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Cosa succede quando doni il tuo corpo alla scienza?

Può essere dissezionato e analizzato per comprendere il funzionamento di alcune malattie. O diventare strumento per la pratica di antropologi forensi e studenti di anatomia
Credit: Camilo jimenez/ Unsplash
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18 novembre 2022 Aggiornato alle 18:00

Donare il corpo alla scienza. No, non è soltanto un modo di dire, ma una realtà sempre più diffusa, soprattutto negli Stati Uniti.

Negli States sono infatti circa 20.000 le persone che, una volta decedute, decidono di non essere né cremate né seppellite. Decidono invece di mettersi a disposizione della scienza e dell’istruzione. E che fine fanno i loro corpi, allora?

Si chiamano body farms, e sono istituti di ricerca e laboratori di anatomia: in America sono diversi, come per esempio quella della Western California University, quella della Tennessee University, a Knoxvill, oppure quella della Maryland University.

Qui, molti dei corpi dei donatori sono destinati agli studenti, che imparano l’anatomia, altri vengono collocati in un’area, chiamata foresta, dedicata all’osteologia forense, dove i cadaveri vengono adagiati a terra e lasciati decomporre naturalmente. Altri ancora vengono dissezionati e utilizzati per comprendere meglio alcune malattie. Pensiamo alla tubercolosi, a esempio, che si manifesta e si diffonde nelle ossa, causando lesioni.

Tutto questo permette insomma alla scienza di comprendere meglio. Una comprensione che, senza questi donatori, sarebbe ancora più complicata. E talvolta, i resti dei donatori diventano ospiti permanenti negli archivi di antropologia delle università.

Perché donare? Per dare forse un senso diverso alla propria vita, o per meglio dire, alla propria morte. Ma non tutti i corpi sono i benvenuti nei programmi di donazione.

Per esempio, la maggior parte dei centri esclude dal programma persone con alcune malattie trasmissibili, come Hiv/Aids o epatite B o C. Ancora, a partire dal 2020, molte strutture hanno iniziato a respingere i donatori positivi al Covid-19 al momento del decesso. Altri ancora preferiscono non accettare donatori di organi o corpi che, in precedenza, sono stati sottoposti ad autopsia.

Ma come funzionano queste body farms? Abby Ohlheiser è stata per la MIT Technology Review in una delle strutture e, insieme ad alcune esperte e alcuni esperti, ha raccontato come si svolge una classica giornata di questo angolo di mondo forense.

Come funzionano le body farms

Partiamo dai donatori, punto di inizio del processo. Alcuni di loro sono a conoscenza della pratica, altri, come Jeff Battersby, si imbattono quasi per caso con le body farms, attraverso internet o attraverso i podcast.

Dunque ci si informa, per capire se ci sono documenti da compilare, innanzitutto. Senza tralasciare le complicate conversazioni con i famigliari, che non sempre accettano di buon grado una scelta simile.

Trovati i donatori, ecco che entrano in campo gli esperti. Come Adam Puche, Rebecca George e Nicholas Passalacqua, antropologi forensi che dedicano ai laboratori e alla ricerca parte della loro vita.

Il loro compito, oltre alla ricerca, è quello di insegnare agli studenti tutto quello che puoi imparare da un corpo. E spesso, un primo passo, è imparare a distinguere un osso umano da uno non umano. Ma è loro compito anche insegnare una delle cose più difficili quanto essenziali del mestiere: stimare il tempo trascorso dal momento del decesso.

Tanto difficile quanto importante, perché talvolta il tempo del decesso è un fattore che gioca un ruolo-chiave nelle indagini delle forze dell’ordine: «Ci sono così tante variabili di cui è davvero difficile tenere conto», afferma Passalacqua. E spiega che, a differenza di come si vede talvolta nei film, nessun antropologo forense potrà mai stabilire un momento esatto; sarà invece possibile definire un arco di tempo variabile.

La regolamentazione dei programmi

Per quanto i programmi con i donatori rappresentino una risorsa preziosissima per il progresso scientifico, la pratica della donazione del corpo è ancora ampiamente messa in discussione. Allo stato attuale, grazie a nuove normative e a una migliore comprensione del consenso, la situazione è migliorata. Ma non è priva di risvolti discutibili.

Per esempio, fino al 2020, il Penn Museum della Pennsylvania University aveva in esposizione teschi appartenuti a persone precedentemente vittima di schiavismo e che dunque non avevano prestato sicuramente il loro consenso a essere esposti.

Ma, come la realtà insegna, il consenso, da solo, non è sufficiente. Sempre in Pennsylvania, nel 2022, un uomo è stato arrestato per un presunto acquisto e vendita di parti del corpo umano attraverso il web. E questi organi rubati si trovavano in un obitorio in attesa di essere cremati dopo essere stati studiati dall’Arkansas University.

Ancora, un’indagine di Reuters, nel corso del 2017 ha investigato su alcune società a scopo di lucro che accettano donazioni e poi rivendono i corpi – parziali o interi – a organizzazioni impegnate nella ricerca e nella formazione. Reuters è stata in grado di acquistare legalmente parti del corpo da una di queste società, e ha così scoperto che, spesso, venivano scelti come “bersagli” persone a basso reddito e spinte a concedersi a questa pratica in nome della scienza, senza sapere che il proprio corpo – o alcune parti di esso – sarebbe stato venduto.

Ad oggi, però, anche se non esiste un unico regolamento federale per la ricerca negli Usa, i programmi sono regolamentati dall’Uniform Anatomical Gift Act, di cui ciascuno Stato è dotato.

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