Ambiente

Emission impossible: rendere l’industria eco-friendly

Secondo il nuovo rapporto di Institute for Agriculture & Trade Policy e Changing Markets Foundation 15 aziende del settore alimentare emettono più metano delle Big Oil
Credit: CHUTTERSNAP/ Unsplash  
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21 novembre 2022 Aggiornato alle 11:00

Le 15 aziende più grandi del pianeta che appartengono al mondo dell’industria di latticini e carne, insieme, inquinano più delle imprese petrolifere come Shell o Exxon Mobile.

È quello che emerge da un rapporto dell’ Institute for Agriculture & Trade Policy e della Changing Markets Foundation in cui si delinea una chiara responsabilità globale del settore alimentare per le emissioni di metano.

Ad essere studiate sono state 5 imprese impegnate nell’allevamento e nella trasformazione della carne e 10 aziende specializzate in latticini e affini. Tra loro grandi nomi, come Danone, Nestlè, Marfrig, Fonterra e Tyson.

Secondo i dati emersi nel rapporto, intitolato ironicamente “Emission Impossible”, le 15 grandi industrie di carne e formaggi inquinano quasi quanto l’intera Unione europea e più di grandi Paesi come la Russia, il Canada e l’Australia: in termini percentuali parliamo di emissioni di CH4 che in totale equivalgono a oltre l’80% dell’intera impronta di metano dell’Ue e all’11,1% delle emissioni prodotte dal bestiame a livello mondiale.

La triste classifica delle maggiori emissioni di metano al mondo vede sul gradino più alto del podio l’azienda di carne brasiliana JBS, con 4,8 milioni di tonnellate di metano all’anno. Secondo gradino per l’azienda Marfrig con 1,9 milioni tonnellate, e terza posizione per la Tyson Food, con 1,6 milioni di tonnellate di CH4 prodotte annualmente.

Per rendere il concetto più concreto: le emissioni di metano di JBS superano le emissioni combinate di metano di tutto il bestiame di Francia, Germania, Canada e Nuova Zelanda messe insieme e sono paragonabili al 55% del metano prodotto da tutto il bestiame degli Stati Uniti.

Ancora non è arrivato forte il segnale dell’estrema gravità della situazione? Se queste 15 società fossero trattate come un Paese, come spiegato dai ricercatori, sarebbero la decima nazione al mondo per emissioni totali di gas serra: 12,8 milioni di tonnellate di metano all’anno, cioè il 3,4% di tutte le emissioni di metano di origine umana sul pianeta, prodotte da sole 15 aziende.

Numeri difficili anche solo da immaginare, che non rendono concretamente l’idea del pericolo che corriamo se non decidiamo di cambiare rotta: il metano ha un impatto devastante sul pianeta, con un potenziale di riscaldamento fino a 82,5 volte più alto rispetto all’anidride carbonica nei primi 20 anni in cui permane nell’atmosfera.

A oggi, le emissioni calcolate per le 15 big del settore caseario e della carne corrisponderebbero a circa 734 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. Un quantitativo di enorme pericolosità che rischia di sfuggirci di mano e di condurci in una strada senza vie d’uscita verso un irreparabile scenario di cambiamento climatico.

Bisognerebbe con urgenza ridurre queste emissioni di CH4 di almeno il 40% per evitare il baratro, secondo il Global Methane Assessment del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente. “I rapidi tagli alle emissioni di questo decennio sono fondamentali per prevenire cambiamenti climatici catastrofici”, ha denunciato l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc).

“Le emissioni di metano delle grandi aziende di carne e latticini rimangono al di sotto del radar per un’azione urgente per il clima - spiegano gli autori del rapporto - Anche se il mondo smettesse immediatamente di usare tutti i combustibili fossili, le attuali emissioni del sistema alimentare globale renderebbero impossibile limitare il riscaldamento a 1,5°C e difficile persino raggiungere l’obiettivo di 2°C”, aggiungono.

Servono azioni immediate per regolamentare anche il settore alimentare per invertire la rotta e quantomeno provare a rispettare gli obiettivi sul clima siglati con l’Accordo di Parigi, ma l’urgenza sembra non essere compresa dai governi e dalle grandi aziende.

Basti pensare che alla COP26 di Glasgow, più di 110 Paesi si sono impegnati nel Global Methane Pledge, con l’obiettivo collettivo di ridurre le emissioni globali di metano del 30% entro il 2030.

Le 15 società analizzate nel rapporto hanno sede in 10 Paesi e tutti loro, a eccezione della Cina, sono firmatari del Pledge.

Nonostante l’impegno preso a Glasgow, però, ben 5 di questi Paesi hanno aumentato le emissioni di metano negli ultimi dieci anni, come riportato dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici: Stati Uniti (oltre il 5%), Brasile (oltre il 6%), Cina (oltre il 17%), Nuova Zelanda (oltre il 3%) e Paesi Bassi (quasi il 2%).

Germania, Danimarca, Svizzera e Francia hanno ottenuto piccole riduzioni di metano, ma il ritmo delle riduzioni non è in linea con il Pledge. L’unico Paese con una diminuzione di oltre il 5% è la Francia, il più grande emettitore di metano dell’Ue.

È il momento che governi e aziende si impegnino per perseguire politiche climatiche e ambientali che permettano di rispettare gli impegni presi con il trattato di Parigi. Il tempo sta scadendo, la crisi è dietro l’angolo e le percentuali di emissioni sono ancora troppo alte. Bisogna intervenire e darci un taglio. Con urgenza.

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