle piante ha bisogno di poter sviluppare in profondità le proprie radici che nel sottosuolo compongono una rete cruciale per lo svolgimento della loro funzione ecologica. Le radici sono come ingegneri che lavorano per quel che accade in superficie: sotto rompono il substrato roccioso, trasportano acqua e sostanze nutritive, stabilizzano il paesaggio e creano connessioni di cui beneficia l’intero ecosistema.

Ma cosa accade se questi “ingegneri” sono impossibilitati a operare? Un bel problema. Una nuova ricerca pubblicata su Agu - Earth’s Future da un team di ricercatori a guida statunitense sostiene che oggi le radici del mondo stanno diventando in media meno profonde. Di conseguenza c’è un suolo meno radicato, fattore che potrebbe portare a un minor accumulo di carbonio, a un ciclo di nutrienti meno efficace e terreni meno fertili.

Di chi è parte della colpa di questo cambiamento? Come quasi sempre la risposta è dell’essere umano. Con le modifiche fatte, per esempio in agricoltura, abbiamo gradualmente cambiato la composizione dei suoli. A oggi la profondità di radicazione, quella al di sopra della quale esiste il 99% della biomassa radicale dell’ecosistema, è infatti in media di circa 8 centimetri più bassa di quanto sarebbe senza l’alterazione umana, affermano gli autori dello studio. Tale perdita equivale a circa 11,6 milioni di metri cubi di suolo radicato. Un volume di perdita che, se ci si basa sugli scenari e i modelli dell’Ipcc (Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici), potrebbe essere di 43,5 milioni entro il 2100, con un abbassamento globale di quasi 30 centimetri.

A essere interessati risulterebbero arbusti del Nord Africa, del Medio Oriente, dell’Asia o dell’Australia. In generale, gli esperti - utilizzando database provenienti da tutto il globo - hanno notato che nei terreni agricoli le radici delle colture filari sono meno profonde di quelle delle erbe autoctone.

«La perdita di volume è particolarmente sorprendente per me - ha spiegato una delle autrici dello studio, Emma Hauser, sottolineando che ciò - rappresenta un sacco di spazio sotterraneo che non esegue più lo stesso tipo di processi di stoccaggio di carbonio e acqua di prima». Questo implica «una miriade di possibili conseguenze» legate a una minore profondità di radicazione globale, tra cui appunto una formazione del suolo più lenta o minore e una minore disponibilità di nutrienti.

Per sapere cosa potrebbe comportare sul lungo periodo, spiegano gli scienziati, saranno però necessari ulteriori studi: quello che appare chiaro è come l’essere umano, con le trasformazioni dettate dalla crescita e il progresso, ha perso in parte le sue radici con l’equilibrio della Terra, mentre la Terra sta rispondendo con radici (degli alberi) meno profonde di prima.

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