Ambiente

Lula: «Non c’è sicurezza del Pianeta senza una Amazzonia protetta»

Durante il suo - acclamato - intervento a Cop27, il neopresidente brasiliano ha parlato di loss and damage, deforestazione e cooperazione per la salvaguardia del Pianeta
Il presidente del Brasile Lula a Cop27, il 16 novembre 2022
Il presidente del Brasile Lula a Cop27, il 16 novembre 2022 Credit: EPA/KHALED ELFIQI
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17 novembre 2022 Aggiornato alle 12:00

Ci voleva Lula. In una Cop27 fredda, criticata e finora inconcludente, nonostante il caldo egiziano, si attendeva da giorni una scossa in grado di lacerare il torpore di un summit dove né il presidente statunitense Joe Biden né altri capi di Stato dei Paesi più ricchi sono riusciti a lasciare il segno.

Mancano pochi giorni (in teoria venerdì, ma si andrà a oltranza) alla fine del vertice e attualmente le speranze di un accordo forte - per esempio sul “loss and damage”, le perdite e i danni climatici subiti dai Paesi più vulnerabili - appare ancora lontano.

Come una samba dirompente, però, accolto da cori da stadio e avvolto da centinaia di delegati, giornalisti, curiosi e addetti ai lavori, il neo presidente brasiliano è apparso a Cop nel tentativo di portare luce.

A più riprese ha fatto un discorso importante, impattante: ha parlato di ridurre le disuguaglianze tra Stati, della necessità di un nuovo ordine internazionale, di riorganizzare e riequilibrare l’Onu, di tendere la mano ai Paesi più colpiti dalla crisi del clima.

«Siamo tornati - ha detto in nome del Brasile - siamo tornati per contribuire a costruire un ordine mondiale pacifico basato sul dialogo e sul multilateralismo. Il mondo di oggi non è lo stesso del 1945».

Il Brasile post Bolsonaro, spiega, torna a riprendere i legami con il mondo, «a combattere ancora una volta la fame nel mondo», e punta a «cooperare con i Paesi più poveri – Africa in primis – per trasferimenti di tecnologia e per costruire un futuro migliore per i nostri popoli».

Sarebbe anche tempo, aggiunge Lula, che ha parlato sia al padiglione Amazzonia sia in plenaria - sempre all’interno delle strutture di Sharm El-Sheikh che in queste 2 settimane sono suolo gestito dall’Onu - di «riformare le Nazioni Unite», di rivederne gli equilibri.

«Quando ero presidente del Brasile ho detto che le Nazioni Unite dovevano avanzare. Non riesco a immaginare che l’Onu sia diretta dalla stessa razionalità geopolitica della seconda guerra mondiale. Il mondo è cambiato. I continenti vogliono essere rappresentati. Il mondo ha bisogno di una nuova governance globale sulla questione climatica».

Frasi che poi seguono l’annuncio, già anticipato nei giorni scorsi da ex ministri e delegati brasiliani, di candidare il Brasile (in Amazzonia) come Paese ospitante della Cop30 nel 2025, mentre l’anno prima - quando il Brasile presiederà il vertice del G20 nel 2024 - l’agenda sul clima sarà una delle principali priorità. Già in questi giorni farà pressioni sui Paesi ricchi per discutere le loro promesse.

«Vorrei ricordare che i Paesi ricchi hanno dichiarato che avrebbero raccolto 100 miliardi di dollari a Cop15 di Copenaghen per aiutare i Paesi meno sviluppati ad affrontare il cambiamento climatico». Fatto che, si sa, non è accaduto, anche se in questa Cop27 diverse nazioni hanno annunciato - al netto di strumenti come il Global Shield promosso da Germania e G7 - di voler destinare fondi (più milionari che miliardari) agli Stati più vulnerabili.

Poi, a differenze di Biden, del premier tedesco Scholz o dei delegati cinesi, il neo-presidente ha affrontato con chiarezza il tema del “loss and damage”: «Abbiamo bisogno di meccanismi finanziari per rimediare alle perdite e ai danni causati dal cambiamento climatico. Non possiamo rimandare questo dibattito. Dobbiamo affrontare la realtà dei Paesi che devono proteggere l’integrità territoriale delle loro aree minacciati dal clima. È tempo di agire. Non possiamo convivere con questa corsa verso l’abisso», dice Lula.

Tra gli annunci più applauditi - una boccata di ossigeno dopo l’era Bolsonaro, improntata su deforestazione e sostegno a interessi economici privati (vedi miniere) - il presidente brasiliano racconta che tornerà a difendere in ogni modo l’Amazzonia. «Non c’è sicurezza del Pianeta senza una Amazzonia protetta. Faremo tutto il necessario per eliminare la deforestazione e il degrado», spiega ricordando che, nel frattempo, Germania e Norvegia stanno riavviando il fondo Amazon, chiuso sotto il governo Bolsonaro, e annunciando la volontà di un ministero per gli indigeni.

Deforestazione e abusi sono infatti «azioni che colpiscono soprattutto i nativi. Ecco perché creeremo un ministero per loro in modo che possano avere la propria voce». Voce, come quella di tutti i Paesi più poveri che pagano il conto per le emissioni degli altri, e che Lula intende aiutare a far riecheggiare finché non si otterranno impegni concreti, soldi; finanziamenti, non promesse.

«Abbiamo bisogno di più risorse per un problema che è stato creato dai Paesi ricchi ma è sentito in modo sproporzionato dai più vulnerabili», spiega con franchezza prima di usare parole limpide, come quel «non ci arrenderemo» seguito da un lungo applauso.

Ora resta da scoprire se la presenza del presidente brasiliano, venuto a Cop ufficialmente da osservatore - dato che deve ancora insediarsi - avrà davvero un impatto sulle decisioni finali di questa Conferenza scossa, almeno per un giorno, dal suo andamento pericolosamente neutro.

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