Ambiente

Italian Climate Network (Icn): «Per evitare +1,5°C entro il 2100 dobbiamo cooperare»

Intervistato a Sharm-el-Sheikh da La Svolta, Jacopo Bencini - policy advisor dell’organizzazione - ha spiegato perché è importante approfondire i negoziati di Cop27
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16 novembre 2022 Aggiornato alle 20:00

Non tutti conoscono Italian Climate Network (Icn) una delle associazioni più attive ai negoziati del clima. Eppure, con il loro lavoro hanno saputo raccontare in dettaglio lavori negoziali e retroscena, educare studenti e professionisti, formare numerosi esperti ed esperte, tecnici, giornalisti, che hanno creato una narrazione più accurata dei negoziati stessi (troppo spesso lasciata all’improvvisazione).

La Svolta ha incontrato a Sharm-el-Sheikh Jacopo Bencini, policy advisor di Italian Climate Network, insieme al team che per 2 settimane, dall’alba a notte fonda, seguirà i negoziati e i side event a Cop27.

Come nasce Italian Climate Network?

Icn è un’associazione italiana che da 11 anni lavora su 2 filoni: il primo è seguire i negoziati internazionali sul clima - come Cop27 - i negoziati intermedi di preparazione e la Cop sulla biodiversità (altro negoziato Onu, ndr); l’altro filone è quello dell’educazione climatica nelle scuole italiane.

Da anni portiamo volontari e volontarie, ma anche esperti, formatori, scienziati, nelle scuole di tutta Italia. Educhiamo migliaia di giovani ogni anno sui temi del cambiamento climatico e formiamo anche i docenti delle scuole, con il supporto di alcune realtà editoriali italiane importanti, utilizzando corsi online e in presenza che coinvolgono migliaia di docenti.

Quest’anno siamo qua a Cop27 a Sharm-el-Sheikh con la nostra delegazione per analizzare i testi discussi dai negoziatori, tenere traccia degli avanzamenti delle discussioni tra parti, raccontare i side event e i temi più importanti dal negoziato. Dalla finanza climatica, alle iniziative sulle nature-based-solution, dagli avanzamenti del negoziato principale ai side event su diritti umani e clima, raccogliamo tutto nel nostro bollettino che ogni mattina alle 8:00 viene distribuito per email, oltre che su social e media, offrendo commenti approfonditi ai giornali e testate televisive.

Perché è necessario offrire analisi approfondite dei negoziati e degli innumerevoli eventi delle Cop?

Quando Icn è, nata 11 anni fa, non c’era quasi nessuno in Italia che seguiva i negoziati, se non per lavoro ministeriale, ricerca accademica o giornalismo. L’associazione è nata per la passione di alcuni “nerd dei negoziati climatici” che volevano dare maggiore visibilità al negoziato.

La volontà era quella di raccontare cosa succedeva non fuori, la parte di dialogo politico, ma dentro le stanze negoziali, quindi nel processo tecnico e diplomatico che storicamente non era coperto quasi da nessuno, neanche a livello di stampa, con qualche rara eccezione.

Con gli anni e con l’onda di Greta Thunberg e dei i Fridays for Future, l’attenzione sui negoziati si è alzata moltissimo. Dunque è aumentato a dismisura l’interesse pubblico sul nostro lavoro.

Quali sono i temi negoziali che state seguendo qui a Cop27?

Cop27 doveva essere incentrata sull’implementazione dell’Accordo di Parigi, ovvero si sarebbero dovuto aggiornare le promesse dei Paesi di riduzione delle emissioni climalteranti. Purtroppo non è stato così. La guerra tra Federazione Russa e Ucraina ha danneggiato il contesto internazionale e multilateralista. È diventata a sorpresa una Cop sulle compensazioni di perdite e danni, che è diventato il tema principale: ovvero un meccanismo per sostenere i Paesi più vulnerabili in caso di disastri legati al cambiamento climatico, specie dove non ci sono risorse per la ricostruzione.

Questo meccanismo (in inglese Loss&Damage, ndr) va oltre l’adattamento, oltre le misure di pianificazione che portano i Paesi più fragili a evitare il più possibile i disastri naturali e, quindi, anche perdite di vite umane. Sono compensazioni erogate dagli Stati più ricchi che da 150 anni emettono CO2 nell’atmosfera per il proprio benessere economico e che oggi devono restituire qualcosa ai Paesi più fragili che da soli non avrebbero mai le risorse per far fronte a queste catastrofi.

Le critiche all’Accordo di Parigi abbondano, specie da chi non conosce o capisce la sua architettura multilaterale. Perché rimane centrale come esoscheletro dell’azione climatica globale?

Quello sul clima, come in tanti altri settori negoziali multilaterali, è un processo incrementale. Con il primo Protocollo di Kyoto solo i più ricchi erano obbligati a ridurre le emissioni, gli altri erano esclusi. Ma con il tempo, diversi Paesi emergenti sono arrivati a emettere tanta CO2 quanto quella prodotta dagli Stati più industrializzati: come la Cina, che oggi dovrebbe essere considerata a titolo un Paese sviluppato.

Quindi l’Accordo di Parigi raccoglie per la prima volta tutte le nazioni Onu e assegna loro responsabilità congiunta di ridurre le emissioni. Il documento è stato un punto di arrivo, ma anche un punto di partenza: detta le regole e le condizioni di una cooperazione internazionale sul clima fino alla fine del XXII secolo, entro un obiettivo definito che è quello di contenere il riscaldamento globale entro 1,5 / 2°C di aumento medio a livello globale.

Ad un certo punto poi l’Accordo di Parigi sarà superato. Cosa adotteranno i delegati dal 2030 in poi? Cosa adotteranno dal 2050 in poi? Vedremo: in ogni caso abbiamo una base solida, fondata su una robusta struttura di governance che parte dai singoli Paesi e che delega a essi la decisione sovrana di ridurre le emissioni.

Mentre registriamo questa intervista, la società civile sta protestando affinché si rafforzi il consenso sul preservare l’obiettivo di 1,5°C all’interno dei negoziati. Quanto è importante il ruolo della società civile, per altro fortemente limitata se non apertamente repressa dal governo egiziano, all’interno dei negoziati?

Senza Greta Thunberg non avremmo avuto tanta attenzione sul Green Deal Europeo, senza i ragazzi e le ragazze per strada non avremmo avuto la spinta che ha portato al raggiungimento di un accordo a Cop26 di Glasgow. Il processo di negoziato tecnico va certo avanti lo stesso, ottenendo risultati importanti. Ma le due cose devono andare insieme a Sharm el Sheikh, e in futuro nelle prossime Cop: qui, nonostante le condizioni di sicurezza restrittive, si riesce comunque a far sentire le tante voci dell’attivismo, almeno dentro la conferenza, per portare il loro messaggio ai delegati.

The Economist ha titolato: “L’obiettivo di 1,5°C è morto”. È cosi?

Se si legge un grafico sugli scenari climatici da qui al 2100 possiamo essere indotti a dire che 1.5°C come obiettivo è morto. Però 2 anni fa nessuno avrebbe potuto immaginare che saremmo arrivati alla creazione di vaccini contro il Coronavirus nel giro di un anno grazie alla cooperazione tra Paesi. La stessa cooperazione che può portare a tener vivo l’obiettivo di 1,5°C.

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