Ambiente

Cop27: chi ha detto cosa?

«Oggi inizia una nuova era». «Siamo sull’autostrada per l’inferno climatico». «L’Italia impegnata nel processo di decarbonizzazione». Qualche highlights degli interventi delle primissime giornate
Alcuni manifestanti alzano i pugni durante la protesta di oggi, 10 novembre, a Cop27, per difensori ambientali, dei diritti umani e i prigionieri politici, al grido di "No Climate Justice without Human Rights"
Alcuni manifestanti alzano i pugni durante la protesta di oggi, 10 novembre, a Cop27, per difensori ambientali, dei diritti umani e i prigionieri politici, al grido di "No Climate Justice without Human Rights" Credit: Gehad Hamdy/dpa
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10 novembre 2022 Aggiornato alle 20:00

Ostacoli, diritti negati e boicottaggi, la discussa Cop27 di Sharm el-Sheikh ha avuto inizio. I primi 2 giorni sono stati, come succede a ogni edizione, quelli delle dichiarazioni dei capi di stato e dei protagonisti del panorama diplomatico. Sono i giorni in cui quella che per alcuni è aria fritta determina, nelle intenzioni, l’aria che tirerà nelle successive 2 settimane di negoziato.

Certi interventi sono stati di particolare interesse. Il primo è quello di Simon Stiell, il nuovo Segretario Esecutivo della United Nations Framework Convention on Climate Change (Unfccc), la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici a cui fanno capo le Cop. Stiell (lo Stanley Tucci della negoziazione climatica), già Ministro della Resilienza Climatica e dell’Ambiente della sua caraibica Grenada, ha dato il via ai lavori con un discorso pieno di vigore. «Amici, oggi inizia una nuova era, e noi iniziamo a fare le cose diversamente» ha esordito. Per poi parlare subito del punto focale di questa Conferenza, ossia l’implementazione di quanto a Glasgow aveva trovato un accordo.

Un’apertura energica in cui hanno trovato spazio anche i temi della trasparenza, dei soldi (il grande quesito a sorpresa di questa Cop) e del ruolo centrale del genere femminile nell’azione climatica.

Ha parlato António Guterres, il Segretario Generale Onu, la cui retorica non manca mai di trasmettere tutto il senso di minaccia esistenziale che comporta la crisi climatica (cosa che lo rende un grande faro istituzionale, ma una pessima compagnia i sabato sera). «Siamo sull’autostrada verso un inferno climatico, con il piede schiacciato sull’acceleratore» è stato il suo nuovo allarme. Un chiaro riferimento alla sfilza di eventi climatici estremi che si sono verificati soltanto nell’ultimo anno, e anche all’ultimo Emission Gap Report 2022 dell’Unep (Un Environment Programm) pubblicato qualche settimana fa, che esclude l’esistenza di percorsi credibili verso il contenimento del riscaldamento globale entro il grado e mezzo.

Guterres ha voluto ricordare la necessità di ricostruire il rapporto di fiducia tra Nord e Sud del mondo che passa soprattutto dal raggiungimento (e a questo punto superamento) di quella cifra simbolica dei 100 miliardi di dollari da destinare ogni anno per mitigazione e adattamento dei Paesi più vulnerabili. Un fondo che non abbiamo mai finito di riempire. Proprio come quel gioco della Settimana Enigmistica in cui bisogna annerire gli slot con i puntini, non appena capisci che è un salvagente a forma di papera ti stufi e passi ai rebus.

Niente rebus, invece, nel discorso di Mia Mottley, la premier di Barbados e carismatica leader di tutta quella parte di mondo che si attacca con forza alla possibilità di definire, in queste 2 settimane, le regole per realizzare una vera giustizia climatica. Come una mamma che non vuole ancora alzare le mani, ha parlato in modo calmo, convinto e coinvolgente della mancanza di una chiara volontà politica per raggiungere gli obiettivi climatici promessi in questi anni.

Ha inoltre sottolineato l’impronta coloniale della conversazione climatica e colto l’occasione di sparare una frecciata verso le aziende dell’Oil&Gas e i loro enormi extra profitti di questi mesi.

Ha parlato infine Giorgia Meloni, seppure con quasi 2 ore di ritardo rispetto a quando previsto. Fresca del via libera che il suo Governo ha dato alle nuove trivellazioni nel mar Adriatico per la ricerca di gas, ha sostenuto che «l’Italia resta fermamente impegnata nel processo di decarbonizzazione, in pieno accordo con gli impegni di Parigi». Ha specificato che il nostro Paese non si sottrarrà dal fare la propria parte nel percorso di assunzione delle responsabilità storiche sulle emissioni.

Meloni ha anche voluto rimarcare la validità di due proposte italiane nello scenario internazionale di contrasto alla crisi climatica: il sistema dello Youth4Climate per coinvolgere in modo attivo i giovani nei negoziati (sognato dall’ex Ministro Costa e poi attualizzata dal successore Cingolani) e il Fondo Italiano per il Clima a supporto dei Paesi più esposti alla crisi climatica (proposto da Draghi un anno fa). Passettini di cui andare fieri, anche se non compensano pienamente la mancata qualificazione ai Mondiali.

I Paesi ricchi hanno nascosto la testa nella sabbia per 3 decenni e, adesso che sono letteralmente circondati dalla sabbia dell’Egitto, sono costretti a tirarla fuori. Nel passaggio dalle parole al lavoro vero e proprio delle prime giornate di negoziati, è da questa discussione che si è partiti.

Nel terzo giorno di conferenza, quello dedicato alla finanza, si è assistito al primo incontro formale su perdite e danni, da cui sono emersi alcuni punti che confluiranno nelle decisioni finali della settimana prossima. Spicca la chiara consapevolezza che nei prossimi anni dovrà saltare fuori uno strumento diverso da quello sull’adattamento per gestire il flusso di denaro (che si aspetta inizi a scorrere dal 2024, con altre 2 Cop in mezzo per preparare il tutto). Ma già ora il cestello sta girando tra le panche.

Mentre Scozia, Belgio, Danimarca, Germania e Nuova Zelanda hanno messo mano al portafoglio, la Cina ha fatto un movimento con il corpo che sembrerebbe indicare che lo stia almeno cercando. Magari è nell’altra giacca? Sarebbe carino lo chiedesse agli Usa, che dopo l’apparente idillio di Glasgow e un anno di porte sbattute in faccia, sembra stia cercando di ritrovare la strada del dialogo con il gigante asiatico. Vedremo. L’inviato americano John Kerry ha inoltre espresso la necessità di mobilitare quanti più soldi possibile, soprattutto dal privato, e ha annunciato una nuova iniziativa dei crediti di carbonio.

E poi ci sono gli attivisti, le comunità indigene, che stanno provando a farsi sentire nonostante il controllo delle forze di sicurezza egiziane; oggi la loro azione si è vestita di bianco in solidarietà con i difensori ambientalisti arrestati o uccisi nel mondo. E i lobbisti del fossile, che secondo i calcoli di alcuni gruppi di osservazione sarebbero 636, il 25% in più rispetto l’anno scorso, oltre ogni record. Ormai ci sono più difensori degli interessi del fossile alle Cop che gamer al Lucca Comics.

La prima settimana non è ancora finita, e la prossima sarà quella delle decisioni. Cop27, comunque, sembrava partire con zero aspettative. Zero come la versione dietetica del suo sponsor con le bollicine. E potrebbe essere questo a premiarla, alla fine. È una vecchia tecnica da primo appuntamento di tanta gente insicura: settare l’asticella più in basso per lasciarsi margine per sorprendere. “Ti immaginavo peggio” non è il migliore dei complimenti che si possa ricevere, ma resta indubbiamente un risultato. Chissà che alla fine di queste due settimane, la crisi climatica non ci inviti a salire a casa sua. In attesa di scoprirlo, ci portiamo a casa i risultati dei primi giorni.

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