Diritti

Covid: le bambine che non vanno a scuola diventano mogli

Storie e dati statistici in arrivo da Zimbabwe, Filippine e Kenya delineano un quadro preoccupante. Donne e ragazze vanno riportate al centro di qualsiasi strategia per il superamento della pandemia
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
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13 gennaio 2022 Aggiornato alle 08:00

Secondo i dati UNICEF, le bambine tra i 5 e i 14 anni si occupano delle cosiddette faccende domestiche per il 30% di tempo in più rispetto ai bambini. E, quando superano i 14 anni, questa disparità aumenta, arrivando al 50%. Non sono solo numeri: parliamo di un diverso carico di aspettative che grava sulle bambine e sui bambini, su cosa sia opportuno e quindi su cosa venga premiato. Proprio questo carico di aspettative viene identificato come uno dei fattori responsabili dell’allontanamento delle bambine dal proprio percorso scolastico. Va detto che questi dati si riferiscono agli anni precedenti al Covid; ora la situazione è peggiorata, in particolar modo nei paesi più poveri.

In Zimbabwe, già prima del Covid, il numero di gravidanze e matrimoni infantili era altissimo: su 3 bambine sotto i 18 anni, una era sposata. E cosa è accaduto con la pandemia? Che, al fine di contenere le possibilità di contagio, il Governo ha fatto ricorso a un lockdown molto stretto, chiudendo le scuole per 6 mesi (e, successivamente, disponendo nuove aperture e chiusure a singhiozzo). Il risultato è stato un elevato abbandono scolastico, che ha interessato in particolar modo le ragazze. Molte di loro (perché vittime di violenze sessuali o per cercare di sfuggire a situazioni di povertà estrema) sono incorse in una gravidanza. E per legge, le ragazze incinte non avrebbero potuto fare rientro a scuola, con quindi una duplice penalizzazione che fortunatamente è stata abolita con un’apposita legge nel mese di Agosto 2020. Qualche numero: nel 2018, le ragazze che hanno lasciato la scuola perché incinte erano 3.000, nei primi due mesi del 2021 erano già oltre 5.000.

Ma non succede solo in Zimbabwe: negli scorsi mesi nelle Filippine, a causa del rapido incremento dei matrimoni precoci, il Governo ha dovuto varare una nuova legge (la n.11596) per sancire il divieto di contrarre matrimonio con le bambine (ed i bambini). In Kenya, a causa della pandemia le scuole sono state chiuse da marzo 2020 a gennaio 2021. Anche in questo caso, i dati ci confermano che la pandemia ha colpito più duramente le donne rispetto agli uomini, e le ragazze sono state ancora più colpite: alla riapertura delle scuole, mentre ha rinnovato l’iscrizione il 92% dei ragazzi, le ragazze che vi hanno fatto ritorno sono state invece l’84%.

È un problema mondiale. L’UNESCO ci avvisa: l’impatto del Covid sull’istruzione di bambine e ragazze può essere realmente devastante. Oltre 11 milioni di ragazze rischiano di non tornare mai più sui banchi di scuola, e il rischio è maggiore per le ragazze tra i 12-17 anni che vivono nei paesi a basso reddito (mentre nei paesi più ricchi sono i ragazzi a manifestare una maggiore vulnerabilità: in Italia nel 2020 tra gli Early School Leavers, ovvero i giovani tra i 18 e i 24 anni che non studiano e non hanno completato il proprio ciclo secondario, i ragazzi sono stati 337.000 e le ragazze 206.000).

Come sempre, non è un problema solo delle ragazze, è un problema collettivo, anche economico. Anzi: sia microeconomico che macroeconomico. A livello microeconomico, ricordiamo a esempio che 1 solo anno di istruzione in più può aumentare il reddito di ogni ragazza fino al 20%, una volta che sarà adulta e lavorerà. Sul piano macroeconomico, i dati UNESCO evidenziano come le economie nazionali rischino di perdere oltre 1 miliardo di dollari all’anno a causa del loro fallimento nell’istruire le ragazze allo stesso livello dei ragazzi.

Ancora una volta, quindi, è necessario ribadirlo: nell’interesse collettivo, le ragazze e le donne devono essere poste al centro di qualsiasi strategia per il superamento della pandemia. e il momento di farlo è ora.